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da Il Manifesto del 29 aprile 2005

«L’Italia paga le espulsioni dalla Libia»

di Cinzia Gubbini

Quarantasette voli charter partiti dalla Libia verso altri paesi africani dal 16 agosto 2003 al dicembre 2004. A bordo 5.688 migranti espulsi, oltre cento dei quali rimandati in Eritrea, un paese dove chiunque sia fuoriuscito illegalmente è considerato un disertore e rischia dunque la pena capitale. Il tutto finanziato dall’Italia, in base ad accordi che non sono mai stati messi in mano agli organi parlamentari nazionali nonostante le innumerevoli sollecitazioni. Ora uno stralcio di luce arriva da un documento della Commissione europea, che tra il 28 novembre e il 6 dicembre 2004 ha inviato un team di 21 persone in Libia. Obiettivo: rafforzare la cooperazione europea con il paese nordafricano per combattere l’immigrazione clandestina. Il risultato è un documento agghiacciante di cui il Consiglio europeo ha discusso il 14 aprile senza cercare troppa pubblicità e senza renderlo pubblico. L’Espresso, oggi in edicola, ne pubblica ampi stralci. Di quel documento è venuta in possesso – attraverso canali non istituzionali – anche la senatrice dei verdi Tana De Zulueta, vicepresidente della commissione diritti umani del Consiglio d’Europa. «Chiedo che il governo italiano riferisca immediatamente in parlamento. Trovo del tutto ingiustificato che debba venire a conoscenza di alcuni particolari sugli accordi stretti tra l’Italia e la Libia attraverso un dossier della Commissione europea, nonostante sia stata firmataria di diverse interrogazioni parlamentari che chiedevano al governo italiano di riferire su quegli accordi».

Il dossier stilato dalla missione tecnica inviata dalla Commissione europea – l’Italia era l’unico paese presente con due esperti, Renato Franceschelli, capo dell’unità Rapporti esterni e affari internazionali del ministero dell’interno, e Angelo Greco, della Direzione generale della polizia di stato e ufficiale di collegamento dell’ambasciata italiana a Tripoli – è invece prodigo di particolari sugli accordi tra Berlusconi e Gheddafi. Tra gli strumenti per combattere l’immigrazione che l’Italia ha fornito alla Libia ci sono, tra l’altro, 6 Mitsubishi 4×4, 3 pullman, coperte, letti e materassi, 150 paia di binocoli per vedere di notte, 500 mute da immersione, 100 gommoni Zodiac, 50 macchine fotografiche subacquee, 25 posizionamenti satellitari da strada e 25 da barca, 80 kit antifrode per documenti falsi, 5 kit per impronte digitali, 1000 sacchi per cadaveri e persino 4 cani antiesplosivi e 4 cani antidroga, che dovrebbero essere spediti in Libia quest’anno.

Ma la parte più preoccupante del dossier è quella che riguarda il modus operandi delle autorità libiche e i centri di detenzione in cui vengono rinchiusi gli immigrati. «Il motivo per cui le persone vengono arrestate dalle autorità libiche non sono chiari e appaiono risultato del caso. La decisione di deportare un migrante illegale sembra, in generale, essere stata presa collettivamente e non individualmente», scrivono i funzionari della Commissione. «Arresti e deportazioni arbitrarie – sottolinea la senatrice dei Verdi – è dunque falso quanto riferito dal governo italiano e dal ministro europeo Frattini, convinti che l’espulsione di 1.500 persone vero la Libia rispetti le leggi italiane e il diritto internazionale». Per quanto riguarda i campi di detenzione, la situazione è drammatica. L’Italia ha finanziato nel 2003 la costruzione di uno di questi campi nel nord nel paese, per il 2005 si è impegnato a costruirne altri due nel sud, oltre a rifinanziare i voli charter. «La missione ha visitato diversi campi sia nel nord che nel sud del paese», spiega De Zulueta. Ne esistono a lunga e a breve detenzione. Uno di quelli a lunga detenzione si trova nel centro di Tripoli in una strada chiamata Al Fatah, la missione lo ha vistato il primo dicembre 2004: lì le persone vivono in camerate da duecento, senza distinzione di sesso o di età. Sono rinchiusi insieme donne e uomini, intere famiglie e persino minori non accompagnati. L’équipe europea ha potuto parlare con 20 marocchini che erano rinchiusi nel centro da sette mesi. «Molte persone – spiega ancora De Zulueta – si sono lamentate con i funzionari: non sapevano perché erano state arrestate e molti di loro non conoscevano il loro destino». Il giorno seguente l’équipe ha visitato un campo vicino a Mifratha. Le autorità libiche hanno assicurato che i detenuti potevano cucinare, c’erano verdura e frutta. Ma i prigionieri hanno dichiarato che non era così, e che solitamente si nutrivano a pane e acqua. Tutto questo accadeva a dicembre. Il 17 marzo il governo italiano respingeva 180 persone verso la Libia.