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Insegnare la lingua italiana ai richiedenti asilo

La scuola per analfabeti di Treviso

Innanzitutto vorremo presentarci: siamo un gruppo di 3 ragazzi con un’età compresa tra i 25 e i 27 anni che, all’interno dell’associazione di volontariato dell’Associazione di volontariato Asd Fuoriclasse di Treviso, sta svolgendo delle lezioni settimanali di italiano ad un gruppo di migranti, provenienti da Senegal, Gambia, Guinea Bissau e Pakistan, per la maggior parte analfabeti.

Il nostro gruppo è composto da Tommaso De Re, Elisabetta Benazzi e Tommaso Girardi; due biotecnologi e un musicista.
Abbiamo cominciato le lezioni l’11 Febbraio di quest’anno con un gruppo di 16-18 ragazzi, tutti facenti parte del progetto “Talking Hands, con la mani mi racconto“. Ci vediamo con loro ogni sabato mattina dalle 9:30 alle 11, nella scuola di italiano al pian terreno della Casa dei Beni Comuni di Treviso. Questa iniziativa è nata dal nostro interesse nei confronti dell’accoglienza, abbiamo infatti tutti e tre svolto attività di volontariato a fianco dei richiedenti asilo.

Tutto è cominciato attraverso la richiesta di Monica (Casa dei Beni Comuni) e di Gaia (Centro Sociale Django) di avviare un corso di prima alfabetizzazione indirizzato a un gruppo di 18 ragazzi, le Mani Parlanti, Talking Hands appunto, poiché nel corso delle loro attività, erano emerse molte difficoltà a leggere, scrivere e parlare la nostra lingua.

Questi ragazzi sono tutti ospitati all’interno del Centro di Accoglienza Straordinaria “caserma Serena”, frequentano regolarmente il centro sociale Django al cui interno prendono parte ai corsi di ginnastica mattutini organizzati dalla palestra popolare “Hurricane”, e alle attività dell’opificio “Talking Hands”.

Dopo aver, in totale incoscienza, accettato l’impegno di iniziare un corso di primissima alfabetizzazione, abbiamo sentito la necessità di chiedere aiuto a Stefania Martini (Associazione Auser Cittadini del Mondo) su come impostare i moduli didattici e il piano delle lezioni. Stefania, tramite una dimostrazione diretta, ci ha mostrato il tipo di approccio che avremmo dovuto avere nei confronti dei ragazzi per un insegnamento efficace della lingua italiana e per essere in grado di fornire i primi strumenti di apprendimento per persone completamente o parzialmente non alfabetizzate, per questo e per molti altri motivi non possiamo che ringraziarla dal profondo del nostro cuore.

L’iter è stato quello di convocare un primo incontro conoscitivo nel quale abbiamo chiesto a tutti i membri della classe di scrivere alcune generalità alla lavagna: nome e cognome, età, paese di provenienza. Siamo rimasti piacevolmente sorpresi dal fatto che la maggior parte di loro sapesse scrivere correttamente queste informazioni basilari ma al contempo fondamentali. Al termine di questo primo incontro, abbiamo ritenuto importante rivolgere loro la domanda su che cosa gli interessasse di più imparare da noi, l’intento è stato quello di avviare fin da subito con loro un rapporto di tipo orizzontale, partecipativo, nel quale i ragazzi fossero chiamati in causa per la definizione del programma e degli obiettivi del corso.

Poiché le loro richieste sono molto complesse da affrontare, abbiamo deciso, negli incontri successivi, di affrontare argomenti semplici e di uso comune, come, ad esempio, le espressioni “ciao, come stai?”, “come ti chiami?”, “da dove vieni?” con relative risposte, stimolando i ragazzi ad intervenire se non capivano bene e a partecipare attivamente, facendoli parlare da soli o in coppia.

Le lezioni si svolgono abitualmente in italiano con l’aiuto ogni tanto dell’inglese. Con il passare delle settimane altri ragazzi, non facenti parte del gruppo di partenza ma anche loro residenti all’interno della caserma Serena, sono venuti in Casa dei Beni dove noi li abbiamo accolti e inseriti all’interno del modulo didattico, ad oggi abbiamo raggiunto un numero considerevole di persone, con picchi che toccano in alcune giornate i 22 alunni, tutti ugualmente intenzionati a imparare l’italiano.

In questo senso, per permettere a tutti di frequentare la scuola, abbiamo deciso di svolgere una lezione integrativa all’interno dell’opificio Talking Hands, per metterci in relazione direttamente con gli oggetti, gli strumenti e le attrezzature che normalmente utilizzano per realizzare gli artefatti. Se non lo conoscete già, vi invitiamo a guardare il loro lavoro, perché producono degli oggetti molto belli e curati, come: mobili, cuscini ricamati, borse di corda intrecciata e tessuti stampati.

I ragazzi ci hanno dato il benvenuto nel loro luogo, nella loro casa. Considerato il tipo di contesto, abbiamo ritenuto più funzionale utilizzare la lezione all’interno dell’opificio per dare un nome italiano alle attrezzature che utilizzano quotidianamente e ai verbi ad esse associate, nel modo più semplice e immediato possibile.

Conclusa la lezione, come facciamo abitualmente, abbiamo chiesto loro un parere e ci hanno ringraziato, dicendosi estremamente soddisfatti ed esprimendoci il desiderio di replicare ancora questo esperimento di “lingua applicata” in un contesto lavorativo.

Il nostro scopo, da ora in avanti, sarà quello di continuare ad aiutarli, fino a quando ci sarà possibile. Vogliamo e cercheremo di fare in modo che possano vivere in Italia e non scappare più, con la speranza che possano trovare un po’ di pace e una vita migliore. Per noi, alla fine, è tutto per un “grazie“. Il grazie di chi, dopo aver attraversato confini, deserti, mari (e burocrazie) si ritrova qui senza alcuna certezza sul proprio destino. Potrebbero restare, o andarsene altrove, o venir rimandati indietro al punto di partenza; ragazzi così ne abbiamo conosciuti molti, tra i nostri “studenti“, e ognuno di loro ha una sua storia, un proprio passato, volendo proprio trovare un tratto comune: la ricerca di costruirsi in Italia un futuro migliore.

Aver potuto conoscere un gruppo di uomini adulti, desiderosi e volenterosi di superare i propri limiti e di potersi sentire parte del nostro Paese, è per noi molto importante ed emotivamente coinvolgente.
Ogni sabato mattina durante le lezioni, ci stanno mostrando come tante cose che diamo quasi sempre per scontato non lo siano affatto.

Il nostro lavoro d’insegnamento della lingua è diventato, a sua volta, una scuola di vita per noi; poiché rapportarsi ad altre storie e ad altri modi di vedere il mondo è fondamentale per comprendere e cominciare a migliorare le nostre vite e anche, nel nostro piccolo, il cosiddetto “sistema accoglienza“.