Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Corriere della Sera dell'11 gennaio 2011

La Caritas: «Basta stranieri si rischia guerra fra poveri»

Accuse al decreto flussi: «La situazione è drammatica»

Un tempo c’erano le dichiarazioni da iperleghista di Mario Borghezio e di Giancarlo Gentilini sugli stranieri e sui temi dell’immigrazione in generale. Ora, anche l’ultima roccaforte di difesa dei migranti, la Caritas, fa dietrofront, seppur partendo da presupposti diversi e con motivazioni sostanzialmente opposte: «La situazione occupazionale è drammatica – dice il direttore della Caritas veneziana Don Dino Pistolato in occasione della presentazione di “Una sola famiglia umana”, la 97esima giornata mondiale del migrante e del rifugiato che si terrà il 16 gennaio – non si possono aprire i flussi migratori a centomila persone in questo momento, è una scelta pericolosa». Svolta protezionista della Chiesa di fronte alla scelta del governo di accogliere circa centomila nuovi stranieri sul territorio italiano di cui diecimila in Veneto? «Nemmeno per sogno — frena don Pistolato — E’ che bisogna imparare a guardare in faccia la realtà anche quando è brutta: accoglienza significa poter offrire lavoro, alloggi e dignità, non alimentare il panico mandando al massacro i nuovi arrivati e alimentando il razzismo», aggiunge il direttore della Caritas. Basta guardare che cosa sta succedendo ai corsi destinati alle badanti o nei mercati ortofrutticoli. Fino a due anni fa infatti c’era solo personale straniero e gli imprenditori continuavano a chiedere nuova manodopera, mentre oggi a causa della crisi gli italiani sono di nuovo disposti ad accettare qualunque lavoro pur di avere un minimo di stipendio.

«E’ tornato lo spettro degli stranieri che rubano il lavoro» aggiunge il coordinatore della commissione regionale per le migrazioni don Ferruccio Sant spiegando che «l’integrazione in Veneto si è basata sul fatto che gli stranieri hanno sempre lavorato nelle fabbrichette dei paesini a stretto contatto con i veneti e hanno sempre vissuto accanto a loro con le loro famiglie». Ma adesso le cose sono cambiate: gli oltre cinquecentomila stranieri che vivono sparsi tra le sette province hanno iniziato a chiedere alla Caritas proprio i soldi per spedire i famigliari a casa visto che tra disoccupazione e cassaintegrazione non riescono più ad affrontare affitti e costi scolastici per tutta la famiglia. Quelli che restano dunque sono tutti maschi tra i 18 e i 40 anni che si ammassano nelle case dei loro connazionali per diminuire i costi di affitto e continuare a mandare i soldi nei rispettivi paesi d’origine. E soprattutto hanno iniziato a fare concorrenza ai veneti nella ricerca del lavoro a fronte di decine di migliaia di nuovi disoccupati. «E’ già iniziata una guerra al massacro tra poveri», rincara la dose Don Pistolato. «L’integrazione è un argomento estremamente complesso e difficile – spiega il direttore dell’ufficio immigrazione delle chiese del Nordest monsignor Adriano Tessarollo – ma il Vangelo ci chiede di accogliere lo straniero e ci impone di non trasformare differenze e diversità in contrasti sociali, perché il legame della fede è più forte del legame di sangue».

Resta il fatto che la presenza di migliaia di immigrati regolari senza lavoro rischia di alimentare circuiti di sfruttamento e di lavoro nero (quasi l’80 per cento sono uomini e il 20 per cento donne) accommpagnati dal rimpatrio massiccio di figli e mogli. Problemi che senza una svolta economica sono destinati a crescere soprattutto nelle provincie di Vicenza che conta quasi il 17 per cento di stranieri e Verona che segue a ruota. Le difficoltà però sono destinate a coinvolgere anche Venezia che conta il più alto numero di immigrati di seconda generazione del Veneto e Belluno che vede una presenza massiccia di donne rispetto agli altri territori. D’altro canto, a sentire la Caritas, gli stranieri che vivono in Veneto stanno subendo doppiamente la crisi, perché molti di loro provengono da paesi in guerra e non possono in alcun modo fare rientro a casa. «Le politiche di assistenza devono essere le stesse per italiani e stranieri – conclude don Marino Callegari della Caritas di Chioggia – Senza uguale accesso al lavoro e senza possibilità di accedere agli alloggi comunali o regionali non c’è integrazione. Va potenziata la scuola, primo veicolo d’integrazione, e regolarizzati gli stranieri che già ci sono».

Alessio Antonini