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La Guinea sull’orlo della guerra civile. L’opposizione ha scelto di boicottare le elezioni: in piazza si bruciano i manifesti elettorali

Proteste di piazza, disordini, risposte violentissime da parte della polizia e delle forze armate. In Guinea, i morti, i feriti e le sparizioni si contano con le decine. Nella capitale Conakry e nelle principali città del Paese subsahariano le agitazioni contro il presidente Alpha Condé, in carica dal 2010, sono cominciate alla fine dell’anno scorso e non si sono ancora placate. Il Paese è sull’orlo di una guerra civile che rischia di ripercorrere i tragici binari dello scontro tra diverse culture che troppo spesso hanno insanguinato il continente africano. Tanto il presidente quanto i principali attori del Governo sono di cultura Malinké, così come l’esercito e la polizia, mentre la maggioranza della Guinea è formata da persone di cultura Peuhl. Gli scontri, in altre parole, hanno assunto i contorni di un conflitto interetnico che è già costato la vita a più di 150 oppositori politici, per lo più assassinati durante gli scontri svoltisi a Ratoma, un sobborgo della capitale interamente abitato da Peuhl. Senza contare le persone incarcerate o fatte sparire e le pressoché costanti violazioni dei diritti umani.

Le proteste sono nate dopo le dichiarazione del presidente Alpha Condé, al suo secondo mandato, di modificare la Costituzione del Paese, scritta secondo lui “troppo in fretta”, in modo da permettergli di essere rieletto per la terza volta consecutiva. Una prospettiva che ha fatto infuriare i Peuhl che speravano di poter rovesciare il Governo in carica, proprio come ha fatto la confinante Guinea Bissau che neppure un mese fa è riuscita a mandare a casa il presidente Domingos Simoes Pereira ed ad eleggere il leader dell’opposizione Umaro Sissoco Embal.

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Se nel mio Paese si potesse votare regolarmente, avrebbe già vinto il partito di opposizione che si ispira agli insegnamenti di Boubacar Diallo Telli (politico guineano assertore dell’unità africana torturato ed ucciso nel ’77. ndr) – spiega Diallo Diamant -. Purtroppo il partito al potere sta facendo di tutto per inquinare le elezioni che dovrebbero svolgersi il 16 febbraio prossimo, proprio come ha fatto con quelle del 2015 che hanno rieletto in maniera truffaldina Alpha Condé”. Diallo è un giovane migrante che da tre anni vive a Ferrara. E’ dovuto scappare dalla Guinea proprio a causa il suo impegno politico e sul corpo porta ancora i segni delle ferite infertegli dalla polizia di Conakry. Il suo viaggio verso la vita è stato quello di tanti altri ragazzi dell’Africa sub sahariana. Il confine nigerino sino ad Agadez, tre mesi di attesa, e quindi la traversata del deserto sino alla Libia. Poi sette mesi di inferno nei lager libici sino alla tragica traversata del Mediterraneo dove i tre ragazzi che erano con lui hanno lasciato la vita. Venivano dal suo stesso quartiere di Ratoma.

Nel mio Paese si lotta per costruire una democrazia che sappia andare oltre le culture Peuhl o Malinké. La nostra è una battaglia per la libertà contro l’incoscienza dei politici che pensano solo a difendere i loro interessi e quelli delle multinazionali straniere, in particolare francesi, che li sostengono – spiega Diallo -. In questi giorni, l’opposizione ha deciso di boicottare le elezioni in tutti i modi, anche bruciando i manifesti elettorali e le liste. Abbiamo bisogno dell’attenzione del mondo. Tutti devono sapere cosa sta accadendo nel mio Paese. Devono sapere dei morti ammazzati, delle persone incarcerate e di quelle fatte sparire. Il principale nemico di noi guineani, oltre che il nostro Governo, è l’indifferenza dell’Europa. Indifferenza che fa da contraltare ai grandi interessi che proprio l’Europa ha nel mio Paese”.

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.