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da Il Manifesto del 3 febbraio 2005

L’ultima speranza in cammino nel deserto

Le rotte dell'emigrazione dall'Africa all'Europa - 1/la Mauritania

Il poliziotto mauritano è gentile ma fermo mentre ci ingiunge di andare via. «S’il vous plait, Monsieur, c’est des clandestins», ci sussurra con voce melliflua accompagnandoci alla porta del commissariato, dove ci eravamo introdotti di straforo un quarto d’ora prima. Siamo a Zouérat, estremo nord della Mauritania, uno dei pochi posti al mondo in cui i tutori dell’ordine invece di portarti dentro ad ogni costo ti invitano a uscire il più presto possibile. Il problema è che dentro è già troppo affollato: ci sono per l’appunto i clandestins, nello specifico 67 cittadini indiani e 24 bengalesi, tutti uomini, per lo più giovani, catturati mentre stavano tentando di attraversare il deserto alla volta del Marocco e dell’Europa. Dormono in tende di fortuna arrangiate nel cortile, se non stravaccati su materassi luridi nelle stesse stanze del commissariato. Mangiano quello che i poliziotti danno loro; vivacchiano facendo trascorrere il tempo.

Eravamo entrati senza farci notare proprio su richiamo di uno di loro, Salim, un ragazzo indiano dall’espressione vivace che, vedendo una faccia straniera, ci ha apostrofati in inglese da una finestrella del cortile. Nell’ombra della tenda, lui e i suoi compagni hanno cominciato a raccontarci la loro storia, ma presto la vivacità suscitata dalla visita inattesa ha attirato l’attenzione dei guardiani, che hanno messo alla porta l’indesiderato ospite.

Salim e i suoi compagni di sventura sono bloccati a Zouérat da diverso tempo; chi da tre mesi, chi da due, chi da tre settimane. Hanno pagato tutti indistintamente 12mila dollari per un pacchetto «tutto-compreso» verso l’Europa: viaggio in aereo dall’India a Bamako, capitale del Mali; attraversamento clandestino del deserto su Land Rover fino alle coste del Sahara occidentale; trasferimento su una barca alla volta delle Isole Canarie spagnole, estrema porta meridionale della fortezza di Schengen. A metà del percorso, tuttavia, qualcosa è andato storto: un gruppo di loro è stato intercettato dalla polizia mauritana nel deserto, un altro abbandonato tra le dune dai passeurs, un altro arrestato mentre era ancora in città. Ora sono qui, più o meno sospesi.

Nonostante l’espressione gioviale tipica degli asiatici, la disperazione segna i loro sguardi. Alcuni ci fissano con un sorriso greve, senza riuscire a dire altro che mistake («errore»). Ora, fallita la corsa all’Europa, vorrebbero tornare a casa. Ma non possono. La Mauritania, uno degli stati più poveri del mondo, non si può certo fare carico delle spese del rimpatrio. I loro paesi di appartenenza – anch’essi tutt’altro che floridi – recalcitrano, per evitare di stabilire pericolosi precedenti. Così i 100 asiatici rimangono in stato di fermo in mezzo al guado, a metà strada tra il punto di partenza e quello dell’agognato (e ormai sfumato) arrivo.

Il muro-colabrodo dei marocchini
Quella che dal Mali passa per la Mauritania e il Sahara occidentale è l’ultima rotta utilizzata da coloro che tentano di attraversare il mare di sabbia per emigrare clandestinamente verso la Spagna. Meno conosciuta e meno battuta di quelle che dal Mali orientale e dal Niger attraversano l’Algeria (vedi riquadro nella pagina), questa pista è, da almeno due anni a questa parte, una più che valida alternativa. Lo stesso segretario generale delle Nazioni unite ne ha parlato in un recente rapporto. «La comparsa, nella zona cuscinetto del Sahara occidentale, di migranti clandestini, alcuni dei quali rimangono occasionalmente sperduti senza adeguati mezzi di sussistenza per lunghi periodi, è oggetto di crescente preoccupazione», ha detto Kofi Annan.

L’unico apparente ostacolo al passaggio è rappresentato dal lungo muro innalzato negli anni Ottanta dai marocchini per arginare le incursioni dei ribelli saharawi del Fronte Polisario nelle città dell’ex colonia spagnola occupate militarmente da Rabat. Dal 1991, anno in cui è stato firmato un cessate il fuoco tra i rappresentanti del Repubblica araba saharawi democratica (in esilio a Tindouf, nel sud dell’Algeria) e il governo marocchino, nella zona non si spara un colpo. Il controllo del vasto territorio desertico è così diviso in due: a est, le pattuglie del Polisario, ad ovest decine di migliaia di soldati marocchini, che stazionano lungo il muro e vigilano sulle città del Sahara occidentale (Dakhla, Laâyoune, Smara). In mezzo, alcuni caschi blu della Minurso (Missione delle Nazioni unite per il Sahara occidentale), impegnati a sorvegliare il mantenimento del cessate il fuoco.

Nonostante la virtuale presenza di tre eserciti, il territorio è un crocevia di ogni traffico: immenso e desertico, è di fatto impossibile da controllare. Così negli ultimi tempi, alcuni contrabbandieri di sigarette e altre mercanzie hanno deciso di riciclarsi come guide per i clandestini. Usano gli stessi tragitti che usavano per il passaggio della merce. Anche i metodi, del resto, sono gli stessi: per oltrepassare il muro, basta pagare una percentuale alle guardie marocchine di turno. Un soldato della Minurso, sia pur sotto la condizione dell’anonimato, non ha remore a dirci che «qui il contrabbando impazza. In diversi casi, nel corso delle nostre pattuglie, abbiamo incrociato proprio vicino alla barriera, camion nuovissimi apparentemente stracarichi di merce».

Ospiti del Polisario per sei mesi
La Minurso non ha il mandato per bloccare il contrabbando né per interessarsi all’immigrazione clandestina; si deve limitare a vigilare sulla tregua. Il Polisario, invece, si è trovato suo malgrado investito dal fenomeno: a più riprese le sue pattuglie hanno incrociato alcuni migranti sperduti nel deserto e li hanno soccorsi. Un gruppo di asiatici è tuttora ospite dei soldati saharawi a Tifariti, più a nord, a poca distanza dal confine algerino. Un altro gruppo di 21 bengalesi e indiani è rimasto sei mesi nel fortino del Polisario a Mijek, circa 90 chilometri a ovest di Zouérat. «Li abbiamo trovati un po’ più a nord, completamente disidratati, con gli occhi fuori dalle orbite», racconta Hamma Salama, comandante di questa regione militare, che incontriamo nella caserma di pietra in cui vive con i suoi soldati. «Dopo averli rifocillati, li abbiamo portati in questo stesso fortino in cui ci troviamo adesso», continua il militare. «Sono rimasti con noi dal maggio all’ottobre dell’anno scorso, finché non se ne è fatta carico l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni ndr) che, a quanto ne sappiamo noi, ha proceduto al loro rimpatrio».

Mentre la notte sahariana sembra inghiottire la costruzione in muratura, Hamma Salama ci mostra le schede compilate dall’Oim per ognuno dei clandestini, con nome, cognome, nazionalità e data di nascita. E poi annuncia: «Non venivano da est, ma da ovest. Sono stati spinti al di là del muro nel nostro territorio dai marocchini. Gli hanno sparato contro e li hanno costretti a venire da questa parte».

Difficile da verificare, l’affermazione del comandante mostra quanto, in una zona come questa, il fenomeno dell’immigrazione clandestina può rappresentare una miccia capace di far alzare ulteriormente la tensione tra i due nemici. Secondo il Polisario, il Marocco farebbe il gioco sporco: spedirebbe nel Sahara occidentale immigrati illegali entrati per altre vie, in modo da gettare discredito sui ribelli. Rabat non risponde alle accuse, che peraltro non sono mai state fatte a gran voce. Ma, per ribattere, sottolinea altri fatti: l’arresto, nel novembre scorso, di alcuni saharawi in Mauritania che stavano trasportando di nascosto una cinquantina di sub-sahariani verso il Sahara occidentale ha fatto scatenare la stampa marocchina, che ha accusato «i mercenari del Polisario» di abbandonarsi ai più turpi traffici. Teoricamente neutrali, i soldati della Minurso di stanza a Mijek fanno orecchie da mercante. Sui responsabili e gli organizzatori dei convogli di clandestini, dicono di non saper nulla. Sugli asiatici rimasti a Mijek affermano: «Non sappiamo da dove provenivano. Non è che abbiamo interagito molto con loro». Confermano solo che avevano segni di ferite sul corpo.

«Una strada più che sicura»

Al di là dei suoi effetti collaterali – e della sua possibile strumentalizzazione in chiave politica da parte dei belligeranti – il fenomeno dell’immigrazione clandestina sembra destinato a crescere da queste parti. Alcuni sub-sahariani incontrati a Zouérat ci hanno confessato essere venuti nella città mauritana con il semplice obiettivo di attraversare il Sahara occidentale e imbarcarsi verso Europa. A quanto ci ha raccontato un giovane gambiano, a Bir Moghrein – circa 200 chilometri più a nord nel deserto – si organizzano in continuazione convogli per oltrepassare il muro. Molti, la maggioranza, sembra che passino senza problemi. «Per il momento pare che la strada sia sicura», ha aggiunto il ragazzo. «Sono davvero pochi quelli che vengono bloccati». Con buona pace di Salim e dei suoi compagni, prigionieri con ben poche prospettive nel commissariato di Zouérat. (1- continua)