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“L’Inghilterra sembrava così vicina”: rifugiato quindicenne muore schiacciato da un camion a Calais

Amelia Gentleman, The Guardian - 16 gennaio 2018

Photo credit: Alecsandra Raluca Dragoi

Qualche ora prima di morire, Abdullah Dilsouz giocava a cricket, assieme ad altri ragazzini profughi nell’area dietro il porto di Calais. Gli amici raccontano come fosse eccitato all’idea di essere vicino alla fine del lungo viaggio che lo aveva portato lì dall’Afghanistan e fiducioso di riunirsi presto con il fratello a Londra.
Ma, il 22 dicembre, il quindicenne è stato investito da un camion frigorifero.

Abdullah è uno dei tre richiedenti asilo uccisi sulle strade nei pressi del porto il mese scorso. Un quarto è stato ferito gravemente ed è ancora in coma, mentre domenica notte un profugo iracheno ha perso le gambe investito da un treno vicino Dunkirk.

Le associazioni umanitarie dicono che le morti sono la conseguenza del peggioramento delle condizioni dei migranti in Francia del Nord, tali da spingerli a rischiare di più pur di arrivare in Regno Unito.

L’arrivo a Calais martedì scorso del Presidente Macron per risolvere la riaccesa questione della gestione dei rifugiati in collaborazione con le associazioni e le autorità locali (in attesa del summit con Teresa May previsto per giovedì) è prova del fatto che le terribili condizioni dei circa 80 minori non accompagnati richiedenti asilo sono di nuovo in cima nell’agenda politica.

Secondo i media francesi Macron intenderebbe chiedere alla May di consentire l’ingresso in Regno Unito a minori non accompagnati e adulti con famiglia, oltre a maggiori fondi per la gestione della crisi migratoria nella Francia settentrionale.

La morte di Abdullah, che aveva pieno diritto di arrivare nel Regno Unito secondo la legge per il ricongiungimento familiare, ha avuto poco risalto tra le notizie francesi.

Le morti dei migranti sono diventate routine (ce ne sono state più di 200 dal 1999); ciononostante, quest’ultima tragedia ha generato grande angoscia tra i volontari che stavano cercando di offrirgli sicurezza.

L’associazione Safe Passage ha lanciato una petizione rivolta ai governi francese e inglese perché assicurino che non ci saranno più morti sul confine. La speranza è che i ministri, al summit Anglo-francese che si terrà questa settimana, accettino di velocizzare i processi di asilo e istituiscano percorsi legali e sicuri per il viaggio dei bambini profughi verso il Regno Unito.

Jan Agha, 21 anni, era con suo cugino Abdullah la notte in cui è morto. Entrambi sono nati in un piccolo villaggio della provincia di Nangarhar, un’area travagliata di cui Talebani e Stato Islamico si contendono il controllo.

Dopo un lungo viaggio attraverso l’Europa e senza soldi per pagare la traversata della Manica ai trafficanti, ogni notte cercavano un modo alternativo; aspettavano agli svincoli autostradali vicino al porto, nella speranza che qualche camion passasse abbastanza lentamente da permettere loro di arrampicarsi e nascondersi.

Non c’è un modo sicuro per farlo; è davvero pericoloso ogni volta che ci provi” ha raccontato Agha tramite un interprete. “Quella notte, nessuno di noi aveva tanta voglia di camminare verso l’autostrada, eravamo esausti. Ma faceva freddo nel bosco dove stavamo dormendo, così abbiamo deciso di riprovarci.

Abdullah stava camminando sulla strada dietro suo cugino. Poco dopo le 23 Agha si è girato per controllare che il ragazzo lo stesse ancora seguendo e ha visto che un camion che viaggiava ad alta velocità verso il porto investirlo. L’autista non si è fermato, il quindicenne è stato trascinato per circa 100 metri. Quando Agha ha trovato il corpo di suo cugino è svenuto per lo shock.

Qualcuno ha chiamato la polizia, ma l’autista non è stato rintracciato. Agha ha trascorso qualche ora in ospedale e ha fornito dettagli dell’incidente alla polizia, prima di tornare a dormire in una tenda nel bosco. Quest’esperienza l’ha traumatizzato a tal punto da fargli rinunciare a raggiungere il Regno Unito. Ora spera di ottenere asilo in Francia. Purtroppo però la procedura di registrazione non è semplice e, nello stesso tempo, continua ad essere importunato dalla polizia locale che recentemente gli ha spruzzato gas lacrimogeno mentre dormiva.

La polizia passa regolarmente, a intervalli di alcuni giorni, a qualche centinaio di metri dal sito del vecchio campo, demolito nell’ottobre del 2016. Ogni volta, gli agenti chiedono alle diverse centinaia di persone provenienti da Eritrea, Sudan, Etiopia e Afghanistan che vivono nella boscaglia di sgomberare.

Le associazioni stimano che sono circa 1.000 i migranti accampati a Calais e Dunkirk; la maggior parte di loro sognano di proseguire verso il Regno Unito per ricongiungersi con le famiglie. Le autorità locali sono determinate nel voler evitare una ricostituzione del vecchio campo, in cui erano ammassati circa 10.000 migranti in stretto isolamento, e nel voler rendere la vita dei migranti difficile nella convinzione (per lo più errata) che questo fermerà l’arrivo dei profughi.

Una relazione pubblicata alla fine dello scorso anno da Helprefugees è arrivata alla conclusione che le condizioni sanitarie erano “significativamente al di sotto” degli standard umanitari riconosciuti a livello internazionali e ha segnalato un “rischio per la salute pubblica”.

Un recente rapporto delle Nazioni Unite ha posto l’accento sulla gestione dell’acqua potabile e servizi igienici: solo 10 bagni chimici e 10 rubinetti per 700 migranti.

Le condizioni sono davvero peggiorate negli ultimi mesi; c’è stata più violenza da parte della polizia, e maggiori azioni di dissuasione a restare qui. Ogni tentativo di costruire un nuovo campo viene bloccato. La polizia spruzza gas lacrimogeni sugli accampamenti, e non si può dormire in un sacco a pelo spruzzato di gas” ha riferito Rowan Farrell, volontario dell’associazione Refugee Info Bus.

Quando le temperature scendono sotto lo zero, un magazzino apre le sue porte e offre spazi per dormire a circa 200 persone. L’apertura inaspettata del centro di accoglienza due notti prima della visita di Macron, nonostante le temperature relativamente miti ha causato molti malumori. Infatti la struttura è rimasta chiusa per tutto l’inverno precedente.

Abdullah è stato a Calais per 45 giorni, ed era stremato. “Non avevamo né dove stare né acqua. Non sapevamo sarebbe stato così” ha detto Agha. “Eppure era così felice di esserci quasi. Sperava di arrivare a Londra e incontrare il fratello che non vedeva da sette anni. L’Inghilterra sembrava così vicina, voleva continuare a provare e arrivarci.”

Agha descrive Abdullah come una persona molto tranquilla e intelligente che voleva continuare a studiare. Ha preso il suo telefono per mostrare una foto di Abdullah all’obitorio, coperto fino al collo con un telo bianco. “Voglio assicurarmi che nessun’altro soffra così.

L’associazione Refugee Youth Service aveva segnalato la condizione di Abdullah alle autorità locali il 14 dicembre, avvertendo che si trattava di un minore non accompagnato in pericolo e che era necessario attivare i servizi di protezione per l’infanzia. Sabriya Guivy, consulente legale dell’associazione, ha riferito che a dicembre non c’era spazio negli alloggi di emergenza dedicati ai giovani, e che era anche stata fatta confusione sul suo nome. Non gli è stato quindi offerto nessun posto dove stare.

Alcuni avvocati volontari erano pronti ad aiutarlo con la procedura di ricongiungimento, per permettergli di raggiungere il fratello diciannovenne a Londra, ma a causa dei lunghi tempi burocratici e della sua scarsa affidabilità, molti ragazzi preferiscono rischiare la propria vita ai margini delle strade che passare mesi ad attendere un qualcosa che potrebbe non arrivare.

Una settimana dopo la morte di Abdullah, un tir di rotoli di carta è finito in un fosso; all’interno è stato trovato un migrante rimasto schiacciato tra i rotoli. La scorsa settimana, il 9 gennaio, un altro migrante è stato ritrovato sulla A16, si ritiene che sia morto cadendo da un veicolo in corsa.

Loan Torondel, che gestisce il locale istituto di beneficienza L’Auberge des Migrants, contesta il fatto di doversi assumere la responsabilità che spesso ricade su di lui, ventunenne inesperto, di chiamare i familiari del morto. “Di solito, se un bambino muore in un incidente stradale, sono le autorità a chiamare la famiglia e a esporre i fatti. A Calais non è così. Dobbiamo farlo noi”, ci ha detto. La sua organizzazione ha raccolto i fondi necessari per il rimpatrio della salma di Abdullah.

È molto difficile spiegare ai genitori cosa è successo, perché non capiscono la situazione di Calais. Non so cosa dire quando mi chiedono: Perché mio figlio si è arrampicato su un camion in corsa per andare in Gran Bertagna? Ci si sente davvero male quando i familiari arrivano a Calais e ci siamo solo noi ad accoglierli alla stazione, nessuno della prefettura.”

I politici francesi e britannici dovrebbero capire che la realtà di Calais non è destinata a scomparire e che è necessario garantire ai profughi sicurezza e dignità umana, ha aggiunto Torondel. “Le persone muoiono perché non hanno una via sicura per attraversare il confine. Abbiamo bisogno di sistemazioni dignitose per i profughi, abbiamo bisogno di procedure migliori per la richiesta di asilo in Francia, occorrono vie legali più veloci per il ricongiungimento con le famiglie nel Regno Unito”.