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Tratto dal sito www.diritto.net

L’accertamento della conoscenza della lingua onere del Giudice

La Corte Costituzionale, investita della legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 7 e 14, comma 5-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, con una recente sentenza (1) in tema di traduzione degli atti, ha stabilito che la valutazione in concreto dell’effettiva conoscibilità dell’atto spetta ai giudici di merito, i quali devono verificare se il provvedimento abbia raggiunto o meno il suo scopo, traendone le dovute conseguenze in ordine alla sussistenza dell’illecito penale contestato allo straniero.

I due articoli sottoposti all’esame della Corte prevedono che il decreto di espulsione debba essere tradotto in una lingua conosciuta dallo straniero e, ove ciò non sia possibile, consentono la traduzione “del provvedimento in lingua francese, inglese o spagnola, secondo la preferenza dell’interessato”.

Assume la Corte che le disposizioni impugnate si limitano a regolare doverosamente le modalità attraverso le quali il contenuto del provvedimento di espulsione è, nella maggior parte dei casi, conoscibile dallo straniero, e l’art. 3 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), al comma 3 stabilisce che, se lo straniero non comprende la lingua italiana,il provvedimento deve essere accompagnato da una sintesi del suo contenuto, anche mediante appositi formulari redatti nella lingua a lui comprensibile o, se ciò non è possibile, in una delle lingue inglese, francese o spagnola, secondo la preferenza indicata dallo stesso interessato.

A tal fine, le previsioni legislative di cui alle disposizioni censurate,relative all’obbligo di traduzione dei provvedimenti riguardanti l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione dello straniero “in una lingua a lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola”, rispondono a criteri ragionevolmente funzionali, e,nella loro necessaria astrattezza idonei a garantire,che, nella generalità dei casi, gli atti della pubblica amministrazione concernenti questa materia siano conoscibili dai destinatari, nel loro contenuto e in ordine alle possibili conseguenze derivanti dalla loro violazione.

Ciò è confermato dalla giurisprudenza della stessa Corte che, già chiamata a giudicare della legitti mità costituzionale dell’art. 13, comma 8, del d.lgs. n. 286 del 1998 nella parte in cui non consente l’opposizione tardiva avverso il decreto prefettizio di espulsione dello straniero quando questi, sen za sua colpa, non abbia avuto conoscenza del suo esatto contenuto, ha affermato che “è devoluta alla giurisdizione di merito la valutazione se nella vicenda in esame possa considerarsi conseguito lo scopo dell’atto, che è quello di consentire al destinatario il pieno esercizio del diritto di difesa: ciò postula che il provvedimento di espulsione sia materialmente portato a conoscenza dell’interessato o gli sia comunicato con modalità che ne garantiscano in concreto la conoscibilità” (2).

Ed ancora. Ferma l’esigenza che il contenuto del provvedimento sia effettivamente conoscibile, “affinché possano operare le ulteriori scansioni del procedimento previsto dalla legge, ove tale conoscibilità non vi sia occorrerà che il giudice, facendo uso dei suoi poteri interpretativi dei principi dell’ordinamento, ne tragga una regola congruente con l’esigenza di non vanificare il diritto di azione in giudizio, come del resto risulta dalla giurisprudenza dei giudici di merito i quali – per l’ipotesi in esame e sempre che la comunicazione dell’atto non abbia comunque raggiunto lo scopo – hanno ritenuto l’inefficacia del provvedimento non tradotto in lingua comprensibile e la sua inido neità a far decorrere il termine per il ricorso. Possibilità interpretative di questo ge nere non sono affatto escluse dalla disposizione sottoposta a controllo, la quale risulta pertanto esente dal vizio di costituzionalità che le viene imputato” (3).

In definitiva,nel confermare il precedente orientamento la Corte ritiene che spetti ai giudici di merito, di fronte ai casi concreti ed usando dei loro poteri,anche ufficiosi,di accertamento, verificare se l’atto ha raggiunto o meno lo scopo per il quale è preordinato ed in particolare se il provvedimento di espulsione sia stato tradotto in una lingua conosciuta o conoscibile dallo straniero.

Una volta effettuate tali valutazioni, i giudici debbono trarre le debite conseguenze, alla luce dei principi dell’ordinamento, in ordine alla sussistenza dell’illecito penale eventualmente contestato allo straniero.

Alla luce di tale motivazione, la Consulta ha rigettato le doglianze sollevate da vari Tribunali in ordine alla legittimità delle norme impugnate,a condizione che sia in concreto assicurata la conoscibilità dell’atto e che la valutazione sulle modalità venga effettuata in concreto dai giudici di merito benché,secondo i giudici di merito,la norma prevederebbe una inammissibile presunzione di conoscenza da parte dello straniero della lingua in cui è redatto il provvedimento.
L’immigrato clandestino espulso in via amministrativa(ma il problema è di carattere generale e riguarda anche i procedimenti giudiziari per i reati commessi in Italia) ha dunque diritto alla traduzione degli atti ma la valutazione della conoscibilità dell’atto compete al giudicante in tutti i casi in cui lo stesso è chiamato a decidere sia in relazione alla espulsione che ai reati eventualmente commessi.

La Corte aveva dichiarato la incostituzionalità delle norme che consentivano,prima della decisione, l’espulsione in assenza di un effettivo controllo giurisdizionale (4).

Il successivo DL 241 del 2004, emanato dal Governo per sopperire alla carenza legislativa generata dalla declaratoria di incostituzionalità, ha introdotto una nuova competenza del Giudice di Pace in materia di convalida della espulsione amministrativa ma non ha chiarito in alcun modo con le nuove norme introdotte l’obbligo di procedere alla traduzione degli atti procedimentali relativi alla convalida ,sebbene abbia affermato l’obbligo di procedere alla convalida della espulsione,sia pure compatibilmente con i tempi estremamente ristretti assegnati a tale adempimento.

E’ una, ma non l’unica delle ragioni che hanno suscitato critiche al provvedimento anche dopo la conversione da parte del Senato.
In particolare il CSM,all’indomani dell’approvazione da parte del Senato, il plenum del Csm ha bocciato il dl governativo di modifica della Bossi-Fini.

Secondo l’autorevole parere, va lasciata alla “magistratura professionale” e cioè ai tribunali la competenza sui ricorsi contro i provvedimenti di espulsione amministrativa e sulle convalide dell’accompagnamento alla frontiera degli immigrati.

In ogni caso andrebbe “radicalmente riscritta” la norma del decreto legge sull’immigrazione che ha affidato “impropriamente” agli organi dell’amministrazione dell’Interno,e non al Guardasigilli, i compiti di organizzazione dei servizi della giustizia perché mette a rischio la stessa imparzialità dei giudici.

Numerose altre critiche sono state mosse dagli stessi Giudici di Pace (5) e dalla Dottrina (6) specie in relazione alla possibile estensione della competenza attribuita ai giudice di Pace dal provvedimento governativo anche nella delicata materia dei reati relativi alla violazione del provvedimento di espulsione ed all’illecito trattenimento in Italia per i quali sono state inasprite le pene in sede di conversione del DL dagli art. 5-ter, 5-quater,nel testo risultante dalle modifiche apportate.

Sarebbe auspicabile che,in sede di seconda lettura da parte della Camera del provvedimento emanando,vengano introdotte le necessarie modifiche all’attuale testo normativo che faccia salvi i diritti alla traduzione dell’espellendo e del giudicando straniero.

Ostuni, Ottobre 2004

Avv. Mario Pavone
Patrocinante in Cassazione

Allegati:

Sentenza 8 – 21 luglio 2004 n. 257 – Accertamento della conoscenza della lingua