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L’Orrore della Guantanamo Italiana. Il CPR di Palazzo San Gervasio

Gervasio Ungolo, Osservatorio Migranti Basilicata - 9 gennaio 2020

Photo credit: Andrea Sabbadini - Archivio OMB

È poco più di un anno che ha aperto il Centro per Rimpatri (CPR) di Palazzo San Gervasio (Potenza) dopo le leggi sulla sicurezza volute da Marco Minniti, Ministro degli Interni nel Governo Gentiloni.

Chiuso dopo la crisi della Primavera Araba, il CIE oggi CPR, grazie alle inchieste giornalistiche che portarono a svelare la verità sulle violenze che si consumavano all’interno di quelle mura ritorna a far parlare di sé per merito della politica tutta dedita alla sicurezza e per la quale gli ha cucito una nuova veste, prodiga al rispetto dei diritti fondamentali, che come sappiamo quando si tratta di migranti ne fa specie.

Un luogo di contenzione è pur sempre un luogo restrittivo delle libertà individuali e per questo non certo bastano i buoni propositi propagandistici. Da quando ha aperto il CPR di Palazzo San Gervasio ha fatto parlare di sé un po’ in tutte le salse, dal modello delle assunzioni a come viene presentato alla comunità del piccolo centro abitato, dalla smemorata discussione dell’agenda politica regionale fino ai piccoli accadimenti quotidiani.

Le angherie che gli ospiti e i loro conoscenti e parenti si trovano a subire, le restrizioni alle udienze degli avvocati, quando questi sono indipendenti o scelti liberamente, alla rottura delle fotocamere dei cellulari per i quali si teme che si riprendono ambienti e fatti, fino alla impossibilità di possedere cellulari di nuova generazione ma solo quelli vecchi senza telecamere o impossibilitati a connettersi alla rete internet. Per telefonare gli ospiti detenuti sono costretti ad arrampicarsi sul tetto, unico luogo in cui c’è linea telefonica.

Approssimazione nella identificazione del Paese di origine, vedi il caso del migrante nigerino spedito in Nigeria. L’impossibilità per i parenti o gli avvocati a recepire un numero telefonico interno al centro e per il quale sempre più spesso riceviamo telefonate come Osservatorio Migranti Basilicata che ci chiedono a chi possono rivolgersi per avere notizie dei loro cari magari arrestati in altre località italiane.

Ospiti rilasciati il venerdì sera e il lunedì successivo devono presentarsi in questura a Potenza per ultimare le ultime pratiche burocratiche prima di lasciare questo territorio sconosciuto per loro. E allora li vedi vagare per le strade del centro cittadino, li riconosci dalla borsetta nera di dotazione al CPR, aspettando un improbabile autobus che li porti a Potenza proprio nei giorni di corse ridotte o mancati. Molti non riescono ad andare via se non con il lunedì mattina dopo aver passato notti all’agghiaccio sotto la pensilina, senza alcun ristoro o sostegno.

Un giorno incontrai un ospite appena rilasciato andare nella direzione di Spinazzola a piedi. Gli chiesi dove andava e lui mi rispose che gli avevano indicato, gli operatori del centro, che da Spinazzola partiva un treno per Benevento. Lo riportai a Palazzo San Gervasio perché ben presto si sarebbe accorto, dopo due ore di cammino, che da Spinazzola no si va a Benevento.

Molti di loro li vedi rivolgersi alla Caritas, la quale da diverso tempo ha esaurito i posti adibiti all’accoglienza. Un tempo questi erano luoghi riservati ai braccianti oggi ai migranti espulsi dal CPR, utilizzati anche come abitazione coatta e per i quali è difficile avvolte stabilire un rapporto di reciprocità.

Il CPR nel giro di un anno ha cambiato ancora il volto della piccola comunità che da decenni si affanna nella ricerca di risolvere il problema dei braccianti raccoglitori di pomodoro, ecco allora, grazie alle rassicurazioni della politica e delle istituzioni, hanno pensato bene di utilizzarlo come discarica umana nazionale.

Le nuove rivelazioni, fatte dal settimanale Panorama non ci raccontano nulla di quanto non siamo a conoscenza ma che fino ad oggi non avevamo certezza. Questo modello se serve poco ad identificare ed eventualmente espellere di certo ha creato un indotto economico importante grazie all’utilizzo di forze dell’ordine ingenti che presidiano continuamente la “voliera”.

Il territorio che ospita il CPR, di per sé indebolito dall’impossibilità di uno sbocco economico, sotto il peso massiccio dello sfruttamento delle risorse energetiche, della delinquenza locale e di quella proveniente da fuori, in cui sono quotidiani furti e altri misfatti sente la politica distante dal corpo sociale e per la quale non è intervenuta una sola volta in difesa dei cittadini. Per questo la nuova indagine apertasi sul CPR di Palazzo San Gervasio non ci racconta nulla di nuovo e per questo dovremmo reagire e chiedere ancora una volta che questo venga chiuso.