Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da La Repubblica di Bari del 19 settembre 2006

“Io, schiavo dei pomodori dopo due anni di violenze”

Il racconto di un uomo impegnato nella raccolta nel triangolo dell’oro rosso.

Sei uno schiavo? «Non lo so. Sicuramente sono povero». Andrei parla un italiano spedito, ha la voce grande quanto le mani che da due anni caricano sui camion cassette di pomodoro. È troppo alto per chinarsi e raccogliere. Troppo forte per non sollevare. Andrei ha 29 anni. Ed è un abitante del triangolo del pomodoro. È partito due anni fa da una regione della Romania dal nome incomprensibile, la prima testata l’ha presa tre giorni dopo essere arrivato, «mi hanno preso alla sprovvista. L’avrei ucciso quello str…, i ragazzi che già c’erano mi hanno detto che se avessi fatto qualcosa sarei morto». Andrei sapeva già tutto: «Sapevo di dover fare il contadino, di dover lavorare tanto. Ero pronto. Ma pensavo di guadagnare tanto. Ottocento euro al mese, lavoravo sei mesi e poi tornavo a casa. Invece». Invece guadagna tre euro all’ora, lavora sette ore al giorno e alla fine della settimana prende cento euro: i conti non tornano, all’appello ne mancano 40. «Le trattiene lui per “l’ospitalità”». L’ospitalità è una baracca dal sapore acre, il tanfo dell’umidità misto a quello del vecchio. Dentro, tutti in una stanza, vivono in dieci e sono tutti rumeni. Andrei è l’unico che ci sta da due anni, gli altri si alternano. «Qui dentro comando io. Quando i ragazzi la notte fanno casino, magari si ubriacano, faccio rispettare anche l’ordine». Picchia? «Se è necessario. Ma noi non facciamo male». Significa che non uccidono, al massimo spaventano.

La sua giornata comincia alle sei di mattina, quando dalla stamberga nascosta nel tavoliere infinito si sposta tra Stornara e Stornarella. Il tragitto è di un quarto d’ora, «il furgone lo guido io». Da quando è arrivato Andrei lavora per un italiano, «niente nomi». Lo schiavista è buono. «Non è un infame». Andrei spiega: «Paga sempre, non fa scherzi. Dopo due anni io sono ancora qua». Tradotto: usanza dei caporali – come ha raccontato Fabrizio Gatti nel suo reportage sull’Espresso – è, il giorno della paga, chiamare anonimamente 113 e 112 denunciare «immigrati clandestini che lavorano» al chilometro x. Le forze di polizia fanno il loro mestiere: intervengono ed espellono. I caporali risparmiano. «Ecco queste cose qui non le ha mai fatte». Anche perché, altrimenti Andrei non sarebbe qui. Anche lui è un clandestino. Il futuro per lui è soltanto un nome comune astratto, genere maschile, numero singolare. «Se voglio cambiare vita in Italia non posso. Non ho diritto: a me rimangano soltanto i pomodori, ormai non sopporto nemmeno più l’odore». Può sempre tornare a casa.

«Avrei venduto anche i sogni. E poi loro pensano che io faccio il muratore, anzi come si dice il capo dei muratori». Il capomastro. «No, il geometra». Da qualche giorno Andrei è senza paga. E senza lavoro. «Abbiamo sospeso perché ci sono un sacco di controlli. Vengono i carabinieri ed è un casino: arrestano il padrone e cacciano me». Le giornate così non passano mai. «La mia vita è soltanto questo». Flessioni, allora. L’alcol, due volte è riuscito a intrufolarsi da un gommista. Poi c’è il mal di denti. «Ce l’ho da un sacco di tempo, forse devo tirare ma come faccio?». Tra i buchi enormi nei quali vivono i ragazzi del pomodoro ce n’è uno più grande di tutti. Il più difficile da saltare: la salute, le cure mediche. I primi dati allarmanti emergevano in un rapporto pubblicato da Medici senza frontiere (“I frutti dell’ipocrisia”) nel 2005 sulle condizioni di vita e di lavoro degli stagionali: quelli di Msf hanno un campo nell’altra faccia della Puglia, questa che assomiglia all’Africa. L’anno scorso ha intervistato gli stagionali. Le risposte: il 40 per cento vive in edifici abbandonati, il 50 non ha acqua corrente nel posto in cui vive, il 30 non ha elettricità e il 43,2 non dispone di servizi igienici. Quasi a tutti gli immigrati che hanno richiesto una visita sono state diagnosticate una o più patologie: problemi dermatologici, parassiti intestinali e malattie del cavo orale o malattie respiratorie i casi più frequenti. Conclude Msf: «Buona parte di queste persone vive al di sotto degli standard minimi fissati dall’Onu».