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L’ingresso al CPT di Lampedusa nel pomeriggio del 6 ottobre

Un resoconto della visita di ieri pomeriggio nel CPT di Lampedusa

Entrano al Centro di Lampedusa, il Deputato Regionale
dei Verdi Lillo Miccichè e Ilaria (Laboratorio Zeta) di Palermo per la Rete Antirazzista Siciliana,
come interprete di lingua araba e inglese.

Un doppio cancello. Il primo li fa accedere, costeggiando la postazione delle forze di sicurezza, carabinieri e
polizia, al secondo: l’ingresso alla zona del lager
vero e proprio.
Li investe un odore acre di immondizia, circa trenta
sacchi celesti accatastati tra il cancello e uno dei
container che fungono da dormitorio. Sono accompagnati
e accolti da un capitano dei carabinieri, da
carabinieri in tenuta antisommossa leggera, in tuta
anfibi e manganelli, da poliziotti, da qualcuno in
borghese, e dall’interprete di lingua araba del Campo.
Una “scorta” di dieci, a tratti quindici persone.
Vengono subito presentati a tale signor Scalia,
direttore del Campo per la Misericordia di Palermo,
che li colpisce per la situazione grottesca che
incarna: ha indosso una maglietta rosanero del Palermo
“Voliamo in serie A”.

Si incamminano, fanno i primi dieci passi tra due container dormitorio, e mentre il signor Scalia parla loro, incontrano le facce degli uomini che stanno trattenuti lì dentro, appoggiati alle pareti gialle di alluminio.
Li scrutano, e mentre li guardano negli occhi, dopo quei primi dieci passi si accorgono di quell’odore che li accompagnerà per tutta la loro visita al campo: feci, urina, spazzatura.
Non possono più guardare le facce e gli occhi di quegli uomini: l’odore è nauseabondo, e si concentrano per capire da dove provenga.
Vedono rivoli di liquami che scorrono tra gli spazi che circondano i quattro container-dormitorio, la mensa e i servizi igienici: è una fogna a cielo aperto.
Il signor Scalia dice all’onorevole e all’interprete che quei liquami sono solo acqua, racconta che sei volte al giorno, in questa situazione di emergenza, hanno fatto spurgare i pozzi.
Ma quell’acqua puzza. Tutto puzza.
Scalia mostra i tubi per lo spurgo, e un piccolo
corridoio di asfalto pieno di immondizia sparsa per
terra. Inizia poi a parlare di numeri: 1200 “ospiti”
fino a lunedì, che dormivano ovunque: nei container,
nella mensa, nei cortili a cielo aperto.
Parla poi degli imbarchi: oltre quelli imbarcati il 4 ottobre
per la Libia e per Crotone, altri 99, stamattina
presto, per porto Empedocle, e 372 stivati in quattro
C130 dell’aeronautica militare.
L’onorevole e l’interprete svoltano di 180 gradi sull’altro
corridoio di asfalto. Incontrano i servizi igienici.
La porta deve restare aperta. Gente che urina
all’interno, e loro la vedono.
Cominciano a guardare dentro i container dormitorio, lunghi circa 20 metri e pieni di due file di letti a castello. Giacigli di gomma piuma gialla, a volte senza niente sopra, a
volte con piccole coperte di lana.
Basta, niente altro.
Il signor Scalia continua a parlare.
L’onorevole gli chiede quale sia la procedura adottata
con i migranti appena arrivati al campo. Scalia
risponde, con voce incerta, quasi a singhiozzi, che
vengono raccolti nome, cognome, nazionalità, data di
nascita e luogo di provenienza. Poi viene loro
chiesto, dopo avergli letto i diritti, se vogliono
fare richiesta di asilo in Italia. L’onorevole e
Ilaria smettono di ascoltare e chiedono di entrare
dentro i container e parlare con gli “ospiti”.
Incontrano per primi tre africani neri. L’onorevole si
presenta, comunica ai tre uomini perché si trova lì.
Loro si sciolgono in un sorriso nervoso e un po’
timido. Iniziano a rispondere alle domande. Si parla
in inglese.
Al campo non esiste un interprete di
inglese e i carabinieri non comprendono questa lingua,
quindi la conversazione è tranquilla: solo
l’onorevole, Ilaria e i tre uomini.
Sono nigeriani e stanno male. Non si sono potuti lavare, sono arrivati malati. Sono spaventati. Con loro, il 3 ottobre, erano arrivati anche due bambini con loro padre, ma lunedì li hanno portati via, non sanno dove. Ilaria gli
chiede se gli è stata comunicata la possibilità di
chiedere asilo politico. Rispondono di no, e che non
hanno neppure avuto l’opportunità di chiederlo loro
stessi. Dichiarano di volere fare la richiesta. Ilaria
la scrive in italiano, loro in inglese.
Queste tre richieste di asilo sono già state inviate
via fax agli uffici dell’ACNUR, a Roma.
Miccichè e Ilaria si rivolgono poi a un gruppo di 15
uomini che parlano in arabo. Vengono dalla Tunisia,
dal Marocco, c’è un uomo di 70 anni che viene dalla
Palestina. L’interprete di arabo della Misericordia
che gestisce il centro è lì con loro.
I due delegati si accorgono subito che la conversazione che stanno per affrontare sarà diversa dalla precedente. Davanti
all’interprete i migranti dichiarano che nel campo va
tutto bene, che tutti sono gentili con loro e che non
hanno bisogno di niente. Chiedono solo di poter
lavorare. L’onorevole spiega anche a loro perché è li.
Poi si allontana, insieme alle forze di sicurezza, per
visitare il posto di polizia che dovrebbe raccogliere
le identificazioni e le richieste di asilo, ma scopre
che tale ufficio è completamente inutilizzato da mesi.

Nel container rimane Ilaria affiancata dall’interprete
del campo. Spiega ai migranti che quello che sta
accadendo in questi giorni al centro e il centro
stesso sono una palese violazione dei diritti umani,
che gli uomini che escono dal centro vengono spediti
non si sa dove, a volte a Crotone, o ad Agrigento, o
in Libia. Ilaria vede che l’interprete si allontana in
fretta e subito dopo torna con le forze dell’ordine e
l’Onorevole, a cui viene subito intimato dal capitano
dei carabinieri di non dichiarare che alcuni dei
migranti sono stati deportati in Libia.
In assenza di Ilaria l’interprete del centro riferisce al capitano che l’attivista della rete ha detto cose che in realtà non sono mai uscite dalla sua bocca, e infatti poi le
ritratta davanti a lei.
Comincia l’operazione “psicosi da rivolta”.
Sembra una pratica standard: il capitano e il direttore del centro iniziano a gridare insieme agli altri carabinieri e poliziotti invitando l’onorevole e Ilaria a uscire.
“Ecco, avete visto cosa avete fatto. Ora uscite…presto succederà qualcosa”.
I migranti in realtà sono tranquillissimi. Miccichè non
batte ciglio e chiede di continuare la visita nel
campo e invita 4 uomini trattenuti lì, provenienti da
paesi diversi, a parlare con lui fuori dal primo
cancello. Scortati dagli operatori della misericordia,
ancora dall’interprete del campo, e dai carabinieri,
l’onorevole riesce a bloccare l’operazione psicosi.
Parla coi 4 uomini e si fa raccontare le loro storie.
Dice loro ciò che farà quando sarà fuori di lì:
racconterà quanto siano difficili le condizioni dei
paesi di provenienza di chi è trattenuto al centro e
si batterà perché escano tutti da lì e possano
circolare liberamente in Italia.
Una conversazione bella, serena, conclusa in un
applauso. Gli altri migranti, ammassati contro la
recinzione applaudono i loro 4 rappresentanti,
salutano, rimangono lì.