Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Repubblica del 6 ottobre 2003

L´economia del “melting pot”

Italia, cresce la ricchezza prodotta dagli extracomunitari

Studi ed indagini rivelano il contributo economico sempre più rilevante degli immigrati

Centinaia di migliaia di cittadini di paesi extra-Ue sono iscritti all´Inps

Secondo una stima, l´apporto dei lavoratori stranieri equivale ormai al 6% del Pil nazionale contro il 3,7% del 2000

Un´indagine Cnel Censis ha calcolato che i lavoratori stranieri rappresentavano nel 2001 il 60% della forza lavoro stagionale

Roma – Immigrati come risorsa: ma è davvero così come dicono il presidente Ciampi, il premier Berlusconi, il governatore della Banca d´Italia Fazio? Forse sì, a giudicare dai primi studi effettuati da diversi osservatori.
Statistiche ufficiali, com´è comprensibile, non ce ne sono trattandosi di un mondo fluido, in movimento, spesso pure sommerso. Ma qualche segnale significativo è disponibile. Per esempio: l´economista Tito Boeri, uno dei fondatori del sito “Lavoce.info” ha calcolato che i lavoratori extracomunitari contribuiscono per il 6% al Prodotto interno lordo italiano. E questa percentuale è probabilmente in crescita. Nel 2000, secondo una ricerca della Caritas, i lavoratori extracomunitari erano 633 mila e, all´epoca, avevano prodotto ricchezza per 73 mila miliardi, una cifra equivalente al 3,7% del Pil. E rispetto al 1997, il loro apporto era già quasi triplicato.
Sempre Boeri e i suoi esperti hanno misurato il «valore», se così si può dire, che gli italiani assegnano alla presenza degli immigrati nel paese. Viene fuori che per i servizi integrativi, cioè per la formazione e l´educazione civica dei soggetti stranieri, i cittadini sarebbero disposti a pagare 31 euro l´anno. Per lasciarli fuori dai confini e dunque per aumentare i controlli alle frontiere impedendogli le vie d´accesso, questi stessi cittadini dicono di essere disposti a sborsare «solo» 23 euro l´anno. In pratica, sul piano delle scelte economiche individuali prevale il desiderio – e anche la convenienza – di accogliere gli immigrati perché appunto, al dunque, sono una risorsa.
Una riprova, sia pure indiretta, viene dalla moratoria: sempre Boeri ha calcolato che per regolarizzare i lavoratori sommersi (circa 700 mila richieste) gli italiani hanno speso l´equivalente di un sesto della famosa eurotassa, l´obolo speciale che l´allora ministro del Tesoro Ciampi invocò per garantire la presenza dell´Italia nell´euro.
Un altro possibile strumento per misurare il valore della risorsa-immigrazione è rappresentato dai dati dell´Inps. Già prima della moratoria, i soggetti iscritti all´Istituto erano circa 400 mila e contribuivano per 1.100 milioni di euro alle casse previdenziali. Con la legge Bossi-Fini, solo le colf e le badanti emerse sono state 343 mila e hanno versato importi per 99,5 milioni di euro. I lavoratori subordinati sono stati 358 mila per 250,7 milioni di euro. Va inoltre considerato che l´Inps non ha stipulato convenzioni o non le ha ratificate o ancora è solo in trattative con numerosi paesi tra cui, per esempio, Filippine, Marocco, Cile, Polonia, Romania e Sri-Lanka che poi sono le zone di provenienza di molti immigrati in Italia: senza questo disco verde, i denari resteranno depositati presso l´Inps ed in qualche maniera contribuiranno a rimpinguare le risorse per la previdenza.
Altre stime. Una indagine Cnel-Censis che risale al 2001 ha calcolato che i lavoratori stranieri rappresentavano il 60% della forza lavoro stagionale. Di questi, la maggioranza erano impiegati in agricoltura. E dunque erano basilari per questo genere di produzioni. Seguivano i servizi, l´industria, gli ambulanti. Una rilevazione della Camera di Commercio di Milano dimostra invece che l´anno scorso un posto su 4 era affidato agli extracomunitari con il seguente profilo: manovali, muratori, operai camerieri, addetti ai servizi, trasportatori, commessi ma anche insegnanti e tecnici informatici.
Un rapporto della Società geografica italiana, presentato di recente alla Camera dei Deputati, conferma infine che nel 2002 a mantenere in piedi l´economia hanno contribuito anche 2,5 milioni di immigrati attivi in Italia. E dimostra anche che dalle mortadelle modenesi alle mozzarelle di bufala del napoletano fino al pomodoro foggiano, il made in Italy non può più fare a meno della manodopera oltre confine. Soprattutto nel Nord est, la gran parte delle piccole imprese si regge sui lavoratori d´importazione.

di Elena Polidori

L´inchiesta

Sono soprattutto le Pmi ad assumere immigrati: quote ridotte, invece, nei gruppi di ampie dimensioni

Ma nella grande industria gli stranieri sono una rarità

Per loro solo mansioni di bassa manovalanza La Lombardia è la Regione che assume più extracomunitari, seguita dal Veneto

Roma – Il governatore Antonio Fazio guarda con favore agli immigrati e al loro contributo per la crescita della ricchezza del paese, ma la Banca d´Italia non ha al suo interno nessun lavoratore straniero. Lo vieta la legge. Le assunzioni all´Istituto sono solo per concorso, a titoli ed esami, riservato ai cittadini italiani. Domani, con le nuove generazioni nate entro i confini, la situazione è destinata a mutare.
Il gruppo Luxottica, invece, pur essendo l´area di Belluno una zona di scarsa immigrazione, dà lavoro a 60 stranieri su 5000. Vengono dal Nord Africa, dalla Romania, dall´ex blocco sovietico e la loro collocazione è quella cosiddetta della manovalanza media.
Alla Fiat lavorano circa 400 extracomunitari, su 86 mila dipendenti, di cui la metà solo nell´area torinese. Vengono dal Nord Africa e dall’est europeo e sono tutti integrati. Il dato va considerato alla luce di due elementi. Primo: l´azienda non assume più nessuno da qualche anno. Secondo: tutti i lavori a livello più basso, dalle pulizie tecniche ai servizi, sono affidati a ditte esterne.
Divella, uno degli industriali della pasta più famosi, nell´impianto in provincia di Bari impiega un solo straniero su 250 dipendenti: è un marocchino addetto all´ufficio commerciale.
Il gruppo Benetton, che ha già delocalizzato molte produzioni in paesi dove il costo del lavoro è più conveniente, impiega 150 persone provenienti dall´ Europa dell´est, dalla Cina, dal Nord Africa tutte con la qualifica di «tecnico» medio-alto. I dipendenti italiani sono 2500.
Il gruppo Merloni ne impiega 125 (su 5000), tutti operai nord africani e tutti concentrati nelle fabbriche vicino Bergamo, Treviso e Torino. L´azienda ha cercato anche di assumere un pò di manodopera ben qualificata, ma confessa di aver rinunciato per i troppi vincoli burocratici incontrati.
Negli organici del gruppo Telecom figurano 150 stranieri (su 81 mila dipendenti) in massima parte provenienti da ogni angolo d´Europa.
Sono i risultati di una mini-inchiesta effettuata da Repubblica. Mini, ma significativa perché in qualche modo ribadisce quel che tutti già sanno e cioè che gli immigrati sono una presenza forte soprattutto nelle piccole e medie imprese e soprattutto nel Settentrione. Nella grande industria invece i lavoratori stranieri sono una rarità anche perché sono quasi sempre impiegati per mansioni di bassa manovalanza e queste sono spesso appaltate a ditte esterne.
Racconta Bruno Manfellotto nel suo «S-Profondo Nord» (Sperling & Kupfer) che ad un corso per raccoglitori di pomodori e meloni di Castiglione delle Stiviere si sono presentati in 43: tre soli padani e il resto marocchini, tunisini, slavi e albanesi. E racconta ancora che nelle stalle di Porto Mantovano, dove si estende l´impero del Grana Padano, i mungitori sono ormai solo sikh del Punjab, i più bravi. Così come tra Modena e Reggio la maglieria è in larga parte affidata ai cinesi dello Zhijang.
Secondo le statistiche della Camera di Commercio di Milano, la Regione che assume più immigrati è la Lombardia : oltre 33 mila, il 20 per cento del totale. Seguono il Veneto (22 mila, il 13,5 per cento del totale) e l´Emilia Romagna (circa 19 mila, l´11,5 per cento). Il Sud è praticamente a zero.
La maggior parte delle aziende che assumono i lavoratori stranieri ha un massimo di 9 dipendenti

(e.p.).

Il caso

La Dalla Favera ha 48 addetti stranieri su 51

A Vidor l´azienda più multietnica

Il titolare, Marco Bassetto: “Qui siamo tutti uguali. E loro lavorano sodo”

Treviso – Ai trevigiani preferisce marocchini, bosniaci, nigeriani. Tant´è che, su 51 dipendenti, Maurizio Bassetto ne conta appena 3 di nazionalità italiana. Bassetto è titolare di Nadia Dalla Favera, impresa che ha fondato sette anni fa a Vidor, a mezza via fra Treviso e Belluno. «Non è questione di fare preferenze – spiega Bassetto – ma di badare ai fatti. Gli immigrati hanno voglia di imparare, lavorano sodo e con loro è possibile programmare un rapporto di lungo periodo. L´ italiano tende sempre più a cercare un posto di lavoro da intellettuale, quando per sbaglio o necessità capita qui, appena può se ne scappa via». E allora ben vengano gli extracomunitari in quest´impresa che piccola non è più e che ha, fra i propri clienti, big del settore vinicolo come Martini, Carpenè Malvolti, Zonin. Nadia Dalla Favera, alle bottiglie di prosecco piuttosto che di lambrusco frizzante o chardonnay, in luogo della tradizionale legatura del tappo con una capsula metallica, applica un particolare nodo realizzato in corda. Un tocco che conferisce pregio ulteriore ai 14 milioni di bottiglie addobbate. Una lavorazione che l´anno scorso ha portato a Vidor 1,2 milioni di euro. «Siamo contenti dell´andamento dell´azienda – dice l´imprenditore – perché cresciamo con regolarità e abbiamo lavoro durante tutto l´anno. Non posso che ringraziare i miei lavoratori, i miei immigrati, perché senza di loro questa azienda non ci sarebbe». Può apparire stravagante che a occuparsi di un tipico prodotto italiano, a trattare un prosecco a denominazione di origine controllata, siano mani straniere. Ma anche queste sono le vie della globalizzazione e Bassetto tiene a testimoniare che «con buona volontà e disponibilità reciproca ogni incomprensione, ogni contrasto può essere appianato». Da principio i giovani che arrivano dall´Africa Nera o dai Balcani faticano per esempio a trovare il ritmo, a usare le tecnologie, a inserirsi in una catena produttiva. I lavoratori di fede musulmana non tollerano di ricevere ordini da un caporeparto se questi è una donna. La lingua è un ostacolo da superare giorno dopo giorno. La costruzione dei turni di lavoro tende a favorire le abitudini di preghiera degli islamici. «Con qualche fatica – conclude Bassetto – ma nella consapevolezza che qua dentro siamo tutti uguali, vi dico che è possibile costruire un clima che, se non apparisse retorico, definirei familiare e amichevole».

Paolo Possamai

Le Piastrelle

Sassuolo, il lavoro arriva dal Marocco

Per sostenere la fase di continua espansione, le aziende del polo delle piastrelle di Sassuolo assumono sempre più lavoratori stranieri, soprattutto del Marocco, perché gli italiani, vista la bassa disoccupazione nell´area (2,5% circa), evitano le mansioni umili.

Le concerie

Nel vicentino si parla straniero

Nella vallata del Chiampo, vicino Vicenza, famosa per le sue 700 concerie, un quarto della popolazione è formato da marocchini, indiani, nigeriani, ghanesi, serbi e albanesi che lavorano le pelli al posto degli italiani, per circa 1.000 euro al mese con gli straordinari.