Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

L’europa di Schengeen e i cpt oltre frontiera. La politica di sicurezza contro il nuovo nemico

Intervista con Helmut Dietrich - Forschungsgesellschaft flucht und migration - Berlin

Dopo l’entrata di nuovi 10 paesi all’interno dell’Unione Europea, il confine Schengeen si è spostato verso est. Le nuove frontiere dell’Europa si sono modificate e con loro sono state spostate anche le zone di controllo che ora interessano diversi paesi dell’ex blocco sovietico, diventati strategici per il controllo dell’immigrazione proveniente soprattutto dall’Asia.

Abbiamo chiesto un commento ad Helmut Dietrich in merito a quello che sta succedendo, non solo nell’est Europa ma anche nel Mediterraneo.

Domanda – Cosa sta cambiando, in termini di controllo dell’immigrazione, lo spostamento della frontiera europea verso altri paesi dell’Est?

Risposta – È un processo di trasferimento di controllo frontiera verso l’est. È un processo che dura già da anni e durerà ancora molto, fino a quando quella che viene chiamata zona Schengeen sarà estesa fino alla frontiera con la Bielorussia, Ucraina, ecc. La tensione o l’allarmismo viene spostato più verso est. Questo si vede piuttosto sul livello tecnico ma in realtà la cosa che potevamo già notare è che c’è una tendenza a rinchiudere richiedenti asilo nei lager, in luoghi segreganti. Questo è un processo che avviene ovunque nei nuovi paesi dell’Unione Europea.
Diversi anni fa siamo entrati nei centri di detenzione raccogliendo diverse interviste a richiedenti asilo. Quando abbiamo pubblicato il materiale successe uno “scandalo” perché queste persone non potevano essere trattenute. Oggi invece i richiedenti asilo vengono rinchiusi come prassi normale.
Ora c’è una tendenza a creare questi centri di detenzione più verso la zona est dell’Europa, mentre prima erano un po’ ovunque, nei diversi paesi. Si sta creando una zona di frontiera esterna, anche attraverso il sistema e l’uso dei lager, dei deportacion camp.

D: Le “regole” usate nei centri in Europa sono diverse da quelle usate nei centri oltre confine? Come commenti il fatto che l’Europa delega il blocco dell’immigrazione fingendo di non vedere cosa succede?

R: Già molti anni fa avevamo visto nella Germania dell’est come la zona frontaliera è sempre stata costruita come zona di emergenza, dove i diritti non esistevano proprio in base all’”emergenza” da affrontare e dove succedevano cose che in altre parti del paese la polizia non avrebbe potuto fare, sarebbero state vietate. Una zona “franca”, senza nessun controllo di giudici, di parlamentari, ecc.
La zona frontaliera, sia dentro sia fuori la zona esterna, è una “zona grigia” dove non si sa cosa succeda. Dicevo prima che molto tempo fa ci siamo recati proprio lì per poter dire a tutti cosa stava succedendo.
Adesso sarebbe necessario andare in queste nuove zone di frontiera per vedere cosa sta succedendo.
Ci sono state alcune proposte – per esempio di Schilly, Pisanu, Blair e altri ministri europei – per la creazione di lager al di fuori della frontiera esterna, al di fuori della legge europea e della costituzione europea. L’Acnur ha dichiarato che era meglio farli dentro ai confini Schengeen, vicino alla frontiera esterna. Secondo me ci sono poche differenza da questo punto di vista…
La cosa importante che dobbiamo vedere è che queste zone di frontiera diventano strategiche per fermare direttamente lì – sia dentro che fuori i confini – i rifugiati, migranti, richiedenti asilo, poveri, sans papiers. Fermare in quei luoghi quelli che non sono desiderati.

D: Secondo te cosa sta accadendo in questo momento nel Mediterraneo ovvero agli accordi tra Spagna e Marocco e tra Italia e Libia

R: In questi anni l’allarmismo lanciato dagli stati europei è sempre stato funzionale verso l’est Europa. Ci è sempre stato detto che i poveri erano organizzati da fantomatiche organizzazioni criminali e invece, negli ultimi tempi, abbiamo visto che ci sono state detenzioni mirate ad alcune nazionalità specifiche, come afgani e ceceni. Chi proviene da questi paesi è incarcerato in maniera sistematica nei centri di detenzione. Tutto questo avviene nell’est Europa.
Ora si sta cambiando. Dal vecchio nemico (l’organizzazione criminale) verso il cosiddetto “antiterrorismo”. Questo è il nuovo spettro del sud Europa.
Per capire come si sta attuando il cambio del nemico e come si sta costruendo basta vedere cosa sta succedendo a Lampedusa, in Spagna, nelle isole Canarie. E’ proprio in questi luoghi che ora si stanno cerando i più grandi centri di detenzione dell’Unione Europea.
Fino a qualche tempo fa succedeva che chi arrivava nei luoghi citati poteva, con un po’ di fortuna, avere la prospettiva di arrivare a Milano, Parigi, Madrid.
Ora invece, con questi enormi lager di detenzione militarizzati nel sud Europa – non più accessibili ai gruppi umanitari, all’Onu, praticamente a nessuno – si crea una infrastruttura per fermare direttamente in quei paesi i boat people. All’interno di questa logica ci vuole una infrastruttura lager al di fuori della frontiera, in Libia, in Marocco, in Algeria o in Egitto.
Ora ci troviamo nella fase in cui l’Unione Europea sta discutendo con i governi dell’Africa del nord per attuarli. Si tratta di una cosa molto pericolosa per i diritti globali, per i diritti di cittadinanza.
Se le persone, i migranti, vengono fermati in questi paesi o vi vengono deportate, non è più possibile vedere qual’è la situazione, cosa succede. Sappiamo che il pericolo concreto è che la gente venga portata nel deserto del Sharah e che li vi muoia. Si tratta della negazione dei diritti fondamentali.

D: Rispetto a quello che dicevi sull’esigenza di avere un nuovo nemico, in un contesto definito di guerra globale e di “lotta al terrorismo”, qual è il rapporto tra centri di detenzione e guerra?

R: I centri di detenzione sono, per definizione, di natura amministrativa ovvero una prepotenza delle strutture di polizia. Si può notare che il mandato che la polizia ha nel contesto del CPT viene fortificato, prende vigore nel contesto di questa guerra. Quello che abbiamo visto e letto su Guantanamo, sul fatto che bisogna detenere delle persone in maniera amministrativa cioè senza giudici, senza processi, sono le logiche che troviamo nella forma di pensare il centro di detenzione.
Sarebbe bene inquadrare la logica, il rapporto tra centri di detenzione e guerra in varie tematiche, per esempio quella economica.
Berlusconi, Blair e Schoreder sono stati in Libia quando sono iniziate le prime deportazioni. Li abbiamo visti firmare dei contratti molto importanti riguardanti il gas, il petrolio, l’oleodotto. Quando si parla di petrolio bisogna tenere presente che si tratta piuttosto di una questione di accesso al petrolio, un accesso militarizzato, di sicurezza e sorveglianza. La sicurezza ha la forma dei centri di detenzione. Questo, secondo me, è il legane tra i CPT e guerra.
Un altro tema è la nuova dottrina della sicurezza dell’Europa, una proposta fatta da Solana ora diventata ufficiale. Un punto fondamentale di questa dottrina di sicurezza dice che le regioni vicine all’UE sono molto importanti per la sicurezza dell’Europa stessa e che l’UE dovrebbe avere la possibilità di essere più influente in queste zone.
Tutte queste tematiche, ma anche molte altre, ci fanno vedere come questa logica di guerra confluisce con i centri di detenzione, con il bloccare i “non desiderati”.
Inoltre, si potrebbe pensare che, attraverso gli accordi bilaterali, le quote stabilite per il numero di immigrati da far entrare in Europa, siano un’apertura da parte dell’Europa. Invece si tratta di una questione di totale controllo, attraverso i dati biometrici, le impronte digitali, i dati delle persone. L’aspetto fondamentale diventa proprio il controllo della persona nelle zone limitrofe all’UE.

D: E’ stato lanciato un appello per creare una delegazione di parlamentari europei e associazioni che vadano a vedere che cosa sta succedendo nel Mediterraneo.

R: Ho detto che con questi nuovi centri di detenzione, dentro e fuori la frontiera europea del sud si crea una zona grigia che si basa sul sistema di non far vedere e sapere cosa succede e di chi sono le responsabilità di quello che avviene. Per esempio chi gestisce quello che succede, chi finanzia chi e che cosa.
Allora, bisognerebbe utilizzare i parlamentari, dirgli di andare proprio in questi posti per sapere cosa succede alle persone che vengono deportate. er il momento sembra non si siano altre possibilità per capire cosa sta avvenendo.

[Vedi anche The desert front – EU refugee camps in North Africa?]