Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

L’assunzione di badanti secondo il nuovo regolamento di attuazione della legge Bossi Fini

Facciamo alcune considerazioni a margine – per così dire – del decreto flussi.
Una tipologia d’ingresso, considerata e compresa nelle quote, che alla luce del nuovo regolamento di attuazione dovrebbe avere una trattazione particolare e più favorevole. Parliamo delle assunzioni di badanti.
Abbiamo già detto che la cosiddetta categoria delle badanti è una forma di lavoro domestico, che si specifica per essere destinata a garantire assistenza a persone che non sono in condizioni di piena autosufficienza, o che comunque hanno bisogno di assistenza in ragione di condizioni di salute o di età.
Ebbene, il concetto di badanti – dal punto di vista giuridico – ha trovato nell’ultima legge finanziaria una sua definizione leggermente più precisa con riferimento a persone che possano documentare, con certificazione medica, lo stato di bisogno di assistenza. Questa assistenza non deve essere determinata da una particolare patologia, ma anche, per esempio, semplicemente dalla necessità di sorveglianza approssimata di una persona anziana, che non è in condizione di vivere da sola in completa sicurezza; tutto ciò sulla base appunto di una certificazione rilasciata dal medico di base curante.
Questo ci permette di distinguere il concetto di badante (o quello di lavoratore domestico destinato ad attività di assistenza) rispetto alla più ampia categoria del lavoro domestico che può comprendere quindi anche le classiche babysitter, cuochi, le donne delle pulizie e via dicendo.
Nel recente decreto flussi è stata riservata una quota indistinta, – cioè senza distinzioni all’interno della categoria per colf e badanti – senza stabilirne peraltro alcuna priorità nell’utilizzo tra chi ha bisogno di assistenza e per chi, invece, deve semplicemente concedersi il lusso, per così dire, di un’assistenza domestica, di una prestazione di lavoratore domestico per evitare di svolgere in proprio queste attività.

Ebbene, il regolamento di attuazione (DPR 334 del 18 ottobre 2000) – pubblicato però sulla Gazzetta Ufficiale il 10 febbraio quindi successivo di poco alla pubblicazione del decreto flussi – prevede una norma di maggior favore per quanto riguarda l’assunzione delle cosiddette badanti.

Infatti l’art. 30 bis intitolato “Richiesta assunzione lavoratori stranieri” definisce le condizioni generali per l’inoltro della domanda di autorizzazione all’assunzione dall’estero dei lavoratori stranieri e, nell’ambito di queste condizioni generali, sono previsti i documenti che il datore di lavoro deve presentare. Tra questi al momento dell’inoltro della domanda, la autocertificazione della posizione previdenziale e fiscale atta a comprovare, secondo la tipologia di azienda, la capacità occupazionale e reddituale del datore di lavoro.
In altre parole, già al momento dell’inoltro della domanda di autorizzazione all’assunzione, il datore di lavoro deve dimostrare che ha un reddito e, se è un’impresa, che ha un reddito di impresa sufficiente per potersi permettere il costo regolare – quindi contributi compresi – della prestazione lavorativa o delle prestazioni lavorative che si andranno a instaurare utilizzando le quote.
Questa regola del reddito sufficiente esiste anche per quanto riguarda l’assunzione, in generale, dei lavoratori domestici; a questo riguardo, ricordiamo che il Ministero del Lavoro, già anni fa, aveva diramato delle indicazioni, poi mantenute di fatto in vigore, secondo le quali il datore di lavoro domestico avrebbe dovuto dimostrare un reddito non inferiore a determinati parametri ricavabili dal redditometro, un reddito di circa 47.000 € annui per poter essere autorizzati all’assunzione di lavoratori domestici dall’estero.
Questo reddito avrebbe potuto essere dimostrato – specialmente nel caso di assunzione di lavoratori addetti all’assistenza, le cosiddette badanti – anche mediante il cumulo, la sommatoria dei redditi risultanti dalle dichiarazioni dei redditi dei prossimi congiunti anche se non conviventi: nel caso pratico di un anziano che vive solo, laddove il suo reddito non fosse stato sufficiente, ecco che per esempio i figli – sia pure non conviventi – avrebbero potuto dimostrare l’esistenza di condizioni adeguate e di possibilità di sostenere il costo del lavoro, mediante produzione delle proprie dichiarazioni dei redditi accollandosi l’onere della prestazione lavorativa.

Già avevamo detto che una recente sentenza del TAR Veneto aveva ritenuto illegittima la condizione rigida posta dal Ministero del Lavoro del limite di reddito che abbiamo poco fa indicato.
Il Tribunale Amministrativo Regionale Veneto (TAR) ha sostenuto che, non essendo questa condizione di reddito minimo tassativamente prevista dalla legge, ma prevista unicamente da circolari ministeriali, non avrebbe potuto e non potrebbe essere l’unico elemento sulla base del quale valutare se autorizzare o non autorizzare l’assunzione dall’estero della badante.

Avevamo anche dato indicazioni a chi era interessato a presentare la domanda di utilizzo delle quote di autorizzazione all’assunzione, a presentare comunque la domanda, anche in mancanza di documentazione sufficiente attestante questi livelli di reddito (per es. per mancanza di prossimi congiunti disponibili ad aggiungere la propria dichiarazione dei redditi a quella del richiedente), perché appunto avrebbe potuto essere sostenuto – eventualmente con un analogo ricorso – che il diniego di autorizzazione/rifiuto è illegittimo, in quanto, da una parte non c’è una legge che prevede questa soglia di reddito e la possibilità di far fronte al costo regolare del lavoro di una badante può essere ricavata anche da altri elementi, e dall’altra parte in determinate condizioni, quando c’è un bisogno insostituibile di assistenza, bisogna pur comprendere che anche un nucleo familiare povero, o una persona che ha bisogno di assistenza che non ha un reddito così elevato, può essere necessariamente disposta a impoverirsi ancora di più e a vivere di stenti pur di garantirsi quella assistenza che sarebbe insostituibile.

Abbiamo detto che all’art. 30 bis il nuovo regolamento di attuazione introduce una norma di maggior favore proprio a riguardo dell’assunzione delle badanti: si prevede infatti che in generale il datore di lavoro al momento della domanda debba presentare un’autocertificazione sia sui propri redditi e, nel caso di un imprenditore, anche sull’adempimento degli obblighi di sicurezza sociale nei confronti dei lavoratori che sono già dipendenti. La stessa norma dell’art. 30 bis precisa che: “la disposizione relativa alla verifica della congruità, in rapporto alla specificità economica del datore di lavoro, non si applica al datore di lavoro affetto da patologie o handicap che ne limitano l’autosufficienza, il quale intende assumere un lavoratore straniero addetto alla sua assistenza.”
In altre parole, la norma così come formulata nel nuovo regolamento di attuazione dice chiaramente che non si applicano limiti minimi di reddito per il datore di lavoro che intende assumere una persona per la propria assistenza. Quindi per le badanti, sempre che sia certificato lo stato di handicap, o comunque la patologia, o il bisogno di assistenza, in ragione anche delle condizioni di età e di salute complessive, una volta che sia accertato il bisogno di assistenza, la domanda di autorizzazione all’assunzione può essere presentata comunque e deve essere vagliata, senza che possa essere rifiutata l’autorizzazione per il fatto che il datore di lavoro che ha bisogno della badante, non dispone di un reddito ritenuto, in base alle circolari ministeriali, sufficiente. Quindi, qualsiasi reddito è teoricamente compatibile con la procedura di assunzione di una badante, sempre che questa domanda di autorizzazione sia supportata da idonea documentazione comprovante lo stato di bisogno e, quindi, di necessità di assistenza.

Questa nuova disposizione potrebbe e dovrebbe entrare in gioco anche nell’ambito della procedura di utilizzo delle quote, di cui recentemente abbiamo tanto parlato e per le quali è già stata presentata una quantità di domande spropositatamente superiore rispetto ai posti disponibili. Come abbiamo già detto, purtroppo, non ci sono quote specificatamente riservate all’assistenza e quindi al lavoro delle cosiddette badanti e quindi indipendentemente dal fatto che si tratti della domanda di autorizzazione all’assunzione di una babysitter o di una cuoca, o di una badante, chi ha presentato la domanda per primo avrà per primo la quota, e chi anche avesse tanto bisogno, se la sua domanda venisse dopo il numero utile di posti disponibili, non avrebbe nessuna possibilità. Riteniamo, tuttavia, che per chi – beninteso – è riuscito a presentare la domanda in tempo utile, debba essere valutata questa domanda nel caso di assunzioni di badanti a prescindere dal reddito disponibile, sempre che nell’ambito della documentazione sia ricavabile un’idonea certificazione dello stato di bisogno e di assistenza.
Nel caso in cui questa documentazione non fosse già stata allegata alla domanda, sarà utile e opportuno, anzi indispensabile, che gli interessati provvedano ad integrare la domanda, cosa che è stata considerata e ribadita come possibile anche dalle recenti circolari del Ministero del Lavoro. Ecco che quindi allegando documentazione sanitaria da cui risulta lo stato di bisogno, si potrà evitare il problema, l’ostacolo del reddito minimo.
Poiché questo regolamento di attuazione è stato pubblicato successivamente al decreto flussi, ci si chiede se la norma di maggior favore, appena spiegata, possa applicarsi ad una procedura burocratica già attivata prima del decreto flussi.

In linea teorica si dovrebbe sempre ragionare in base ai principi generali, vale a dire che un determinato atto amministrativo è governato, regolato dalle leggi vigenti nel tempo in cui questo atto è stato compiuto; quindi in linea teorica si dovrebbe dire il regolamento è arrivato dopo, per cui le norme del regolamento non si applicano alla procedura per lo smaltimento dei flussi già attivata precedentemente. Tuttavia, è anche vero che tale limite di reddito non esisteva prima di questo regolamento di attuazione: prima del nuovo regolamento di attuazione non c’era nessuna norma di legge, né il Testo Unico, né il vecchio regolamento di attuazione che ponessero questo limite di reddito minimo per l’assunzione di badanti e di conseguenza, proprio per questo, dobbiamo ritenere che le indicazioni ministeriali, le vecchie circolari ministeriali, siano automaticamente superate e non possono più essere fatte valere.
La stessa norma di poco successiva, come pure la sentenza del TAR Veneto, sopra citata, confermano che l’opposizione da parte del Ministero del Lavoro di questo limite è arbitraria e che invece nell’ambito di una valutazione dell’istanza, deve essere comunque valutato l’insieme di circostanze e quindi anche lo stato di bisogno, che prevale sulla possibilità di pagare senza particolari sacrifici o meno la prestazione lavorativa di assistenza che comunque è indispensabile e insostituibile. Ecco che quindi dovremo ritenere che le domande di autorizzazione che riguardano specificatamente le badanti, o quantomeno le badanti, debbano essere prese in considerazione comunque, indipendentemente da limiti di reddito e, naturalmente, sempre a condizione che vi sia un’idonea documentazione sanitaria atta a dimostrare che c’è questo bisogno di assistenza.

Condizioni particolari per la sistemazione alloggiativa

Sempre all’articolo 30 bis del nuovo regolamento di attuazione, fra le varie condizioni e requisiti previsti per presentare la domanda di autorizzazione di assunzione all’estero di lavoratori stranieri, si prevede anche la sistemazione alloggiativa.
Al comma 4 si trova una condizione particolare, sulla falsa riga di quanto era già stato previsto con le norme di regolarizzazione o sanatoria, e cioè che qualora il datore di lavoro intenda rivalersi delle spese per la messa a disposizione dell’alloggio, trattenendo dalla retribuzione mensile una somma massima pari a un terzo del suo importo, la decurtazione dello stipendio deve essere espressamente prevista nella proposta di contratto di soggiorno che ne deve determinare la misura. Non si fa luogo – soggiunge ancora la norma – alla decurtazione con riferimento ai rapporti di lavoro, per i quali il corrispondente contratto collettivo nazionale di lavoro fissa il trattamento economico tenendo conto che il lavoratore già fruisce di un alloggio già messo a disposizione dal datore. Nei casi in cui il datore di lavoro provveda direttamente – sono i casi più rari, ma questo è previsto e possibile – a mettere a disposizione a suo carico e a sue spese un alloggio al lavoratore interessato all’assunzione, ecco che può essere validamente pattuito nel contratto – e non stabilito unilateralmente dal datore di lavoro – che una parte della retribuzione sia corrisposta in natura e che, quindi, la retribuzione in denaro venga decurtata in ragione del contro valore rappresentato dall’utilizzo di un alloggio o di una parte di alloggio come una stanza o un posto letto.
A questo riguardo è necessario fare delle considerazioni: la norma dice che la decurtazione dello stipendio può avvenire per una somma massima pari ad un terzo della retribuzione, ma appunto è la somma massima, e non vuol dire o giustificare una lettura per così dire comoda da parte di qualcuno per cui ci si debba sentire autorizzati a togliere un terzo dello stipendio, sempre e comunque per qualsiasi tipo di alloggio venga fornito al lavoratore. Proviamo ad immaginare che lo stesso datore di lavoro assuma quattro lavoratori per collocarli in un appartamento e che spenda di costo reale 1000€ in canone di locazione mensile; non si potrebbe giustificare che la trattenuta fatta per i quattro lavoratori superi il costo di quel canone mensile, e rappresenti anzi un ricavo utile per il datore di lavoro. E’ chiaro che la trattenuta sullo stipendio dovrebbe in ogni caso rispecchiare il costo reale dell’alloggio e non certo costituire una fonte di speculazione per il datore; inoltre, anche per evitare artifici e soluzioni triangolari tra proprietari e datori di lavoro che permettano di lucrare sulla pelle dei lavoratori, è chiaro che il costo dell’alloggio deve rispecchiare i parametri reali di un costo di un’abitazione, non rappresentare una forma di usura e imposizione di un costo superiore a quelli che sono i costi di mercato.

Lo stesso comma 4 dell’articolo 30 bis del regolamento di attuazione precisa anche che non c’è possibilità di applicare questa decurtazione dello stipendio, che comunque può essere applicata solo se espressamente pattuita nel contratto individuale di lavoro, e quindi con il consenso sottoscritto del lavoratore, salvo poi verificare se questo patto è valido e rispecchia il costo reale dell’immobile. Questa possibilità di decurtazione dello stipendio non ha alcuna possibilità di essere, nel caso in cui sia già previsto, per il tipo particolare di rapporto di lavoro di cui si tratta, dal contratto nazionale collettivo del lavoro che l’alloggio è erogato dal datore di lavoro e che quindi il costo dell’alloggio è già considerato nell’ambito della definizione di una retribuzione minima che tiene conto del fatto che il rapporto di lavoro comprende il vitto e l’alloggio. E’ il caso tipo del lavoro domestico.
Nel contratto collettivo nazionale di lavoro domestico è prevista come situazione normale che, laddove il lavoratore viva presso l’abitazione del datore di lavoro, abbia oltre all’alloggio anche il vitto; si tiene conto di questo anche per determinare la paga mensile minima che è più ridotta rispetto alla situazione di chi, invece, dovesse provvedere per conto proprio all’alloggio.
Nel caso delle colf e delle badanti non c’è spazio, soprattutto per quelle che vivono con il datore di lavoro, per poter giustificare nell’ambito del contratto individuale di lavoro ulteriori decurtazioni dello stipendio.
Altra questione è quella dei contratti in cui il datore di lavoro prevede l’erogazione diretta al lavoratore dell’alloggio e prevede, quindi, una decurtazione del trattamento economico, perché questa decurtazione potrà essere lecita solo se corrisponde ai costi reali e leciti dell’utilizzo dell’alloggio stesso.