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La Corte di Giustizia UE ripristina l’uguaglianza tra famiglie del/della lavoratore/trice italiano/a e straniero/a

Da oggi chi ha lasciato in patria coniuge o figli può richiedere gli assegni al nucleo familiare per i 5 anni antecedenti la richiesta

ASGI esprime soddisfazione per queste decisioni che rappresentano un ulteriore vincolo per il legislatore italiano affinché vengano rimosse le numerose differenze di trattamento tra lavoratori italiani e stranieri che ancora permangono.

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di ASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione

Con due sentenze depositate oggi la Corte di Giustizia ha messo fine a una anomalia del regime italiano degli assegni familiari: secondo la legge italiana il lavoratore (o la lavoratrice) italiano/a può computare il proprio nucleo familiare (ai fini del diritto agli assegni) inserendo nel nucleo anche i familiari residenti all’estero, mentre il lavoratore straniero, pur versando all’INPS i medesimi contributi, può inserire nel nucleo familiare solo i familiari residenti in Italia: con la conseguenza che, a seconda del numero di familiari o del reddito, può restare totalmente privo di assegni o può percepirlo in misura inferiore all’italiano.

La Corte ha sancito che tale diversità di trattamento è in contrasto sia con la direttiva 109/2003 (che riguarda i titolari di permesso di soggiorno a tempo indeterminato) sia con la direttiva 2011/98 (che riguarda i titolari di un permesso per famiglia o lavoro o attesa occupazione).

Secondo i Giudici di Lussemburgo occorre tenere conto che queste direttive “mirano a creare condizioni uniformi minime nell’Unione a riconoscere che i cittadini di paesi terzi contribuiscono all’economia dell’Unione con il loro lavoro e i loro versamenti contributivi di imposte e a fungere da garanzia per ridurre la concorrenza sleale tra i cittadini di uno stato membro e i cittadini di paesi terzi derivante dall’eventuale sfruttamento di questi ultimi” e non consentono pertanto (salvo casi particolari) trattamenti differenziati.

Si tratta di una ulteriore importante affermazione del principio di uguaglianza tra migranti e lavoratori autoctoni che conferma tra l’altro la valorizzazione del legame familiare anche quando questo viene provvisoriamente spezzato dalla migrazione.

La vicenda è ormai oggetto di contenzioso da diversi anni: il primo caso segnalato dalla CGIL di Brescia risale a cinque anni fa. In passato molti giudici avevano già riconosciuto il diritto facendo diretta applicazione delle direttive, ma poi la Corte di Cassazione ha preferito chiedere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la corretta interpretazione delle norme dell’Unione e il Giudice di Lussemburgo ha dato oggi la risposta.

Da oggi i lavoratori o le lavoratrici stranieri/e che hanno lasciato in patria coniuge o figli possono richiedere gli assegni al nucleo familiare per i 5 anni antecedenti la richiesta.

- La sentenza sulla Direttiva 109/2003/CE
- La sentenza sulla Direttiva 2011/98/UE

    Vedi anche

  • Illegittima la sospensione dell’assegno sociale al cittadino straniero sul presupposto dell’allontanamento superiore al mese dal territorio nazionale
  • L’INPS non può richiedere la restituzione dell’assegno sociale erogato
  • Assegno sociale e autocertificazione del non possesso di beni immobili: illegittima l’esclusione operata dall’INPS
[ 27 novembre 2020 ]
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Assegni familiari, Assistenza sociale, Discriminazione, Europa, Permesso di soggiorno, Permesso di soggiorno UE di lungo periodo (ex-carta di soggiorno)
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