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Iter per diventare rifugiati a Padova i no sono il 60%

Alberta Pierobon, Il Mattino di Padova, 9 settembre 2015

Padova. È da aprile che a Padova è stata attivata una Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Ed è lì, nell’ufficio Immigrazione della Prefettura, in piazza Zanellato alla Stanga che dalle 9.30 fino a sera, cinque giorni alla settimana, vengono fatte le audizioni ai migranti che hanno fatto richiesta per ottenere lo status di rifugiato. Si alternano persone che arrivano soprattutto da Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Pakistan e Bangladesh, ne vengono convocate 16 al giorno e tutte alle 9.30: le attese sono lunghe e sprofondate in un ansioso silenzio che si taglia col coltello.

Le audizioni possono durare una-due ore, a volte anche più: sono veri e propri “interrogatori”, con traduttore sempre presente, durante i quali i richiedenti asilo devono spiegare e dettagliare quanto più possibile i pericoli dai quali sono fuggiti nei loro Paesi: le situazioni drammatiche, le persecuzioni, le bombe che esplodono, i cadaveri dei parenti uccisi, le torture. Non è contemplata la protezione per chi scappa da fame e miseria: «È come se ci fosse una gerarchia di morte», commenta Luca Bertolino, 29 anni, di Razzismo Stop. «Se muoio di guerra ok, se muoio di fame no. Possono anche bombardare i barconi ma è un processo irreversibile. E più la giunta crea chiusura, e li emargina, più aumenta il rischio degrado». Ma vabbè, questo non dipende dalla commissione padovana.

Commissione che, spiega Antonello Roccoberton, vice prefetto e presidente della commissione, da aprile ha esaminato 750-800 posizioni su duemila richieste: «Se non arrivassero altre domande, per la fine dell’anno le avremmo esaminate tutte ma è ovvio che così non sarà, anzi», prosegue. Risultato: 442 rigetti pari al 60 per cento; al 20 per cento è stato concesso un permesso umanitario (dura due anni ed è più “debole” dello status di rifugiato); al 14 per cento un permesso sussidiario (durata triennale, viene dato a chi non ha i requisiti per lo status di rifugiato ma tornando nel suo Paese correrebbe gravi rischi). Infine solo al 6 per cento è stato concesso lo status di rifugiato. Una media abbastanza bassa.

Dai dati cumulativi italiani emerge che su 10mila richieste vagliate nei primi tre mesi del 2015, la metà è stata accettata ovvero il 50%. La commissione padovana oltre che per Padova, ha competenza per Venezia e Rovigo: «Ci sono state assegnate anche 280 pratiche da Verona, che ha competenza per Treviso, Vicenza e Belluno. Per inciso a Verona c’è il 58 per cento di rigetti», aggiunge Roccoberton. Fanno parte della commissione padovana, oltre al rappresentante prefettizio, un funzionario di Polizia, un rappresentante designato dal Comune (finora è stata Federica Pietrogrande, leghista, presidente del consiglio comunale, la cui presenza ha sollevato polemiche come avessero messo una volpe a fare volontariato in un pollaio; adesso comunque sono stati designati altri due professionisti esterni che si daranno il turno). Infine c’è un rappresentante Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati). Il loro gettone è di 90 euro lordi (in tasca una cinquantina) a testa al giorno.

Ognuno dei quattro riceve i richiedenti singolarmente, viene stilato un verbale sulla testimonianza, preciso e dettagliato fin nei momenti di pianto, di commozione. Dopo inizia una sorta di istruttoria, a carico dei componenti della commissione, per verificare le informazioni avute (esempio: parenti uccisi in una strage di Boko Haram nel sud della Nigeria, se il quando e dove coincide). Infine la decisione caso per caso, arriva dopo un mese circa dalla commissione riunita, a maggioranza. Nell’eventualità di voti pari, quello del presidente vale doppio.

Se la richiesta viene rigettata, la persona è invitata a lasciare l’Italia entro 15 giorni, insomma a volatilizzarsi; può però presentare ricorso entro 30 giorni, e riceverà un altro permesso di soggiorno; il tribunale dove decidere entro tre mesi. Davanti a un secondo rifiuto l’immigrato può restare e fare ricordo in appello. Va da sé la strada è assai complicata.

Alberta Pierobon