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La battaglia del Mediterraneo

Maurice Stierl e Sandro Mezzadra, Open Democracy - 12 aprile 2019

Phot credit: Sea-Watch/Moonbird

Probabilmente mai, nel Mediterraneo centrale, gli schieramenti sono stati così chiaramente delineati: la divisione è tra forza e libertà, e marca il campo di battaglia delle migrazioni. Da un lato abbiamo i migranti, coloro che si ostinano a spostarsi, nonostante le condizioni avverse e le violenze subite, e chi è solidale con loro: attivisti che accolgono le loro suppliche dal mare come una sfida collettiva e filantropi anche per caso, come ad esempio i pescatori nordafricani che hanno preso il largo per condurre importantissime operazioni di salvataggio.

Dall’altro lato abbiamo i governi e le istituzioni europee e i loro alleati in Nord Africa, che continuano a consolidare una vera e propria “industria del respingimento” nel mare, un’organizzazione basata sulla violazione dei diritti e della dignità, del diritto marittimo ed internazionale, dei diritti umani e delle convenzioni sui rifugiati.

Solitamente le linee dei conflitti politici sono complesse, sfumate, non proprio lineari. Ciononostante, quando si guarda alla situazione del Mediterraneo centrale, si nota una cancellazione della complessità. Là dove in passato le operazioni militari-umanitarie europee come Mare Nostrum, e poi (anche se certamente con meno intensità) Triton o Eunavfor Med, avevano mescolato tra loro le dimensioni del salvataggio dei migranti e della deterrenza alle partenze, di protezione delle vite umane e protezione dei confini, ora assistiamo ad un dualismo senza precedenti nella rappresentazione della forza e della libertà.

Mentre prima si parlava di “umanizzazione” dei confini, ora notiamo una profonda inumanità e una violenza pura, che l’Europa non può, o non vuole, più nascondere.

Photo credit: Fabian Heinz/sea-eye.org
Photo credit: Fabian Heinz/sea-eye.org

Al largo della costa libica

Quel che sta succedendo al largo delle coste libiche non è altro che una forma di rapimento di massa, non soltanto tollerato, ma organizzato strategicamente e orchestrato dai governi e dalle guardie costiere europee. Quando le navi salpano dalla Libia, i precari passeggeri a bordo sanno di essere in lotta contro il tempo. Devono guadagnare velocemente terreno e mettere una certa distanza tra loro e il Paese devastato dalla guerra, se vogliono avere qualche speranza di fuggire dalla cosiddetta guardia costiera libica, che finanziata, addestrata ed equipaggiata dall’Europa, e in particolar modo dal governo italiano, è solita inseguirli a bordo di imbarcazioni veloci, desiderosa di rispettare la sua parte in accordi molto proficui.

Le autorità libiche partecipano al business del traffico di esseri umani in Libia e beneficiano della cattura dei migranti in mare, un circuito di sfruttamento che include pratiche di detenzione e contrabbando, traffici illegali e rapimenti in mare. Oltre al petrolio, lo sfruttamento di migranti, molti dei quali hanno tentato di attraversare il Mediterraneo più e più volte, costituisce la principale fonte di rendita e profitto in Libia, e alimenta anche le economie di guerra delle fazioni militari antagoniste.

Oltre ai migranti stessi, attualmente soltanto gli attivisti tentano di contrastare il circolo vizioso della cattura e dell’abuso. A volte, riescono ad arrivare in tempo. Quando l’imbarcazione di salvataggio Mare Jonio della ONG Mediterranea individuò a metà marzo una barca con migranti a bordo, dovette scontrarsi con le forze libiche che nel frattempo correvano verso nord a bordo di un motoscafo. 49 individui furono salvati e trasferiti a Lampedusa, dove intonarono “liberté, liberté!”, subito dopo il loro arrivo. La Polizia di frontiera Italiana mise la Mare Jonio sotto sequestro investigativo e il capitano e comandante della missione sotto accusa, mentre gli attivisti dichiaravano: “Noi abbiamo salvato questi migranti per ben due volte, dal naufragio e dal rischio di essere catturati e condotti di nuovo in quei luoghi di tortura e orrore da dove stavano fuggendo”. Circa un mese dopo, la Alan Kurdi di Sea Eye si precipitò a soccorrere un altro gruppo in difficoltà che poco prima aveva contattato gli attivisti di Alarm Phone, un network internazionale che gestisce un numero di emergenza per le persone che si trovano in pericolo in mare. Anche queste 64 vite furono salvate, ma mentre scriviamo sono ancora bloccate in mare, in quanto all’Alan Kurdi è stato vietato di attraccare in porti europei. (La situazione si è sbloccata solo dopo 11 giorni di stallo, ndr).

In altre occasioni, attivisti e umanitari arrivano troppo tardi o non arrivano affatto, soprattutto a causa delle crudeli campagne di criminalizzazione dei governi europei.

A metà gennaio, diverse imbarcazioni che trasportavano migranti sono riuscite ad arrivare relativamente lontano, ma la pressione Italiana sugli alleati libici, esercitata dalle più alte cariche politiche incluso il Primo Ministro, ha fatto sì che le persone in fuga fossero catturate e trascinate violentemente negli orribili centri di detenzione.

Qui i sopravvissuti si sono messi in contatto con attivisti e giornalisti, ma le loro grida di libertà sono state messe a tacere. In maniera piuttosto simile, il 10 aprile, un’imbarcazione proveniente dalla Libia ha contattato gli attivisti di Alarm Phone per amplificare le loro richieste di salvataggio. Il messaggio vocale mandato dall’imbarcazione è stato ascoltato centinaia di volte: “Stiamo morendo, in guerra, in mare, in Tunisia o in Libia.

Alla fine sono stati intercettati e riportati in Libia, dove nell’arco degli ultimi giorni, il conflitto militare tra le due fazioni principali si è inasprito, e le presunte vittime sono già dozzine. Gli attivisti di Alarm Phone denunciano: “Il centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma ci ha confermato che la Guardia Costiera libica ha intercettato l’imbarcazione. Le venti persone sono state ricondotte in una zona di guerra da una milizia sovvenzionata dall’Unione Europea. Tutti sono rimasti a guardare questo inumano e illegale respingimento di persone. Vergognatevi!

Photo credit: Fabian Heinz/sea-eye.org
Photo credit: Fabian Heinz/sea-eye.org

Ciò che accade ogni giorno nel Mar Mediterraneo, proprio di fronte ai nostri occhi, è di certo uno spettacolo vergognoso e cinico, un rifiuto sistematico dei diritti, della dignità e della libertà.

La natura illusoria dei tanto proclamati valori dell’Unione Europa è nota ormai a tutti. Le linee tra forza e libertà in questa battaglia del Mediterraneo sono tratteggiate in maniera limpida come mai prima. E l’unica domanda che rimane da porci è: da quale parte ci schieriamo?

Questa non è una domanda che riguarda soltanto i migranti e i loro sostenitori. È una domanda che riguarda fondamentalmente il futuro prossimo della società in cui vogliamo vivere e che vogliamo costruire. Le battaglie combattute nel Mar Mediterraneo mostrano un’Europa dai confini violenti e lanciano un appello a tutti noi, per lavorare collettivamente verso un’Europa diversa.