Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

L’impotenza, di ritorno dall’Eko Station Camp vicino a Idomeni

In queste ore proseguono le operazioni di sgombero dei campi informali BP e Hotel Hara

Foto di Gloria Chillotti

L’impotenza è un sentimento che con il passare del tempo convince le persone che la vivono di essere inadatte.
L’impotenza di tutto ciò che è umano, di fronte al disumano, intendendo come disumano ciò che è privo di umanità, rende insicuro tutto ciò che è umano.
Scrivo per dovere, spiegare a ingenui idioti la necessità della presenza di “qualcuno” in questo processo di deportazione dribblando facili retoriche è difficile e avvicina lo spirito a un senso di solitudine e rassegnazione.
Tra il “ma vattene a fanculo” al silenzio siderale dell’incomunicabilità.
Scrivo per dovere, con un fardello di impotenza che pesa su ogni azione, ogni pensiero, in bilico tra la protesta, la rivoluzione, e l’insicurezza.
Scrivo per dovere, per Hamila, svenuta in mezzo a un campo di grano di Maggio, che come diceva il poeta, ci vuole tanto coraggio.

Foto di Gloria Chillotti
Foto di Gloria Chillotti

Scrivo per Aziz, sparito, sparito oggi, e sparito per sempre in una rete di confini, vivo nei ricordi tra la righe di una chat, forse perso in un campo profughi sconnesso dall’umanità.

Scrivo per Aisha, curda, per il suo salone di bellezza distrutto dalle ruspe di Idomeni e scrivo per suo marito, Victor, che nel nuovo alloggio governativo in mezzo alla campagna della Tracia canta “Volare” di Modugno.

Scrivo per Housseini, un ragazzo dagli occhi di cristallo che abbracciandomi al tramonto tra le lacrime imbarazzate: “E’ importante sapere che in Europa ci sono persone come te”, e scrivo proprio perché non me ne frega un cazzo di sentirmi “una persona come te”, perché sono una merda che nella vita vorrebbe solo sfondarsi di canne mangiando dolciumi di fronte a infinite serie di Game of Thrones.

Scrivo per Dimitri, poliziotto di Thessaloniki al primo turno in un campo profughi, giovane, con la faccia pulita, dalla stretta di mano poderosa e lo sguardo sincero, costretto a lavorare in un campo profughi senza medici, senza assistenti sociali, senza mediatori culturali, senza traduttori, senza letti, senza speranze, senza pace.

Scrivo per Yaman, 9 anni e senza padre, bella come il balzo di un gatto, arrabbiata, fragile e orgogliosa di una sudicia maglietta che non cambia mai, piena di cuori e topi che si baciano.

Scrivo per le illusioni di Idomeni, i fraintendimenti, gli errori, le ingenue e inutili speranze, che eppure vivono, sopravvivono, nonostante le ruspe, i posti di blocco, e le scene pietose riprese dai tg di orsacchiotti nel fango.

Foto di Gloria Chillotti
Foto di Gloria Chillotti

Scrivo per il campo profughi di Eko Station, le pompe di benzina, i pullman di turisti, le commesse nipoti di greci deportati dalla Georgia due generazioni fa, e la sua pittoresca popolazione di sorrisi e lacrime, radio pirata, danze curde, madri in guerra, bambini e improvvisati tatuatori,

Scrivo per i morti nel Mediterraneo, le cui notizie riecheggiano tra le tende come il vento dei Balcani.

Scrivo per Clara, mia madre, dal carattere sorgonese, ma con il cuore grande, pieno di pensieri, pieno di fiori, luci, ombre, ricordi, di madre, di migrante, di donna.
Scrivo per placare quel senso di impotenza che è offensivo, spaventoso e umiliante.
Scrivo, perché scrivere fa bene, e non ho nemmeno le forze per dormire, la sera, quando non sono più capace di specchiarmi in quello che sono.

Foto di Gloria Chillotti
Foto di Gloria Chillotti