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La Nuova Zelanda progetta di istituire visti per rifugiati vittime dei cambiamenti climatici

Charles Anderson, The Guardian - 31 ottobre 2017

- Link all’articolo originale (ENG)

Il ministro competente sostiene che questa specifica categoria di visti umanitari potrebbe essere introdotta in via sperimentale per le persone costrette a migrare a causa dell’innalzamento del livello del mare.

Traduzione a cura di: Sheila Fidelio, Marinella Azzetti

Il nuovo governo della Nuova Zelanda sta valutando l’ipotesi di creare un tipo di visto per aiutare il trasferimento delle popolazioni nell’area del Pacifico spinte alla migrazione dalle conseguenze dei cambiamenti climatici.

Questa nuova iniziativa realizzerebbe ufficialmente il programma pre-elettorale del partito dei Verdi, che aveva promesso 100 permessi di accoglienza per le vittime dei cambiamenti climatici.

Al leader dei Verdi James Shaw, membro del nuovo governo di coalizione guidato dai Laburisti, è stato affidato proprio il ministero che si occupa dei cambiamenti climatici e dei relativi impatti.

Martedì scorso ha dichiarato a Radio New Zealand che potrebbe essere istituita “una categoria di visto umanitario sperimentale” riservata alle popolazioni residenti nell’area del Pacifico costrette a migrare a causa dell’innalzamento del mare prodotto dai mutamenti climatici.

“È un progetto che vogliamo realizzare in intesa con le Isole del Pacifico” sostiene Shaw.

Prima delle elezioni, i Verdi avevano anche proposto di aumentare la quota annua complessiva di rifugiati accolti in Nuova Zelanda da 750 a 4000 in sei anni.

L’annuncio di Shaw arriva dopo che il tribunale neozelandese per l’immigrazione e la protezione internazionale aveva respinto due famiglie provenienti da Tuvalu, che avevano presentato domanda di asilo come rifugiati, motivandola con l’impatto dei cambiamenti climatici.

Le famiglie sostenevano che la loro richiesta era fondata sulla crescita del livello del mare, l’impossibilità di accedere all’acqua potabile e l’alto livello di disoccupazione a Tuvalu.

Il tribunale, applicando la Convenzione del 1951 sui diritti dei rifugiati, ha ritenuto che non fossero a rischio di persecuzione per motivi razziali, religiosi, etnici o di appartenenza a gruppi politici o religiosi.

Il Professor Alberto Costi, esperto di diritto ambientale internazionale della Victoria University, ha dichiarato al Guardian che la Convenzione, com’è attualmente formulata, non può essere applicata ai cosiddetti rifugiati ambientali. “Le casistiche previste sono molto precise e si applicano di fatto solo ai perseguitati. Le persone che arrivano qui con la speranza di ricevere asilo per motivazioni legate all’ambiente sono destinate a essere respinte nei loro paesi d’origine”.

Nel 2014, ha fatto notizia il caso di Ioane Teitiota, un uomo proveniente dalle isole Kiribati, che aveva presentato richiesta in Nuova Zelanda per diventare il primo rifugiato al mondo per motivi climatici, “sulla base delle alterazioni del suo ambiente di vita a Kiribati causate dall’innalzamento di livello del mare legato ai cambiamenti climatici”.

La Corte Suprema neozelandese ha respinto la richiesta e Teitiota è stato rimpatriato l’anno seguente.

Alberto Costi riconosce che la proposta del ministro Shaw permetterebbe di colmare questa lacuna nella Convenzione sui rifugiati, ma sostiene che il cuore del problema sta nel determinare legalmente se un migrante ambientale sia o no in grado di continuare a vivere nel suo paese.

“Sono favorevole a questa proposta, ma il progetto deve essere profondamente discusso e approfondito in termini di diritto. Servono delle linee guida molto chiare.”

Secondo Costi, sarebbe diverso applicare il criterio a persone provenienti, per esempio, dall’atollo di Tarawa, nelle isole Kiribati, dove le condizioni peggiorano in modo evidente di anno in anno, rispetto a chi vive in paesi dove gli effetti sono solo stagionali.

“È un’idea da approfondire e mi auguro davvero che si arrivi a fare chiarezza.”

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[ 14 novembre 2017 ]
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