Dopo le tante tragedie dell’immigrazione, che vengono dimenticate in tempo reale da un’opinione pubblica sempre più indifferente ed assuefatta, gli arresti dei presunti scafisti sembrano chiudere il cerchio delle responsabilità, ed al più residua qualche briciolo di compassione per le storie individuali più tragiche che i giornalisti cercano a tutti i costi.
Rimane sullo sfondo lo scenario libico, caratterizzato da ricorrenti stragi nelle acque davanti alle coste di Sabratha o di Tripoli, con decine di cadaveri che si arenano sulla battigia dopo che i gommoni, probabilmente intercettati dalle tante “guardie costiere libiche“, sono affondati a poche centinaia di metri dalla costa.
La conta dei cadaveri di migranti arenati sulla spiagge libiche continua. Secondo le ultime notizie sarebbero diverse decine. Vite umane spezzate in mare. Adesso dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti. Ma tanti gireranno lo sguardo altrove. Meglio non parlare troppo di Libia anche per le possibili ricadute sulla campagna elettorale americana.
E rimane del tutto nascosto all’opinione pubblica in Europa la situazione di conflitto armato che spacca la Libia in tre parti almeno, dopo gli sconsiderati interventi di alcuni paesi europei, come la Francia, che si sono messi a combattere persino a fianco degli avversari del governo nominato e sorretto dalle Nazioni Unite, il governo di Serraj, che da Tripoli non riesce a controllare neanche l’intera Tripolitania.
Se i tanti esperti che pontificano in questi giorni su tutti i media, individuando cause sempre più remote del terrorismo che sta dilagando anche in Europa, se ne volessero occupare, il laboratorio libico potrebbe offrire l’ennesima conferma dell’insensatezza dell’interventismo dei paesi occidentali. Sarebbe facile accertare il totale fallimento di quella che definiscono ancora “guerra all’immigrazione illegale“, che sbarra soltanto le vie di accesso, rendendo più pericolose e spesso mortali le traversate, ma che non arresta l’ingresso dei migranti in Europa, né riesce a smantellare le reti di trafficanti sempre più estese in Africa ed in Asia proprio per effetto della mancanza di canali legali di ingresso.
L’unica risposta che è stata data dall’Unione Europea, oltre all’accordo illegale con la Turchia di Erdogan: una missione militare che adesso dovrebbe essere impiegata in funzione antiterrorismo, restando però in acque internazionali. Mentre nel Mediterraneo centrale si è ridotta la presenza delle navi dell’operazione TRITON di Frontex.
Anche in questo caso i politici ed i militari che già hanno fallito da anni promettendo pace e sicurezza continuano ad alimentare instabilità ed insicurezza, moltiplicano gli scenari di guerra e le stragi dei migranti, ma ottengono crescenti consensi elettorali. Una partita decisiva si gioca sul fronte dell’informazione, ormai quasi del tutto “embedded“. Le poche voci di dissenso sono esposte a forti pressioni. Se si vorranno affrontare le grandi questioni della convivenza possibile e trovare soluzioni politiche ai conflitti, contrastando davvero la minaccia terroristica, ciascuno dovrà diventare riproduttore di informazioni e fare circolare il maggior numero possibile di notizie che possano smentire le tante menzogne che le agenzie istituzionali continuano a diffondere.