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Servizio immigrazione e promozione dei diritti di cittadinanza (Venezia)

L’ipocrisia delle politiche sulla casa: il caso di Treviso

A cura di Rosanna Marcato

I fatti di Treviso ancora una volta evidenziano l’estrema precarietà e schizofrenia nella quale vengono costretti a vivere i lavoratori immigrati.
Nemmeno nei più ignobili momenti della storia industriale si lasciavano i lavoratori senza un ricovero pur se precario e insalubre. Nella ricca ed opulenta Treviso, ma purtroppo in quasi tutte le città italiane, è invece la regola che dei lavoratori immigrati si debbano arrangiare trovando un riparo in luoghi fatiscenti e il più nascosti possibile per non disturbare il belvedere dei razzisti e degli ignavi. Di quelli uomini e donne che non vedono oltre il loro naso, e che pensano di risolvere i problemi che la nostra società porta con se, impedendo a persone di poter vivere con uno dei beni fondamentali di cui l’uomo ha bisogno. Non esiste infatti angoscia più grave per una persona del fatto di trovarsi senza un riparo, senza un posto dove stare, senza quello che è un bene primario e imprescindibile dell’essere umano: una casa.

Nel nostro lavoro questo è il problema costante di tutti , degli immigrati e di riflesso anche nostro, ed è il problema che meno evoluzioni positive ha visto in questi 10 anni in cui l’immigrazione in Italia è diventata un fatto strutturale.
Si fanno tanti proclami, tanti progettini, tante azioni da parte di associazioni, di industriali, della chiesa ,dei comuni più sensibili; certo azioni tutte positive ma assolutamente inadeguate per il problema che ci troviamo di fronte. Di fatto non si affronta quello che è l’intervento indispensabile: un intervento di politiche abitative complessivo, che riguardi sia i cittadini immigrati sia i cittadini italiani.
In Italia si continua a trattare questo problema come un problema emergenziale e non piuttosto come un problema che deve essere affrontato con un piano strutturale di interventi su più fronti, che vada ad incidere sui meccanismi perversi che si sono sedimentati in quello che è il mercato immobiliare, sia nel settore pubblico che privato, più difficile d’Europa. In Italia non esistono di fatto politiche abitative ne a livello centrale, regionale o locale.

Per farvi un esempio tra il 1945 il 1978 la produzione di edilizia sociale ha raggiunto in Italia il 10% del mercato dell’affitto mentre in Gran Bretagna è stato del 63% e in Olanda del 51%. Negli ultimi anni le politiche abitative hanno scelto e privilegiato l’acquisto, tanto che i ¾ della popolazione italiana vive oggi in appartamenti di proprietà. Attualmente in Italia il patrimonio abitativo in affitto, pubblico e privato, è solo il 20% del totale, contro una media europea del 33,8%. (dati Caritas).
Di fatto per la popolazione italiana e per gli stranieri presenti con reddito medio-basso, è praticamente impossibile accedere al mercato privato per i costi insostenibili e per gli immigrati si aggiunga l’impossibilità di fatto all’accesso all’edilizia residenziale pubblica per i meccanismi di esclusione presenti nella legislazione.

Anche nei Comuni sensibili al problema e che intendono dare governabilità anche a questo settore si assiste di fatto ad una delega “politica”sul fronte delle soluzioni abitative che di solito spetta agli assessorati alle Politiche Sociali, ai servizi per l’immigrazione, ai servizi sociali solidificando di fatto la precarietà delle soluzioni.

I centri di prima e seconda accoglienza, per altro gestiti in modo da farli diventare soluzioni stabili e non a rotazione, non possono rappresentare la soluzione al problema degli immigrati. E infatti un rimedio temporaneo, che risponde solo a una tipologia (l’immigrato maschio adulto) e non risponde al nuovo assetto dell’immigrazione che vede ormai stabilizzata la presenta dei nuclei famigliari.
Questo non significa che gli interventi dei tanti settori privati su questo problema non debbano essere fatti, ma è assolutamente indispensabile che chi governa le città abbia una regia di programmazione e di coordinamento senza abdicare al ruolo che la politica e i governanti si devono assumere per mandato dei cittadini.

Particolarmente grave è pertanto l’irresponsabilità dimostrata da chi governa la città di Treviso e da chi ha dato l’ordine di sgomberare gli edifici occupati, non da clandestini ma da lavoratori regolari, lavoratori che contribuiscono al benessere di una delle città più ricche d’Italia. Anziché cercare soluzioni positive, si cerca lo scontro e la contrapposizione ideologica, termine anche troppo raffinato per il caso di Treviso. Chi governa questa città non è in grado di affrontare i problemi che la storia pone, si riesce solo a fare scadentissima propaganda che incita all’odio razziale, lasciando nel concreto soli anche i cittadini italiani di fronte alle difficoltà che sicuramente le migrazioni pongono.