Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

A cura di Mirca Ognisanti

Intercultura e scuole dell’autonomia

Appunti sull'intervento di E. Gilberto Bettinelli al Convegno “Scuole e culture del mondo" promosso dal Comune di Parma

Oltre al Comune di Parma, hanno partecipato, in qualità di soggetti coinvolti nella rete e aderenti al progetto, la Provincia di Parma, il C.S.A. (Centro Servizi Amministrativi, ex Provveditorato agli Studi di Parma), la Prefettura e numerosi istituti scolastici. Hanno inoltre preso parte al dibattito consulenti, formatori, dirigenti scolastici e docenti delle scuole coinvolte nel progetto, insieme a rappresentanti di servizi del territorio regionale.

Grande spazio è stato dato alla voce di Elio Gilberto Bettinelli, della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Bicocca di Milano, che ha offerto una panoramica della situazione italiana in materia di intercultura e pratiche educative, sia dal punto di vista della (non) evoluzione della cornice normativa che della lettura quantitativa – ma critica – del fenomeno multiculturale nelle scuole.

Ne riportiamo di seguito una sintesi a cura di
Mirca Ognisanti.

Intercultura e scuole dell’autonomia
di Elio Gilberto Bettinelli

Parlare oggi di educazione interculturale nella scuola potrebbe sembrare superato: nei nuovi programmi ministeriali non troviamo infatti mai citato il temine intercultura, multicultura, società multiculturale e mai si accenna alla presenza di allievi nelle classi italiane la cui provenienza o origine non è italiana. Siamo dunque di fronte a una sorta di appannamento rispetto all’uso che si faceva, fino ad un recente passato, del termine intercultura.
Con il termine intercultura si sono intese cose, negli anni, molto disparate, e i suoi limiti non sono ancora definiti. L’intercultura e l’educazione interculturale sono contenitori di progetti diversissimi: dai progetti e dalle attività in senso strettamente compensativo (ovvero volte a colmare deficit, ad es. l’alfabetizzazione, il sostegno, ecc.) a progetti per la conoscenza di altre culture, di educazione alla pace, ecc.
In secondo luogo l’attuale clima culturale e sociale mette in evidenza le differenze, e di conseguenza cela i legami fra le culture: ciò minaccia e mette a rischio la diffusione di termini e attributi multiculturali che hanno contraddistinto una tradizione integrativa e interculturale della scuola italiana.

Dal 1989 al 1999 la politica scolastica italiana ha seguito un percorso integrativo e interculturale in modo dichiarato. Tuttavia dal 1999 non è stato emesso un singolo atto, nemmeno una circolare, che si occupasse specificatamente di allievi stranieri. Il silenzio è preoccupante, perché si tratta di un tentativo di occultare la realtà multiculturale delle classi. Certamente il MIUR (Ministero dell’Istruzione) continua a pubblicare il rapporto sugli alunni di cittadinanza non italiana, ma non ci sono atti o cornici normative specifiche sull’accoglienza e l’inserimento degli allievi stranieri nelle nostre scuole.

Cosa succederà allora all’educazione interculturale con le nuove
Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio della Scuola Primaria e Secondaria di I grado

fornite dal Ministero dell’Istruzione?
La risposta non è semplice, anche perché tradizionalmente non sono leggi e normative di carattere generale – quale
la legge delega 53/2003 (cosiddetta Riforma Moratti) o i decreti attuativi – che si occupano di una questione specifica come quella degli alunni stranieri nella scuola.
Occorre rilevare, accanto a riconoscimenti e opportunità, soprattutto metodologiche e procedurali, silenzi e assenze piuttosto sorprendenti e per certi aspetti culturalmente inquietanti. Fra i riconoscimenti, le pertinenti considerazioni che ad esempio vengono svolte a proposito della diversità nelle Raccomandazioni per l’attuazione delle Indicazioni nazionali, quantunque si continui a mettere insieme tutte le diversità (handicap, appartenenze culturali, ecc.) rischiando così di privilegiare indirettamente un concetto di normalità. Anche le Indicazioni per l’educazione alla convivenza civile contengono numerosi riferimenti alla conoscenza di altre culture e alla riflessione sui loro rapporti.
Sul piano metodologico e procedurale lascia invece sconcertati l’assenza di qualsiasi riferimento, anche nominale, all’interculturalità. All’art. 2 della legge delega, l’indicazione dei principi di riferimento fra i quali “…lo sviluppo della coscienza storica di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea”, tralascia qualsiasi riferimento alla dimensione planetaria che costituisce il necessario orizzonte etico dell’educazione.
Per quanto riguarda in particolare l’inserimento degli alunni immigrati nel nostro sistema scolastico, rimane ancora vigente l’ormai conosciuto
art. 45 del DPR 394/99 .

Si palesa tuttavia la necessità di una normativa di raccordo perché le indicazioni di quell’articolo facevano riferimento a un quadro ordinamentale non più esistente, nel quale, per dare un esempio, vigeva ancora l’obbligo scolastico di 9 anni mentre oggi esiste il diritto dovere all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni, da esercitarsi in due distinti cicli al secondo dei quali si può accedere solamente essendo in possesso della licenza media. Questo può creare alcune ambiguità interpretative ad esempio per quanto riguarda l’iscrizione alle classi ed alle scuole, particolarmente del secondo ciclo. Incertezze e lacune normative esistevano anche in precedenza specialmente sul riconoscimento degli studi secondari, anche parziali, condotti nei paesi di provenienza degli studenti. Aggiungere ambiguità a lacune non può nei fatti che rendere precario il diritto all’istruzione, affermato da principi legislativi generali.

La scuola integrativa e interculturale deve garantire i diritti e le pari opportunità formative riducendo progressivamente l’eventuale gap fra allievi italiani e allievi stranieri nei risultati e nelle scelte scolastiche, mettendo in campo dispositivi efficaci di sostegno all’apprendimento.
In base ai dati ministeriali, da 3 anni il tasso di promozione degli allievi stranieri è mediamente inferiore all’8% rispetto al tasso di promozione degli allievi italiani. L’anno scorso c’è stato un peggioramento pari allo 0.5%. Ciò significa che gli allievi stranieri hanno sempre meno possibilità di raggiungere buoni risultati scolastici e di conseguenza le aspettative di riuscita sociale ed individuale si riducono. Le pari opportunità allora non sono state raggiunte! La frequenza scolastica degli allievi di cittadinanza non italiana in molti casi non è in linea con l’età. Un esempio: nelle scuole di Arezzo, il 50,1% degli allievi di origine straniera è in ritardo di un anno o più nel percorso scolastico rispetto alla propria età anagrafica. Il 17% è in ritardo di almeno due anni.

Le scelte post-obbligo, poi, sono la vera cartina di tornasole delle politiche educative ed interculturali dello scorso decennio: il 40% degli allievi stranieri frequenta istituti o centri di formazione professionale, a fronte di un 20% di allievi italiani. In sintesi, il doppio degli allievi stranieri sceglie i binari meno pregiati della formazione, dove il destino di manovalanza spesso è già scritta.

Due sono i rischi principali del silenzio istituzionale circa la presenza di allievi stranieri e la necessità di adottare, e adattare, gli strumenti, per gestire la diversità nelle classi: da un lato la scuola vede l’eterogeneità come un problema da ignorare in attesa che avvenga l’assimilazione.
La scuola dunque, in assenza di stimoli e indicazioni normative, adotta una posizione passiva che, e questo è scontato – farà morti e feriti! Abbiamo davanti a noi esempi di sistemi scolastici, come quello tedesco, che, pur con l’arrivo di milioni di allievi italiani e turchi, non ha cambiato nulla. I risultati sono stati evidenti: ritardi, ripetizioni, insuccesso scolastico e conseguente marginalità sociale.
La scuola italiana, se lasciata sola, rischia di ripercorrere gli errori fatti da altri stati che hanno affrontato prima di noi la questione dell’eterogeneità culturale, e di diventare passiva e autoreferenziale, al punto che l’arrivo di un allievo straniero viene considerato un problema per la scuola, più che per il neo-arrivato.
L’altro rischio è quello che si crei una netta disparità fra una scuola e l’altra, anche di una stessa città: molti sono già i casi in cui un allievo straniero riceve un trattamento diverso a seconda dell’istituto in cui è inserito.

Questo ci porta a concludere che il diritto soggettivo all’apprendimento, stabilito dalla Convenzione sui Diritti del Fanciullo, non è garantito nel nostro paese. Affinché questo diritto sia garantito e tutelato è necessario che venga adottata una politica nazionale rivolta alla realizzazione di pari opportunità per gli allievi stranieri, oltre all’implementazione nei singoli istituti scolastici di attività rivolte all’accoglienza e all’inserimento, alla organizzazione di procedure (protocollo d’accoglienza) e strutture (commissione intercultura, gruppi di lavoro) che fungano da dispositivi di supporto all’apprendimento e alla comunicazione fra la scuola e le famiglie, italiane e straniere.