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Istantanea da Lesvos

La situazione cambia, l'emergenza rimane

Foto: "Lifejacket Graveyard", Molyvos, Lesvos

D: Ciao Saverio tu ti trovi sull’isola di Lesvos. Ci fai un quadro della situazione?
R: Il campo di Moria stamani è abbastanza affollato perché da ieri (25 febbraio N.d.R) su richiesta di Atene sono stati bloccati tutti i collegamenti con le isole.
La situazione generale è molto complessa, gli sbarchi sono diminuiti in modo drastico.

Lesvos - Moria, Afghan Hill
Lesvos – Moria, Afghan Hill

A nord dell’isola, zona storica degli sbarchi, distante 9 chilometri dalla Turchia, abbiamo una media di 1 o 2 imbarcazioni al giorno, gli sbarchi avvengono di notte. Ad ottobre solo durante il giorno ne arrivavano fino e 90.
Non c’è grande movimento di Guardia costiera dal lato turco, quindi molto probabilmente il blocco avviene sulla terra ferma, da parte delle autorità turche.
La missione Nato è partita perché davanti all’aeroporto stamattina c’era un cacciatorpediniere credo tedesco, sicuramente non greco.
Gli sbarchi al sud dell’isola, che dista dalla Turchia 20/25 chilometri, sono aumentati: la Guardia costiera (sotto diverse bandiere), al comando Frontex, intercetta i gommoni in mare e li scorta al porto dove gli autobus di UNHCR e MSF li trasportano ai centri di registrazione.
Sull’isola ora ci sono circa 1.500 persone, devono aspettare nei campi, supportati dal lavoro straordinario dei volontari.
Moria non è l’unico, è il campo storico degli afgani, che da anni approdano sull’isola, l’altro è Karatepe, dove vengono ospitati i siriani. E’ gestito da IRC e autorità locali. Sono stato lì questa mattina, la situazione è più tranquilla ci sono meno persone rispetto a Moria, che è invece gestito da una DRC insieme alle autorità locali.

In Macedonia la situazione è completamente bloccata, ci sono 5.000 persone, non lasciano passare gli afghani e gli iracheni: è lo stallo (N.d.R. questa mattina 29 febbraio i migranti hanno sfondato un punto della recinzione a Idomeni).
Il quadro in Turchia è tragico: ci sono 2 milioni e 300 mila rifgiati (fonte UNHCR), 800mila sono nei campi a Istanbul e sono lì che aspettano. L’ingresso in Turchia, al confine turco siriano, è molto filtrato, sembra che facciano passare solo famiglie con bambini piccoli.
La sensazione qui a Lesvos, è che da un momento all’altro possa cambiare qualcosa. Dai rapporti che ho letto, se in Turchia lasciano la presa per un paio di giorni l’isola diventa un inferno. Sono lì sulla spiaggia turca che aspettano di partire, ma sono bloccati.
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D: Tu hai scritto per Melting Pot un bellissimo reportage “Lesvos, il laccio emostatico dell’Europa“, dicevi che sull’isola ci sono ancora tantissimi volontari. Cosa stanno facendo in questo momento?
R: Il lavoro dei volontari è diviso tra il sostegno nei campi e il lavoro sulle spiagge, dove la situazione dal lato greco è abbastanza sotto controllo. Non ci sono le grandi ONG sulle spiagge. UNHCR ha costruito un campo di sosta a pochi chilometri dalla spiaggia al nord e IRC, ha costruito un altro campo di sosta, in una posizione discutibile, sulla scogliera, che è attualmente vuoto.
La maggior parte del lavoro in spiaggia lo fanno i volontari indipendenti con due tipi di azione. La prima è il soccorso in spiaggia: considera che arrivano principalmente di notte, completamente bagnati e spaventati. I volontari li accolgono, li asciugano, cambiano i vestiti bagnati e li lasciano riposare nei due campi indipendenti predisposti sulla spiaggia: ci sono tende riscaldate a isolate da terra con i giubbotti di salvataggio che vengono lasciati sulle spiagge.

27 febrero Lesvos Fotomovimiento from Fotomovimiento on Vimeo.

L’altro ruolo importante, un vero salvavita, è quello che svolgono i ragazzi spagnoli di Proactiva e i ragazzi norvegesi di Team Humanity. Con lance veloci e moto d’acqua intercettano i gommoni in acque greche e li scortano in sicurezza sulle spiagge. Normalmente sono circa 45/50 persone su un’imbarcazione che potrebbe portarne 18 e dopo la traversata che dura circa un’ora e mezza, spesso arrivano in spiaggia in condizioni critiche, non riescono a camminare, non riescono a scendere.
Nei due campi di registrazione (Moria e Kara Tepe), al sud, vicino la capitale Mytilini, i rifugiati vengono registrati ed ottengono quel famoso “foglietto” che permette loro di prendere il traghetto e proseguire il viaggio.
I volontari, soprattutto a Moria, hanno allestito una serie di tende sotto il campo vero e proprio, che è una sorta di caserma: c’è una cucina, ci sono delle stanze per cambiarsi, dei dormitori, una piccola moschea.
Tra i volontari, volevo raccontarti la storia di una signora, di origini australiane, che ha fondato una piccola associazione che si chiama Dirty Girls (Le ragazze sporche), un progetto secondo me straordinario. Raccolgono sulle spiagge i vestiti e le scarpe bagnate, li lavano e li riconsegnano ai volontari che in questo modo possono cambiare chi arriva con vestiti asciutti. E’ una cosa piccola ma straordinaria.

Emilia (Militsa) Lesvos - Kamvisi (83), Eustratia Mavrapidi (89) e Maritsa Mavrapidi (85)
Emilia (Militsa) Lesvos – Kamvisi (83), Eustratia Mavrapidi (89) e Maritsa Mavrapidi (85)

D: Nel tuo reportage e nei tuoi post su Facebook spesso racconti la straordinaria generosità degli abitanti dell’isola. Raccontaci delle persone che hai conosciuto…
R: Ne conosco tanti di ragazzi greci, molti si sono uniti a queste piccole ONG di volontari indipendenti, norvegesi, svedesi, spagnoli.
Altri invece lo fanno perchè si trovano nel condizione, nel momento e nel luogo per cui lo devono fare.. Conosco Stratos, un giovane pescatore di circa 40 anni, del villaggio di Skala Sikaminea, il cuore dell’azione, dove tutto si coordina: Skala, circa 150 abitanti, è il punto di appoggio logistico dei volontari ed è proprio su quel tratto di costa, da Skala a Molivos, che avvengono gli sbarchi al Nord.
Stratos è un pescatore e centinaia di volte gli è capitato di soccorrere delle imbarcazioni anche quando la macchina operativa dei volontari non esisteva. E’ stato candidato, assieme ad un’altra abitante dello stesso villaggio, Emilia, una signora di 81 anni, al Premio Nobel per la pace del 2016. Emilia è stata fotografata mentre, seduta su una panchina insieme a due signore anziane, allattava con il biberon un bambino afghano. Questa foto ha fatto il giro del mondo. Altra candidatura invece, è andata alle isole greche per il loro impegno nell’affrontare la crisi.

Links utili:
Dirty Girls Of Lesvos Island