Una recente decisione della quarta sezione della Corte Europea dei diritti dell’uomo, adottata a Strasburgo nella seduta del 2 dicembre 2008, ha negato l’ammissibilità di un ricorso d’urgenza presentato, ai sensi dell’art. 39 del regolamento di procedura (Request for interim measures), da parte di un cittadino iraniano richiedente asilo che, dopo avere attraversato la Grecia, primo paese europeo appartenente al sistema Dublino, era giunto in Gran Bretagna, e lì aveva inoltrato domanda di asilo. Pochi giorni prima, il 18 novembre 2008, un’altra sezione della stessa Corte Europea aveva sospeso l’esecuzione di una procedura di riammissione in base al Regolamento Dublino II dall’Italia verso la Grecia. Un richiedente asilo afghano, giunto in Italia passando per la Grecia, presentava alla Corte Europea un ricorso di urgenza, per la sospensione del provvedimento di riammissione, sulla base di una documentazione proveniente da una organizzazione tedesca, comprovante gli abusi da parte dello stato greco nei confronti dei richiedenti asilo (molti dei quali minori sono minori non accompagnati, bambini, o giovani adulti potenziali richiedenti asilo [ vedi ].
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, questa volta la seconda sezione, con una decisione del 18 novembre 2008, ravvisava la possibile violazione dell’art. 34 CEDU ( diritto ad un ricorso individuale) e intimava allo Stato italiano di sospendere l’espulsione del cittadino afghano verso la Grecia fino al 10 dicembre 2008 (CEDH-LF2.2R, EDA/cbo, Requete n°55240/08, M. c. Italie).
Le decisioni assunte dalla Corte Europea, ed in particolare l’ultima decisione di inammissibilità del ricorso d’urgenza, adottata il 2 dicembre scorso, nel procedimento instaurato nei confronti dello stato inglese, si riferiscono a casi per molti aspetti diversi da quelli che si registrano quotidianamente alle frontiere portuali dell’Adriatico ( Venezia, Ancona, Bari, Brindisi ), ma pongono comunque la questione della valutazione delle possibilità effettive di accesso alla procedura di asilo, oltre che del diritto di difesa e del divieto di refoulement, nei confronti dei richiedenti asilo da riammettere in Grecia per effetto di una decisione di una Unità Dublino (autorità nazionale competente a decidere sui casi di applicazione del Regolamento Dublino II n.343 del 2003) . Nell’ultima decisione adottata dai giudici di Strasburgo, il richiedente asilo, internato in un centro di detenzione inglese per oltre diciotto mesi, era stato ammesso ad una procedura Dublino, per la determinazione dello stato membro competente ad esaminare la richiesta di protezione internazionale e, per effetto di una prima sospensiva della Corte di Strasburgo, aveva potuto avvalersi dei mezzi di ricorso interni accordati dall’ordinamento inglese.
La stessa decisione di inammissibilità adottata dalla Corte il 2 dicembre non risulta quindi applicabile automaticamente ai casi di respingimento immediato alla frontiera, nei quali venga negato persino l’accesso alla procedura di asilo, e dunque neppure venga chiamata in causa l’unità Dublino, come è prassi quotidiana nei porti dell’Adriatico, in Italia, rispetto a quanti provengono da Patrasso. e sono immediatamente “affidati” ai comandanti delle navi traghetto, non appena scoperti dalla polizia, senza alcun provvedimento formale. Peraltro, nel caso del cittadino iraniano che aveva fatto ricorso ai giudici di Strasburgo contro il governo inglese, in un primo momento la Corte Europea aveva accolto un ricorso presentato, sempre ai sensi dell’art. 39 del regolamento di procedura, imponendo allo stesso governo inglese di non procedere alla riammissione in Grecia fino a quando non si fossero esauriti i mezzi di ricorso davanti al giudice nazionale. Dopo il rigetto dell’ istanza contro il provvedimento di riammissione in Grecia il cittadino iraniano aveva inoltrato una successiva richiesta alla Corte Europea per la sospensione della procedura di allontanamento forzato verso la Grecia. Chiamati a decidere un altra volta, dopo la definizione del giudizio interno in Gran Bretagna, i giudici di Strasburgo negano una seconda applicazione della sospensiva d’urgenza ex art. 39.
La quarta sezione della Corte, con la decisione del 2 dicembre, pur confermando la precedente giurisprudenza della stessa Corte e l’attendibilità dei rapporti dell’ACNUR circa la situazione deficitaria del diritto di asilo in Grecia, anche per il rischio di un successivo refoulement, nel caso concreto ritiene non ammissibile la procedura di urgenza perché l’Unità Dublino della Grecia avrebbe fornito assicurazioni alla Corte Europea circa la assenza di un rischio effettivo di refoulement verso l’Iran, paese originario del richiedente asilo, anche sulla base delle assicurazioni fornite dal rappresentante del governo inglese circa la possibilità di presentare in Grecia un ulteriore ricorso d’urgenza ex at. 39, ove si profilasse il rischio di un successivo refoulement verso l’Iran.
Occorre segnalare la portata esatta della decisione della Corte di Strasburgo del 2 dicembre e alcune significative omissioni o contraddizioni interne per evitare che questa pronuncia di “inammissibilità” venga strumentalizzata come copertura per le politiche di rimpatrio o di riammissione che alcuni governi europei, l’Italia in testa, stanno praticando in violazione della Convenzione di Dublino e dei principi e degli obblighi di protezione affermati nelle Convenzioni internazionali, nei Trattati, nei Regolamenti e nelle Direttive comunitari.
La Corte prende atto innanzitutto della mancata risposta del governo greco alla richiesta di chiarimenti circa la possibilità di un successivo refoulement del richiedente asilo verso il paese di origine, e ciò malgrado si limita a ritenere sufficiente la risposta dell’Unità Dublino greca per ritenere non provato “con assoluta certezza”, da parte del richiedente il rischio concreto di respingimento successivo dalla Grecia in Iran. In questo modo la Corte aggrava l’onere probatorio richiesto a quanti fanno ricorso ex art. 39 del regolamento di procedura, imponendo che siano proprio le potenziali vittime del refoulement a provare che il paese verso il quale rischiano di essere trasferiti ha già praticato respingimenti in contrasto con il divieto di refoulement, sancito oltre che dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, tra le altre disposizioni interne ed internazionali, dall’art. 3 della Convenzione a salvaguardia dei diritti dell’uomo.
La decisione della Corte di Strasburgo omette di considerare come, a distanza di oltre dieci anni dal Trattato di Amsterdam, una normativa effettiva e comune in materia di asilo e protezione umanitaria, a livello comunitario, resti ancora una chimera, malgrado gli sforzi di uniformazione dei livelli di accoglienza e degli standard sulle qualifiche e sulle procedure posti in essere con le direttive 2003/9/CE e poi con le direttive 2004/83/CE e 2005/85/CE. Direttive che la Grecia è ancora ben lontana dall’avere implementato effettivamente, a partire dalla banale considerazione che la competenza dell’intera procedura rimane ancora esclusivamente alla polizia. Si omette inoltre di attribuire valore alle gravissime violazioni del diritto comunitario da parte della Grecia, a partire dalla mancata ( o incompleta) attuazione delle direttive che regolano l’accoglienza, le qualifiche e le procedure relative ai richiedenti asilo, o si dà atto della attuazione interna delle direttive comunitarie senza affrontare il problema della loro effettiva applicazione.
I giudici di Strasburgo rilevano così come
“The above Directive (2003/9/CE) requires that Member States ensure a dignified standard of living to all asylum-seekers, paying specific attention to the situation of applicants with special needs or who are detained. It regulates matters such as the provision of information, documentation, freedom of movement, healthcare, accommodation, schooling of minors, access to the labour market and to vocational training. It also covers standards for persons with special needs, minors, unaccompanied children and victims of torture.
In a judgment given on 19 April 2007 in Commission v. Greece (Case C-72/06), the Court of Justice of the European Communities (“the ECJ”) found that Greece had failed to implement the Directive. It appears from the United Nations High Commissioner for Refugees Position Paper (set out below) that it has now done so”.
Nessun cenno, in particolare, all’attuazione effettiva in Grecia della Direttiva sulprocedure di asilo 2005/85/CE, che, anche alla luce degli scarni richiami della sentenza della Corte, appare in contrasto frontale con la vigente legislazione greca in materia di asilo e con le prassi attuative della polizia di quel paese. Una omissione grave in una decisione che avrebbe dovuto essere incentrata proprio su questo tema, in quanto le garanzie procedurali in favore dei richiedenti asilo possono venire soltanto da norme di legge interna che attui fedelmente le direttive comunitarie e non certo da lettere di esponenti ministeriali o di unità amministrative riconducibili a organi governativi.
Di fronte alle evidenti inadempienze del governo greco, e di fronte alle prassi abusive documentate da numerosi rapporti internazionali e specificamente anche dall’ACNUR, la semplice lettera del Capo dell’Unità Dublino in Grecia e le rassicurazioni che vi sono contenute circa il rispetto da parte della Grecia degli standard comunitari ed internazionali in materia di protezione dei rifugiati e dei richiedenti protezione internazionale, convince la quarta sezione della Corte di Strasburgo a rifiutare il provvedimento di urgenza e di fatto consente la riammissione forzata del cittadino iraniano in Grecia. Scrive il capo dell’Unità greca Dublino ( Sezione asilo) “In general, no alien who submits an asylum application is put in detention for that sole reason. “In any case, the expulsion procedure that regards illegal aliens or asylum applicants, who were firstly arrested for illegal entry, is going through various stages of remedy (administrative or judicial) [sic]. No asylum applicant is expelled, unless all the stages of the asylum procedure are finished and all the legal rights for review have been exhausted, according to the provisions of the Geneva Convention and the non refoulement clause. Furthermore, according to the Procedural Rules of the European Court of Human Rights, they have the right to appeal against any expulsion decision and have a Rule 39 indication on their case.”
Secondo una successiva lettera del 31 ottobre del Ministero greco “for Aliens Affairs”, peraltro, il numero di richieste di asilo così basso in Grecia si spiegherebbe con il fatto che i migranti intenderebbero presentare la loro istanza di protezione internazionale in altri paesi europei, e dunque per questa ragione non presenterebbero domanda alle autorità greche.
Tanto basta ai giudici di Strasburgo per ritenere infondata la richiesta di sospensione del trasferimento del richiedente asilo dalla Gran Bretagna alla Grecia, negando dunque una seconda applicazione dell’art. 39 del regolamento di procedura.
Certo, il rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura riferito dai giudici di Strasburgo non risulta affatto idoneo a cogliere le diffuse violazioni di diritti fondamentali dei potenziali richiedenti asilo che si registrano in Grecia e che altre agenzie umanitarie internazionali hanno ben individuato, limitandosi ad osservare solo problemi legati ai servizi igienici ed alla illuminazione dei centri di detenzione visitati. Ma una indagine più approfondita sulle condizioni dei potenziali richiedenti asilo, e aggiungiamo, dei minori non accompagnati, è quanto mai urgente e necessaria, e le associazioni raccoglieranno presto un dossier per sollecitare una nuova visita del Comitato e di altre agenzie internazionali in Grecia.
Secondo il Report dell’8 febbraio 2008, rispetto ad una visita effettuata dal 20 al 27 febbraio 2007, il CPT ( Comitato per la prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa) si limitava ad osservare :
“With respect to all the centres visited, the CPT calls upon the Greek authorities to ensure that:
– repair work is carried out immediately so that:
– all centres have functioning toilet and shower facilities with a constant supply of water, at an appropriate temperature;
– appropriate artificial lighting is installed, and access to natural light and ventilation improved.
– all detainees are allocated a bed/plinth and provided with a clean mattress and clean bedding;
– occupancy rates be revised so as to offer a minimum of 4m² of space per detainee;
– all detainees are provided with the necessary products and equipment to keep their accommodation clean, as well as with products for personal hygiene (i.e. toilet paper, soap, toothpaste, toothbrush, etc.);
– all detainees have unimpeded access to toilet facilities;
– all detainees are allowed to spend a large proportion of the day outside their cells and have at least one hour of outdoor exercise a day. (emphasis in original)”
The Committee also noted that there was no regime offering purposeful activities to detainees, that staffing arrangements in the detention facilities were totally inadequate and that proper health care services had to be provided to detainees.
Una posizione questa, del Comitato di prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa, gravemente omissiva rispetto alle diverse violazioni dei diritti fondamentali delle persone richiedenti asilo, accertate dall’Alto Commissariato delle nazioni unite per i rifugiati nel suo Rapporto. Persino i grandi mezzi di informazione ed i network sociali sono ormai pieni di immagini e di testimonianze delle violenze e degli abusi subiti dai minori e dai potenziali richiedenti asilo nelle città, alle frontiere e nei porti ( a Patrasso in particolare) della Grecia. Una recente indagine penale della magistratura greca, alla fine di novembre del 2008, ha comportato l’arresto di undici agenti di polizia che a Patrasso ricevevano denaro in cambio del passaggio dei migranti verso l’Italia.
:
On 15 April 2008, the United Nations High Commissioner for Refugees published the above paper in which it advised the European Union Member States to refrain from returning asylum seekers to Greece under the Dublin Regulation until further notice. It also recommended that they make use of Article 3(2) of the Dublin Regulation (see relevant European Union law above) and examine asylum applications themselves. The Position Paper criticised reception procedures for “Dublin returnees” at Athens airport and the Central Police Asylum Department, which was responsible for registering asylum appeals. It also expressed concerns in respect of those whose asylum claims were deemed to be “interrupted” as a result of their having left Greece before their claims had been decided:
“While a number of positive changes in the practice have been noticed in 2007, the legal framework underpinning the practice of ‘interruption’ continues to leave room for different interpretations and fails to guarantee that ‘Dublin returnees’ with ‘interrupted claims’ are granted access to the procedure. This situation calls into question whether ‘Dublin returnees’ will have access to an effective remedy as foreseen by Article 13 of the European Convention on Human Rights as well as Article 39 of the Asylum Procedures Directive [Council Directive 2005/85/EC of 1 December 2005 on minimum standards on procedures in Member States for granting and withdrawing refugee status – see relevant European Union law above]. Of relevance is the decision taken by the European Commission on 31 January 2008 to refer a case to the European Court of Justice against Greece for the infringement of the Dublin Regulation based on Greece’s failure to enact legislative amendments to abolish the practice of ‘interruption’. (footnotes omitted)”
The Position Paper also characterised the percentage of asylum seekers who were granted refugee status as “disturbingly low” and criticised the quality of asylum decisions, noting in particular their short, standardised format and the absence of legal reasoning in some decisions.
Nelle sue motivazioni finali la Corte di Strasburgo ribadisce comunque il rilievo delle considerazioni contenute nel documento dell’ACNUR, ma sembra attribuire maggior peso alla cittadinanza iraniana del richiedente asilo, alla circostanza che non risulterebbero provati casi di refoulement di richiedenti asilo dalla Grecia verso l’Iran, e soprattutto dall’argomentazione che la Grecia avrebbe attuato nel suo ordinamento interno le norme di diritto comunitario concernenti l’accoglienza, le qualifiche e le procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione internazionale.
The Court notes the concerns expressed by the UNCHR whose independence, reliability and objectivity are, in its view, beyond doubt. It also notes the right of access which the UNHCR has to asylum seekers in European Union Member States under the European Union Directives set out above. Finally, the Court notes that the weight to be attached to such independent assessments of the plight of asylum seekers must inevitably depend on the extent to which those assessments are couched in terms similar to the Convention (see, mutatis mutandis, NA., cited above, § 121). Accordingly, the Court attaches appropriate weight to the fact that, in recommending that parties to the Dublin Regulation refrain from returning asylum seekers to Greece, the UNHCR believed that the prevailing situation in Greece called into question whether “Dublin returnees” would have access to an effective remedy as foreseen by Article 13 of the Convention. The Court also observes that the UNHCR’s assessment was shared by both Amnesty International and the Norwegian Organisation for Asylum Seekers and other non-governmental organisations in their reports.
Despite these concerns, the Court considers that they cannot be relied upon to prevent the United Kingdom from removing the present applicant to Greece, for the following reasons.
The Court notes that the present applicant is Iranian. On the evidence before it, Greece does not currently remove people to Iran (or Afghanistan, Iraq, Somalia or Sudan – see Nasseri above) so it cannot be said that there is a risk that the applicant would be removed there upon arrival in Greece, a factor which Lord Justice Laws regarded as critical in reaching his decision (see above). In reaching this conclusion the Court would also note that the Dublin Regulation, under which such a removal would be effected, is one of a number of measures agreed in the field of asylum policy at the European level and must be considered alongside Member States’ additional obligations under Council Directive 2005/85/EC and Council Directive 2003/9/EC to adhere to minimum standards in asylum procedures and to provide minimum standards for the reception of asylum seekers. The presumption must be that Greece will abide by its obligations under those Directives. In this connection, note must also be taken of the new legislative framework for asylum applicants introduced in Greece and referred to in the letters provided to the Court by the Agent of the Government of Greece through the United Kingdom Agent. In addition, if Greece were to recommence removals to Iran, the Dublin Regulation itself would allow the United Kingdom Government, if they considered it appropriate, to exercise their right to examine asylum applications under Article 3.2 of the Regulation.
Quite apart from these considerations, and from the standpoint of the Convention, there is nothing to suggest that those returned to Greece under the Dublin Regulation run the risk of onward removal to a third country where they will face ill-treatment contrary to Article 3 without being afforded a real opportunity, on the territory of Greece, of applying to the Court for a Rule 39 measure to prevent such. It is true that the Greek authorities, in their letters of 31 October and 4 November 2008, have not specifically addressed this matter, even though they were requested to do so. However, the Court notes in this regard that assurances were obtained by the Agent of the United Kingdom Government from the Greek “Dublin Unit” – in particular in the letter dated 11 July 2008 from the Head of Aliens Division (Asylum Section) of that unit – that asylum applicants in Greece have a right to appeal against any expulsion decision and to seek interim measures from this Court under Rule 39 of the Rules of Court. There is nothing in the materials before the Court which would suggest that returnees to Greece under the Dublin Regulation, including those whose asylum applications have been the subject of a final negative decision by the Greek authorities, have been, or might be, prevented from applying for an interim measure on account of the timing of their onward removal or for any other reason.
La decisione finale dei giudici di Strasburgo si basa esclusivamente su una mera presunzione, che purtroppo è ampiamente smentita, al di là del caso individuale, del quale non si conosce la sorte, dalle centinaia di casi che ancora a ottobre del 2008 l’associazione umanitaria tedesca Pro Asyl ha pubblicizzato in un suo importante rapporto.
The Court recalls in this connection that Greece, as a Contracting State, has undertaken to abide by its Convention obligations and to secure to everyone within their jurisdiction the rights and freedoms defined therein, including those guaranteed by Article 3. In concrete terms, Greece is required to make the right of any returnee to lodge an application with this Court under Article 34 of the Convention (and request interim measures under Rule 39 of the Rules of Court) both practical and effective. In the absence of any proof to the contrary, it must be presumed that Greece will comply with that obligation in respect of returnees including the applicant. On that account, the applicant’s complaints under Articles 3 and 13 of the Convention arising out of his possible expulsion to Iran should be the subject of a Rule 39 application lodged with the Court against Greece following his return there, and not against the United Kingdom.
Finally, in the Court’s view, the objective information before it on conditions of detention in Greece is of some concern, not least given Greece’s obligations under Council Directive 2003/9/EC and Article 3 of the Convention. However, for substantially the same reasons, the Court finds that were any claim under the Convention to arise from those conditions, it should also be pursued first with the Greek domestic authorities and thereafter in an application to this Court.
For the above reasons, the United Kingdom would not breach its obligations under Article 3 of the Convention by removing the applicant to Greece. Accordingly, it is appropriate to lift the interim measure indicated under Rule 39 of the Rules of Court and to reject the application as manifestly ill-founded pursuant to Article 35 §§ 3 and 4 of the Convention.
Si può osservare a questo punto come la decisione della quarta sezione della Corte Europea di Strasburgo, probabilmente assai preoccupata della crescita esponenziale dei ricorsi d’urgenza ex art. 39 del regolamento di procedura, imponga alle organizzazioni non governative ed alle reti di protezione legale un impegno ancora maggiore in futuro. Queste reti dovranno articolarsi anche su scala internazionale, per promuovere la denuncia, attraverso appositi dossier, non solo al Comitato di prevenzione della tortura (CPT) del Consiglio di Europa, ma anche ad altre autorità internazionali ( come l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani) e comunitarie ( dal Parlamento alla Commissione), di tutti i casi di refoulement che i singoli paesi comunitari realizzano abitualmente, a partire dagli abusi perpetrati dalla polizia greca ai danni di potenziali richiedenti asilo, spesso soggetti vulnerabili e minori, come nel caso eclatante di Patrasso, documentato anche da una recente trasmissione della RAI.
Si potranno così verificare le responsabilità della Grecia non solo davanti alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, ma anche davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che sarà chiamata a stabilire, anche in base alla nuova procedura di urgenza prevista dall’art. 234 del Trattato Comunitario (TCE), quanto la nuova legislazione e le prassi applicative della normativa in materia di asilo adottate in Grecia rispettino ( o meno) gli standard comunitari.
Quando poi si presenteranno altri ricorsi individuali, a livello interno o comunitario, si potrà disporre di una base probatoria certa che possa agevolare la tutela delle singole persone destinatarie di provvedimenti di allontanamento lesivi del principio di non refoulement, del Regolamento Dublino II, dei diritti fondamentali della persona. In questo modo sarà possibile ottenere anche la condanna di quei governi europei che violano l’art. 3 della CEDU, direttamente o indirettamente, respingendo senza formalità alle frontiere marittime o trasferendo richiedenti asilo, che hanno subito il diniego della richiesta di asilo, per effetto dell’applicazione del Regolamento Dublino, spesso senza avere riconosciuta neppure la possibilità di proporre un ricorso effettivo ( e qui in violazione dell’art. 13 della CEDU), verso paesi nei quali possono subire trattamenti inumani o degradanti o che possono a loro volta respingerli, come ad esempio la Grecia o la Turchia, verso gli stati di origine dai quali i richiedenti asilo o protezione internazionale sono fuggiti.
La decisione della quarta sezione della Corte Europea dei diritti dell’uomo (English)
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