Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 7 maggio

In fila notturna per la «prenotazione» di Sara Menafra

BOLOGNA – Donna, quarantenne, graphic designer per una affermata agenzia di pubblicità. Basta la parola, anche in quella Milano un po’ più provinciale che è la Bologna modaiola, e la mente corre subito agli aperitivi sui tavolini di piazza Maggiore o alle serate al ritmo di musica lounge. E invece Marcia F. B. da un mese e mezzo si trova immersa nell’incubo che tutte le notti si ripete davanti all’ufficio immigrati della questura di Bologna. Tutto è cominciato il 13 febbraio, quando Marcia, che ha vissuto in Italia dal 1989 e sempre con un lavoro perfettamente regolare, ha deciso di chiedere la carta di soggiorno permanente che con i suoi requisiti le spetta di diritto. «La risposta arriverà entro 45 giorni», le comunicano dalla questura. L’ufficio di via degli Agresti non è troppo lontano dalla sede della sua agenzia e quindi, passato il mese e mezzo, fa una scappata alle 9 di mattina per sapere se la risposta è arrivata. I numeri distribuiti dagli agenti all’apertura degli sportelli, però, sono già tutti finiti. «Venga presto la mattina signora!» le dice un agente. Ma presto quanto? «Non so, presto, presto». E Marcia torna due volte, sempre più presto e sempre a vuoto. Finché qualcuno da una fila le svela l’arcano: all’ufficio immigrati della questura di Bologna bisogna andarci almeno alle 4 di mattina, per essere sicuri di essere inseriti in una lista scritta da quelli che sono arrivati per primi, che ogni tanto la aggiornano nel corso della notte e che alla fine, la mattina dopo, la consegnano all’agente che distribuisce i numeri. Il metodo è lo stesso dei biglietti per il derby o di quello per i concerti «unica data in Italia». In via degli Agresti si usa anche se vuoi solo chiedere un’informazione. Marcia c’è già andata due notti ma ancora della sua carta di soggiorno non c’è traccia. Come lei ogni notte ci arrivano mamme con i bambini piccolissimi, uomini anziani, ma anche lavoratori che prendono appositamente un giorno di permesso dal lavoro dato che l’ufficio il sabato mattina è chiuso. «Io sono venuto a mezzanotte e ho il numero settantadue» dice Rashid, anche lui quarantenne, mentre si fa largo in mezzo alla mischia. Il suo amico è arrivato dopo, alle 3 di notte, «c’è mio fratello malato», ma anche lui ha preso il numero. Molti altri non hanno fatto in tempo e cercano di ottenere qualche informazione dagli agenti di polizia, che rispondono solo ed esclusivamente in italiano. «Te l’ho già detto due volte. Mica ci sei solo tu!», urla uno di questi a un uomo magro, asiatico, tenuto alla larga con sospetto tanto dai poliziotti in mascherina che da un paio di signore magrebine che ce l’hanno accanto e si coprono la faccia con un fazzoletto. La scorsa settimana sulla porta dell’ufficio è comparso un cartello, sempre e solo in italiano, che dice che, dall’inizio di questa settimana, per evitare le liste notturne, i numeri saranno distribuiti dalla mattina senza tener conto delle «prenotazioni». Difficile sperare che il problema si risolverà facilmente, dato che gli orari di apertura rimarranno gli stessi: tre mattine a settimana e un pomeriggio.