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La banalità del male, oggi

Il rifinanziamento della Guardia costiera libica è solo l’ultimo dei tanti “teatrini” messi in piedi dai Governi di questi ultimi anni

Photo credit: Sea-Watch

Se non fosse per il tragico carico di sofferenze, di disumanità, di inciviltà e di ignoranza della Storia, dei tanti Trattati Internazionali e perfino della nostra Costituzione, il recente rifinanziamento della Guardia costiera libica si potrebbe definire come l’ultimo, in ordine di tempo, dei tanti “teatrini” messi in piedi da tutti i Governi di questi ultimi anni.

Il rifinanziamento prevede un assetto invariato sulle missioni in Libia e un aumento delle missioni navali Irini, per assicurare il controllo del traffico di armi da e per la Libia e Mare sicuro, che vede la Guardia Costiera impegnata a garantire la sicurezza dei cittadini e dei turisti che scelgono le coste e i mari italiani per le proprie vacanze per le quali saranno investiti 30 milioni in più. Nessuna novità, invece, è prevista per la ricerca e il soccorso. Anzi il ministro Guerini ha precisato che si interverrà solo se qualche assetto di Mare sicuro si troverà proprio vicino a un natante in distress, altrimenti la missione non rientra nelle attività di soccorso in mare.

L’Oim scrive che quest’anno abbiamo già superato gli 800 morti in mare, ma questo non sembra preoccupare molto i nostri parlamentari, nonostante l’Alto Commissario Onu, Filippo Grandi, abbia esplicitamente dichiarato che la Libia è un posto in cui i diritti umani non sono rispettati e quindi le persone non possono essere rimandate indietro. Ma questa Italia preferisce rifiutarsi di vedere. Ha deciso di voltarsi dall’altra parte, sposando di fatto il negazionismo di chi sostiene che quello dei profughi in Libia sarebbe un “falso problema”, una “montatura”. Un negazionismo becero, inumano. Basterebbe ascoltare qualcuna delle tantissime testimonianze dirette dei profughi per rendersi conto di quanto sia colpevole questo agire. Il negazionismo in Italia è reato dal 2016, e sono previste pene da due a sei anni di reclusione “… se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra”.

Non so dire se negare quanto sta avvenendo in Libia sia penalmente rilevante, ma certo è che la Guardia Costiera libica, finanziata dall’Italia che la fornisce anche di motovedette – come racconta la stragrande maggioranza dei migranti salvati – coincide spesso con i trafficanti: una galassia di milizie prestate al mare ma soprattutto al miglior offerente, espressioni di potentati locali in lotta tra di loro per il controllo di traffici illegali, quello dei migranti in primis. In un Paese normale questi fatti dovrebbero creare indignazione, provocare almeno un cambiamento di rotta del Governo nella gestione del fenomeno migranti: di fatto, noi finanziamo e forniamo motovedette agli stessi che gestiscono il traffico di esseri umani che, a parole, si dice di voler contrastare.

Questo in un Paese normale. Invece sembra che oggi l’unica preoccupazione degli italiani sia il green pass. Eppure, non si può dire che manchi l’informazione, né sui giornali, né alla televisione, né sul web: moniti importanti su questa continua campagna di odio e di paura arrivano in continuazione da personaggi del mondo della cultura; da autorevoli giornalisti; da Papa Francesco, con i suoi richiami all’accoglienza; dalla politica: ricordo la senatrice Liliana Segre con il suo appello a resistere alla “tentazione dell’indifferenza verso le ingiustizie e le sofferenze che ci circondano”. Ma la risposta che arriva, soprattutto se ci soffermiamo sui social, è una enorme dose di aggressività espressa, vomitata; siamo di fronte all’anestesia, o forse alla morte delle coscienze.

L’aumento della povertà nel mondo occidentale è stato determinato dalla crisi finanziaria e successivamente economica iniziata negli USA nel 2007, e quindi trova le sue radici nel “… capitalismo sfrenato degli ultimi decenni che ha ulteriormente dilatato il fossato che separa i più ricchi dai più poveri, generando nuove precarietà e schiavitù” (Papa Francesco).
Purtroppo, in un’Italia ancora impregnata dall’illusione creata dal ventennio berlusconiano, con il suo modo di fare politica e della sottostante cultura della ricchezza autolegittimatasi che investe ancora oggi larghi strati della nazione, compresa buona parte della classe politica di centro-sinistra, è ancora evidente la subalternità ideologica al pensiero dominante. La sinistra, un tempo paladina delle classi più deboli e svantaggiate, dell’equità sociale, l’uguaglianza, l’emancipazione, la solidarietà, oggi appare sempre più succube delle politiche liberiste e della finanza internazionale, pavida e timorosa anche solo nel rivendicare, ad esempio, nuove aliquote fiscali in grado di restituire alla tassazione quel criterio di progressività per riconquistare, almeno in parte, quell’equità sociale che è andata che è andata via via perdendosi e ridurre il drastico allargamento della forbice tra top e down della scala sociale.

Allo stesso modo, nel timore di perdere consensi, si è passati dall’operazione Mare Nostrum per il salvataggio in mare dei migranti (voluta dal premier Letta nel 2013), allo “spiaggiamento” dell’approvazione dei respingimenti in mare, esternalizzati alla cosiddetta Guardia Costiera libica. Invece le destre, abilmente, hanno saputo far leva sui sentimenti piccolo-borghesi e personali di quei lavoratori che non sapevano scegliere da che parte stare, portando avanti l’idea di una sinistra come distruttrice della civiltà e della morale nazionale. Ormai lontani dai loro “naturali” punti di riferimento (partiti, sindacati, associazionismo sociale), i lavoratori oggi sono divisi in mille rivoli e spesso si guardano tra loro con ostilità: l’ultimo dei funzionari amministrativi si ritiene migliore dell’operaio e l’operaio considera l’ultimo funzionario come nemico privilegiato, al pari del dirigente amministrativo.

Un po’ come avviene nell’arcinota storiella dei “capponi di Renzo” ne “I Promessi Sposi” che Manzoni, con la sua consueta ironia, così descrive: “Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.” Quella dei capponi di Renzo è una chiara metafora: spesso quando ci troviamo in difficoltà invece di essere solidali e di fare fronte comune con coloro che si trovano nella nostra stessa situazione, tendiamo a “beccarci” tra di noi, accusandoci a vicenda degli insuccessi, cercando di sfuggire alle nostre responsabilità, cercando di mettere in evidenza i nostri pregi in contrapposizione con i difetti altrui, cercando di “chiamarci fuori” anche se, come succede ai capponi, siamo “dentro” in pieno.

Ma per far fronte a questo malcontento diffuso, se non si è in grado di trovare risposte efficaci alla crisi, di far fronte all’obsolescenza e alle storture del nostro apparato produttivo e dell’intero sistema economico, di contrastare il cancro della corruzione, sempre più diffusa tra politici e amministratori e di quello collaterale della diffusione delle criminalità organizzate, occorre dare in pasto al proprio elettorato un capro espiatorio, facilmente riconoscibile: i migranti, meglio se africani, con un bel corollario di luoghi comuni appositamente preconfezionati: “ci portano via il lavoro”, “portano malattie”, “sono probabili terroristi”, “violentano le nostre donne”, “sono tutti spacciatori”, ecc…; poi, per essere certi dell’effetto, si sono aggiunti i rom: “Bisogna essere infami – scrive saggiamente Moni Ovadiaper prendersela con chi non ha una nazione che lo difende e non può mettere in campo forze economiche e finanziarie per arginare le politiche persecutorie pensate e concepite come perfetta arma di distrazione di massa”; gli omosessuali “minano l’integrità della famiglia naturale”;… (mancano solo gli ebrei, per il resto è un deja vu).

Come già avvenuto nel fascismo (ma lì c’era addirittura un Ministero per la propaganda), i leader delle destre – e in questo dobbiamo dargliene atto – hanno saputo fare presa sulle masse politicamente “neutre”, e perciò più facilmente influenzabili. Si sono dimostrati grandi conoscitori degli impulsi e delle passioni delle folle; con i loro tweet riescono bene a parlare alle loro pance, più che alle loro teste; sanno mantenere sempre viva l’importanza dell’agitazione e della propaganda come strumenti di mobilitazione, cosa che la sinistra pare aver dimenticato.

A questo proposito è interessante l’analisi della filosofa Hanna Arendt (1906 – 1975), analisi che vale un po’ per tutti i totalitarismi: “… la maggior parte delle persone non si schiera politicamente, e per questo spesso viene considerata dai partiti stessi come stupida o apatica. E’ proprio a questa massa che danno importanza i regimi, non per fare crescere in essa una coscienza politica e sociale, ma per avere un consenso numerico maggiore degli altri partiti”. E’ a questa massa che Salvini e Meloni fanno dare libero sfogo agli istinti più primordiali, alle paure ataviche, ai sentimenti di profonda insicurezza che trovano nel razzismo la loro massima espressione.

Già oggi assistiamo ad episodi sempre più frequenti di intolleranza (minacce, discriminazione, violenze) verso gruppi di persone identificabili attraverso la loro cultura, religione, etnia, sesso, sessualità, aspetto fisico o altre caratteristiche. E sappiamo che la cultura e l’educazione al non razzismo sono l’unica vera arma per combattere una piaga che, indubbiamente, non ci fa onore. Sappiamo anche dove, in tempi non così remoti, ci ha condotti il razzismo (penso allo sterminio degli ebrei, ma anche al genocidio in Ruanda nella guerra tra hutu e tutsi, oppure alla guerra nei Balcani o alla questione palestinese).

Ma anche oggi, proprio adesso, mentre scrivo queste righe, sappiamo che è in corso una tragedia che va ben al di là degli annegamenti in mare: lo sterminio dei migranti non avviene solo per affogamento, ma anche se cadono dai camion stracarichi mentre cercano di raggiungere la Libia e non vengono raccolti, ma lasciati morire lì, in mezzo al deserto; vengono uccisi per uno sguardo di troppo da ragazzini di dodici anni che si aggirano per i campi di concentramento libici armati di pistola; uccisi ogni giorno anche dalle guardie di frontiera dei vari Paesi; travolti, spesso intenzionalmente, da camion, come avviene frequentemente nei pressi di Calais; oppure a causa del rifiuto di prestazioni mediche. E poi ci sono i molti, moltissimi che si tolgono la vita (si parla di 450 persone, fra le quali non pochi minorenni, che hanno scelto di togliersi la vita, dopo aver coraggiosamente affrontato viaggi costellati da ogni sorta di pericoli, sofferenze e orrori, di cui Moussa Balde è solo l’ultimo caso).

Tutto questo avviene nella totale indifferenza, se non addirittura con compiacimento da parte delle persone che scrivono sui social. Per comprendere questo fenomeno, ancora una volta, ci viene in aiuto il pensiero di Hanna Arendt, la quale, assistendo al processo del famigerato criminale nazista Otto Adolf Eichmann, ebbe a scrivere: “mi sono sentita scioccata perché tutto questo contraddice le nostre teorie di male. La perplessità davanti ad un fenomeno che ha contraddetto le teorie note di male e la relazione chiara tra il problema di male e la facoltà di pensare, era quello che la Arendt ha espresso con la frase “la banalità del male“. Eichmann aveva coordinato l’organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i vari campi di concentramento e di sterminio. Nel maggio 1960 agenti israeliani lo catturarono in Argentina, dove si era rifugiato, e lo portarono a Gerusalemme. Processato da un tribunale israeliano, nella sua difesa tenne a precisare che, in fondo, si era occupato “soltanto di trasporti“. Fu condannato a morte mediante impiccagione e la sentenza fu eseguita il 31 maggio del 1962.

Il resoconto di quel processo e le considerazioni che lo concludevano furono raccolte nel suo libro “La banalità del male (Eichmann a Gerusalemme)”. In questo libro la Arendt analizza i modi in cui la facoltà di pensare può evitare le azioni malvagie. La banalità del male ha accentuato la relazione fra la facoltà di pensare, la capacità di distinguere tra giusto e sbagliato, la facoltà di giudizio, e le loro implicazioni morali. La prima reazione della Arendt alla vista di Eichmann fu più che sinistra. Lei sostenne che “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, ne demoniaco ne mostruoso“. La percezione di Eichmann, da parte dell’autrice, sembra essere quella di un uomo comune, caratterizzato dalla sua superficialità e mediocrità che la lasciarono stupita nel considerare il male commesso da lui, che consisteva nell’organizzare la deportazione di milioni di ebrei nei campi di concentramento. Ciò che la Arendt scorgeva in Eichmann non era neppure stupidità ma qualcosa di completamente negativo: l’incapacità di pensare.
E questo è proprio quanto stiamo assistendo oggi.

La cosa più terribile è quando individui piatti e incapaci si accompagnano ad esaltati.
(Johann Wolfgang Goethe)
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– Segnaliamo il presidio di mercoledì 27 luglio ad ore 13 in piazza della Rotonda a Roma
“Non ci arrendiamo – STOP ai finanziamenti della guardia costiera e dei lager libici” [ vedi evento FB – clicca qui ]
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* Gabriele Sala, è un infermiere da pochi mesi in pensione, che collabora con l’associazione Mamre di Borgomanero (NO) che, sul territorio, si occupa di donne vittime di violenza e dei loro bambini, ma anche di persone migranti con missioni in Libano nei campi profughi siriani e in Bosnia-Erzegovina.
L’associazione collabora con “Linea d’ombra” di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, con l’associazione 20k di Ventimiglia; con don Luigi Chiampo, parroco di Bussoleno, a cui porta aiuti alimentari destinati a sostenere i migranti che cercano di attraversare il confine con la Francia.
Recentemente è stata a Napoli, nei quartieri di Scampia, Sanità e San Giovanni a Teduccio per sostenere le attività di lotta al degrado e alla povertà messe in atto da alcuni sacerdoti coraggiosi e molti volontari impegnati in questa battaglia.
L’associazione pubblica la rivista “IQBAL” distribuita gratuitamente in un numero limitato di copie e scaricabile sul sito.