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Italia – La fabbrica dei clandestini

Da Lampedusa ad aree militari, dalle tendopoili ai CARA trasformati in CIE. Melting Pot nelle prossime ore a Lampedusa

Se c’è un conflitto ed un’area sconvolta da tre mesi di rivolte e rivoluzioni puoi scegliere di restare o di partire per tanti motivi. Ma se ce la fai sarà qualcun altro a decidere chi sei e cosa sarai.

Il Governo italiano, alle prese con l’emergenza auto-prodotta con la decisione di blindare Lampedusa, non ha nessuna intenzione di concedere una protezione temporanea agli sfollati provenienti dal Maghreb, a chi per tanti motivi ha scelto di andarsene per poco o per sempre, a chi ci ha provato o a chi non aveva altra scelta. Eppure l’art. 20 del Testo Unico sull’immigrazione fornisce gli strumenti per rispondere alla situazione: protezione temporanea, così come stabilito dal d.lgs. 85 del 2003.

In queste ore si susseguono annunci, tentativi di gestione politica, meschine operazioni di detenzione mascherata da accoglienza.

I CARA sono in procinto di essere completamente svuotati per essere convertiti in CIE attraverso la deportazione a Mineo di centinaia di richiedenti asilo, con buona pace per il percorso della loro domanda, del loro ricorso, delle reti di solidarietà ed assistenza attivate intorno a loro.
Il destino di queste strutture sarà, dopo la conversione degli stabili, quello di centri detentivi.

In barba ad ogni garanzia del diritto d’asilo, dei principi cardine dell’accoglienza, delle stesse disposizioni della legge sull’immigrazione, in queste ore, si sta procedendo, ancora in un gioco a somma negativa, al trasferimento dei migranti approdati sull’isola di Lampedusa. “Sono clandestini”, tuonano il Ministro dell’Interno ed i suoi vicini alleati, e quindi per loro il futuro è il rimpatrio. Non che ci piaccia l’idea, ma tanto per dar conto dei numeri dei rimpatri finora attivati, dovremmo procedere con un microscopio: sono circa 4 al giorno le persone “accompagnate” in Tunisia, per un totale di circa 300.
La realtà è invece quella di una complessiva ridefinizione del sistema italiano di detenzione/confinamento/accoglienza, per cui, con un apparente (ma da verificare) incentivo ai progetti dello Sprar, si sta procedendo alla diffusione di luoghi e tempi della carcerazione dei migranti.

La nave militare “San Marco” traghetterà in queste ore centinaia di migranti verso la Puglia in zone militari messe a disposizione dal Ministero della Difesa, nonostante proprio ieri vi fosse stato un tavolo con le regioni in cui l’argomento non era stato affrontato.
Dall’altro lato alcuni ponti aerei stanno già iniziando a trasferire i migranti nei CARA pugliesi.

Il panorama fino a qui delineatosi racconta una realtà confusa e assolutamente artigianale, con misure prese contro ogni dettato normativo a partire dalla selezione tra chi ha diritto a presentare la domanda d’asilo e chi invece è considerato “clandestino”, a seconda della disponibilità di posti nei CARA, nei CIE, o in altre aree come quelle del demanio militare.

Detenzione, confinamento, carcerazione, attesa, non sono certo una novità, ma in queste ore si stanno mostrando in tutta la loro essenza: questo, non altro, è il modo di regolare la vita dei migranti in questo paese ed in Europa.

Il paradosso è il risultato finale di queste operazioni: detenzione diffusa, allargamento e ricognizione di struttre di confinamento, tempi della detenzione fino a sei mesi e fabbrica della clandestinità a pieno regime.

I numeri parlano chiaro: 15.000 migranti sbarcati, di cui 5.000 oggi presenti ancora sull’isola, circa 2.000 trasferiti. All’appello ne mancano tra i 5.000 e gli 8.000 che il Ministero dice di aver già “distribuito” sul territorio senza contare che la capienza dei CIE e dei CARA sono fatti pubblici.
La fabbrica della clandestinità è insomma a pieno regime con respingimenti differiti e ordini di allontanamento che consegnano i migranti ad una “libertà” condizionata permanentemente dal ricatto della legge, del ritorno nei CIE, dello sfruttamento, della carcerazione.

In molti hanno tentato di raggiungere l’altra Europa, quella che sembra averci abbandonato, quella a cui il Ministro chiede aiuto.
Ma il problema non è stabile se altre regioni o altri stati possano e debbano accollarsi la distribuzione dei “pacchi migranti” approdati nella costa Sud, piuttosto quello invece di affermare una nuova dimensione della cittadinanza Europea e con essa della libera circolazione, di un diritto d’Asilo Europeo che tra Schengen e Dublino rimane una kimera limitata a politiche comuni (peraltro mai tali).

Questo richiamano le migliaia di migranti che hanno sfidato i dispositivi di controllo delle frontiere europee reclamando Parigi, Londa, Berlino e ritorvandosi invece incarcerati a cielo aperto, imbrigliati da una politica e da una legge che intorno a loro ridefinisce continuamente le autorità, dello Stato, della Politica, dei confini.

In migliaia verranno deportati, in migliaia verranno detenuti, in migliaia verranno poi reintrodotti nel circuito della clandestinità: la fabbrica dei clandestini non sente crisi. Ventimiglia già a tratti comincia ad assomigliare ad una enclave. La Francia ha triplicato i controlli alla forntiera libera di Schengen. L’Italia preferisce consegnare al limbo dell’attesa piuttosto che riconoscere la dignità della speranza.

Noi non stiamo a guardare.

Già nelle prossime ore saremo a Lampedusa per connettere insieme ai Lampedusani l’isola a tutti noi.
Saremo lì a dire e costruire WELCOME. Perchè quella di Lampedusa non è accoglienza ma una prigione, perchè la detenzione ed il confinamento non sono la soluzione ma il problema. Per costruire dal basso il diritto di scelta insieme ai migranti sbarcati. Per incontrarli e ritrovarli in futuro. Per costruire la nostra carovana sfidando insieme a loro l’Europa dei confini, anche interni, guardando alla mappa dei CIE, dei CARA e dei luoghi di confinamento distribuiti nel territorio come la rotta del nostro viaggio.