Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
//

Indagato a Bari il businessman dei migranti della città dello Stretto

Di Antonio Mazzeo

Foto: CARA di Bari Palese, fonte Corriere del Mezzogiorno

Frode in pubbliche forniture. E’ questo il reato contestato dalla Procura della Repubblica di Bari a quattro noti imprenditori del business accoglienza migranti e richiedenti asilo relativamente alla gestione di uno dei centri d’accoglienza – lager più tristemente noti in Italia, il CARA di Bari Palese. Secondo gli inquirenti, i responsabili dell’ente gestore che per tre anni si è occupato del centro (la cooperativa Auxilium di Senise, Potenza), avrebbero fatto lievitare a dismisura i costi dei servizi prestati. Gli indagati sono i fratelli Pietro e Angelo Chiorazzo, responsabili di Auxilium, l’ex amministratore delegato della Cascina Global Service Srl Salvatore Menolascina (già arrestato nell’ambito dell’inchiesta Mafia capitale della procura di Roma) e Camillo Aceto, ex componente del consiglio di amministrazione di Auxilium ed ex vicepresidente de la Cascina.

Camillo Aceto, in qualità di presidente della Senis Hospes – Società Cooperativa Sociale, anch’essa con sede a Senise, aveva firmato il 26 novembre 2015 con l’Amministrazione comunale di Messina la “Convenzione per la prima accoglienza dei minori stranieri non accompagnati” nel Centro Ahmed, istituito un anno prima mediante stipula di altra convenzione emergenziale con la Prefettura. Sei giorni prima, dopo una lunga querelle con il Prefetto, alcuni esperti del settore immigrazione e le associazioni di volontariato locali, il sindaco Renato Accorinti aveva emesso un’ordinanza contingibile e urgente con la quale disponeva che i minori stranieri già presenti presso il Centro Ahmed venissero ospitati a cura dell’Amministrazione Comunale. Sino ad allora, interpretando strumentalmente ed erroneamente una circolare ministeriale, sindaco e dirigente generale comunale avevano invece ribadito che la responsabilità della prima accoglienza dei minori stranieri non fosse di competenza del Comune. “La città di Messina, a motivo della sua posizione geografica, è interessata da un costante e cospicuo flusso di migranti, per i quali rimane in capo all’Amministrazione Comunale la successiva gestione dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati”, si legge nell’ordinanza sindacale del 26 novembre scorso. “Pertanto il collocamento dei minori suddetti in strutture di accoglienza accreditate comporta la loro presa in carico da parte dei Servizi Sociali del Comune nel cui territorio le strutture sono presenti e la richiesta di apertura della tutela nei loro confronti. Poiché in atto, nella città di Messina, per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati è operativo il Centro Ahmed gestito dalla società cooperativa sociale Senis Hospes, con una disponibilità di 160 posti e autorizzato dalla Regione come ostello per giovani per 200 posti, si ordina che i minori ivi ospitati al 25/11/2015, data di scadenza della convenzione con la Prefettura, continuino ad essere ospitati a cura del Comune, presso la medesima struttura, limitatamente al tempo strettamente necessario e documentato per il loro inserimento in Centri specificatamente accreditati e, pertanto, la presente ordinanza si intenderà revocata allorché la procedura di gara si concluda con l’individuazione di idonee strutture e, in ogni caso, gli effetti della presente verranno a cessare alla data del 30 giugno 2016”. Il giorno dell’ordinanza, Senis Hospes non risultava ancora essere stata accreditata dalla Regione per la gestione dei centri di prima accoglienza per i minori stranieri ai sensi del D.P.R.S. n. 600/2014, accreditamento che sarebbe giunto – secondo quanto riferito dai rappresentanti locali dell’ente gestore –proprio lo stesso giorno della stipula della convenzione con il Comune di Messina. Nel documento sottoscritto dalla dirigente comunale del Dipartimento Politiche Sociali e dall’imprenditore Camillo Aceto si rileva però che “il centro Ahmed è munito di SCIA come ostello per la gioventù con una disponibilità di 224 posti” e che “gli effetti della presente convenzione avranno efficacia limitatamente al tempo strettamente necessario al reperimento di ulteriori strutture idonee all’accoglienza (primissima e di secondo livello) dei minori non accompagnati”. Un centro dunque che era ancora inidoneo all’accoglienza e ben distante dagli standard normativi, strutturali e di gestione imposti dalle norme di legge regionali. A ciò si aggiunge, inspiegabilmente, una crescita in soli sei giorni dei posti letto “autorizzati” (da 200 a 224), che in termini finanziari, a 45 euro per ogni ospite al giorno pagati dal governo, consentono un fatturato aggiuntivo per l’ente gestore di 32.400 euro al mese.

Sempre secondo quanto previsto dal D.P.R.S. n. 600/2014, l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati nelle strutture di primissima accoglienza non dovrebbe essere superiore ai 3 mesi; inoltre i centri non dovrebbero accogliere complessivamente più di 60 ospiti contemporaneamente, mentre l’équipe del personale impiegato dovrebbe possedere una “formazione adeguata e specifica e competenze e capacità idonee” con un numero ben definito di operatori e rispettive qualifiche. Obblighi di legge che, come denunciato più volte in questi anni da difensori dei diritti umani, volontari, ONG (Borderline Sicilia, Arci, Campagna LasciateCientrare, ecc), non risultano essere stati rispettati a Messina, anche se a onor del vero, i servizi offerti al Centro Ahmed sono certamente superiori a quelli di tante altre strutture “d’accoglienza” sorte come funghi in tutta la Sicilia.

La struttura presso l’ex Ipab – Fondazione Conservatori Riuniti di Messina venne aperta il 25 novembre 2014 dall’associazione temporanea d’imprese con capofila la Senis Hospes di Potenza, compartecipi la Cascina Global Service Srl e il Consorzio Sol.Co. – Società cooperativa sociale onlus di Catania. La stessa Ati al tempo gestiva le strutture-lager per migranti della tendopoli di Contrada Conca d’oro Annunziata (all’interno di un centro sportivo dell’Università degli studi di Messina) e dell’ex caserma “Gasparro” di Bisconte. Inizialmente, l’ex Ipab era stato destinato a centro di primissima accoglienza dei cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale in vista dell’auspicata chiusura della tendopoli. A seguito però di una denuncia sulla presenza nel lager dell’Annunziata di poco meno di un centinaio di minori stranieri non accompagnati, in situazioni di promiscuità con gli adulti, la Prefettura, con provvedimento straordinario del 31 ottobre 2014 ordinò il loro trasferimento presso i locali che Senis & socie si erano incaricate a ristrutturare per i richiedenti asilo adulti.

Ovviamente né la Prefettura né il Comune di Messina hanno mai ritenuto perlomeno imbarazzante la gestione di buona parte del business accoglienza migranti da soggetti finiti più volte nelle cronache giudiziarie. Il 24 aprile 2014, all’associazione d’imprese Senis-Cascina-Sol.Co. (più il consorzio di cooperative Sisifo di Palermo – LegaCoop, la società di costruzioni Pizzarotti & C Spa di Parma e il comitato provinciale della Croce Rossa Italiana di Catania) fu affidato il bando da 97 milioni di euro per la gestione del mega CARA di Mineo, il più grande centro per richiedenti d’asilo d’Europa. “Il bando per la gestione del CARA di Mineo ha alterato la fisionomia dell’accordo pubblicistico delineato dall’art. 15 della Legge n. 241/1990”, ha denunciato in una relazione la Corte dei Conti. Ancora più duro il giudizio dell’Associazione nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, secondo cui a Mineo sarebbero stati violati i principi di “concorrenza, proporzionalità, trasparenza, imparzialità ed economicità”. La gestione del CARA è stata stigmatizzata pure dagli inquirenti che indagano su politica e affari nella città di Roma. Nella seconda ordinanza emessa dal Gip capitolino, relativamente all’affaire Mineo, si parla espressamente di “collusioni preventive, consistenti in accordi finalizzati alla predeterminazione dei soggetti economici che si sarebbero aggiudicati le gare”, nonché di “condotte fraudolente, consistenti nel concordare i contenuti dei bandi di gara in modo da favorire il raggruppamento di imprese al quale partecipavano imprese del gruppo La Cascina”. A seguito del terremoto giudiziario che ha colpito il colosso della ristorazione, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Roma, con decreto n.102 del 27 luglio 2015 dispose l’amministrazione giudiziaria per la Cascina Global Service.

Il Presidente di Senis Hospes Camillo Aceto, al tempo vicepresidente de La Cascina, venne arrestato nell’aprile 2003 a Bari nell’ambito di un’inchiesta sulla fornitura del servizio pasti delle mense ospedaliere e scolastiche. “Da vicepresidente della Cascina, anche Angelo Chiorazzo di Auxiliu è stato coinvolto nella stessa indagine della magistratura di Bari in cui era imputato Camillo Aceto, a sua volta ex membro del consiglio di amministrazione di Auxilium”, riporta la giornalista Raffaella Cosentino. “Anche Chiorazzo ha avuto la prescrizione in primo grado per i reati di falso e frode nei confronti della pubblica amministrazione…”.

Quando nel novembre 2013 il quotidiano online Tempostretto.it di Messina riprese la notizia sui trascorsi giudiziari di Aceto e soci, il responsabile locale di Senis Hospes, Benedetto Bonaffini richiese la pubblicazione di una rettifica. “Nel mese di settembre 2010 – scrisse Bonaffini – con dispositivo di sentenza di primo grado del Tribunale di Bari, il dott. Camillo Giuseppe Aceto è stato assolto nel processo penale avviato nel 2003 con la formula piena perché il fatto non sussiste da tutti i reati più gravi ed in particolare da tutti i capi di imputazione relativi alla somministrazione di sostanze alimentari nocive e dalla maggior parte dei reati relativi ai capi di imputazione di truffa e frode nelle pubbliche forniture. La sentenza ha confermato altresì il puntuale ed integrale pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali in favore dei lavoratori. Per quanto attiene le residuali affermazioni di responsabilità, per le quali è intervenuta la prescrizione, si precisa che le stesse sono state appellate innanzi alla Corte d’Appello, con atto depositato in data 2 febbraio 2011, come da attestazione dell’Ufficio Deposito Sentenze ed Impugnazioni del Tribunale di Bari. A riprova di quanto precede è possibile verificare i contenuti del casellario giudiziale che non riporta alcuna sentenza di condanna”.
Nell’inchiesta del 2003 della Procura di Bari finirono agli arresti domiciliari oltre a Camillo Aceto quattro dirigenti de La Cascina e tre fornitori della cooperativa. “Dal 1999 La Cascina avrebbe somministrato a scuole ed ospedali baresi cibi scaduti, putrefatti o con alta carica batterica”, si legge nell’ordinanza dei magistrati pugliesi. “Spesso i cibi sono stati stoccati e manipolati in locali e con attrezzature prive dei minimi requisiti di igiene (…) approfittando di circostanze di persona (malati in età infantile ricoverati negli ospedali) tali da ostacolare la privata difesa”. Il processo si concluse nel settembre del 2010 con 17 condanne a pene comprese tra i sei mesi e i due anni e mezzo di reclusione (sui 32 imputati finiti a processo) e il risarcimento per danni morali e materiali al Comune di Bari, all’Asl e ad alcune associazioni di consumatori. “Le pene più alte (due anni e mezzo di reclusione) sono state inflitte a Salvatore Menolascina ed Emilio Roussier Fusco, all’epoca dei fatti amministratore di fatto e responsabile commerciale della sede di Bari della Cascina”, riporta la Gazzetta del Mezzogiorno del 21 settembre 2010. “A due anni e tre mesi sono stati condannati i fornitori della cooperativa Luigi Partipilo, Rosario Mastrangelo e i dirigenti della Cascina Gabriele Scotti e Ivan Perrone. A un anno e sei mesi Luigi Grimaldi e Camillo Aceto, all’epoca vicepresidente della Cascina e responsabile dell’ufficio amministrativo della società”. Per il quotidiano pugliese, cioè, il verdetto per Aceto sarebbe stato diverso da quello narrato dai collaboratori di Senis Hospes. Della pesante condanna in primo grado si parla anche in una dettagliata interrogazione parlamentare sull’affaire Mineo, presentata il 15 dicembre 2015 da diversi senatori del Movimento 5 Stelle, prima firmataria Ornella Bertorotta. Condanna o prescrizione, poca importa. Per Senis Hospes – La Cascina gli affari con pasti e migranti non sembrano dover finire mai.