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Rubriche: Confini e frontiere, Un mondo, molti mondi
Spagna

La Frontera Sur ai tempi del COVID-19

Ana Rosado, El blog de APDHA su El Pais - 31 marzo 2020

- Link all’articolo originale (ESP)

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Le persone continueranno a mettere a rischio la propria vita perché nessuno di quelli che dicono di proteggerci vuole rendere visibile e riconoscere la vera origine del problema.

Traduzione a cura di: Cecilia Filotto

La vita come la conoscevamo è stata messa in sospeso per il bene comune, o almeno così dicono, da quando siamo stati costretti a rimanere a casa dopo che lo scorso lunedì 16 marzo è stato decretato lo stato di emergenza.

Sono molti i collettivi e gli attivisti che hanno richiamato l’attenzione sul fatto che, dentro le misure imposte per proteggerci da COVID-19, ci sono molte altre persone a cui non è mai stato garantito il diritto alla vita da parte di coloro che dovrebbero avere questa responsabilità.

Tra gli uomini e le donne dimenticati ci sono gli eterni invisibili, quelli le cui vite non hanno lo stesso valore delle altre, perché le leggi non sono mai state fatte per proteggerli e garantire loro il diritto alla vita, ma piuttosto il contrario. Sono leggi stabilite per criminalizzarli, disumanizzarli e uniformarli sullo stesso piano.

Le persone che migrano in maniera irregolare non sembrano più essere la principale e unica minaccia e/o problema. Le bufale che sono state diffuse su queste persone hanno generato un effetto boomerang: siamo stati noi a chiudere per primi i confini di quei paesi i cui cittadini si devono confrontare con mille difficoltà per venire qui, e l’abbiamo fatto perché eravamo e siamo ancora una minaccia concreta.

È adesso che molti spagnoli sono diventati consapevoli del fatto che esistono dei privilegi, perché ora, di fronte a un evento reale e che non possiamo controllare - come nel caso di una pandemia -, sono state stabilite delle misure che limitano ciò che sembrava impensabile. Adesso è stato limitato un diritto universale come la libertà di movimento. Ora che sono i nostri famigliari e i nostri amici a rappresentare una minaccia alla sicurezza, proviamo dolore e ci immedesimiamo - ce lo dimostrano le reti - con coloro che non possono dire addio ai loro cari o viaggiare per prendersi cura di loro.

Un dolore che non è mai stato considerato nei confronti delle famiglie delle oltre 8.000 persone che hanno perso la vita sul confine meridionale in questi 30 anni.

Né per quelle delle due donne di quasi vent’anni e quel bambino di poco più di due anni che hanno perso la vita - oltre ad altre 4 persone scomparse - nel naufragio dello scorso 12 marzo sulla costa marocchina. Una tragedia che è passata inosservata perché ci sono delle priorità, sia per coloro che ci governano che per la maggior parte dei media, che non sono certo le morti avvenute nel sud del pianeta.

Nonostante il fatto che le statistiche mostrino una diminuzione del numero di arrivi lungo il nostro confine da quando è stato decretato lo stato di allarme dovuto alla pandemia, l’attività di Salvamento Marítimo - un’organizzazione di soccorso e sicurezza marittima spagnola - non si è fermata, e si continuano a salvare vite in mare. Professionisti che hanno visto come le risorse che dovrebbero garantire un minimo di sicurezza nel loro lavoro sono state ridotte, soprattutto dal 2018. 

Quello di Salvamento Marítimo è un caso molto simile a quello del personale sanitario, che applaudiamo ogni giorno alle 20:00 in punto dai nostri balconi.

Nessuno ha messo in dubbio il lavoro encomiabile che gli operatori sanitari hanno fatto e stanno tuttora facendo nonostante le vicissitudini, anzi, sono diventati i nostri eroi. Al contrario, il lavoro dei professionisti del salvataggio marittimo è stato messo in discussione e diffamato in molte occasioni.

I confini non sono mai stati aperti a tutti, e la libera circolazione non è un diritto universale, a prescindere che ci sia o meno uno stato di emergenza. Le persone continueranno a mettere a rischio la propria vita perché nessuno di quelli che dicono di proteggerci vuole rendere visibile e riconoscere la vera origine del problema, e cioè che la vera minaccia alla vita non è un virus e non può essere risolta chiudendo ulteriormente i confini. La vera minaccia è questo sistema di organizzazione sociale ed economica che affligge l’umanità e che continua a privilegiare alcune vite rispetto ad altre. Tutte le vite "valgono" allo stesso modo, secondo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma in pratica alcune vite valgono più di altre.

Ana Rosado, team investigativo di Frontera Sur, area di migrazione APDHA

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