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“La città e le ombre. Crimini, criminali, cittadini”

Intervista a Emilio Quadrelli

Autori – Alessandro Dal Lago e Emilio Quadrelli
La città e le ombre
Crimini, criminali, cittadini

Feltrinelli, pagine 404, Euro 20

Questo fondamentale volume intraprende un lungo viaggio etnografico nei sotterranei di una città portuale dell’Italia settentrionale. Rincorrendo le narrazioni di ladri, usurai, prostitute, spacciatori, “serve” immigrate e gestori di bische clandestine attraverso i vicoli, i quartieri, i bar e le “case chiuse” di Genova, l’indagine si propone di gettare luce sulla vasta “zona grigia” che si distende fra due città: da una parte quella visibile – ossessionata dal degrado, in perenne mobilitazione contro l'”invasione” extracomunitaria, ansiosa di organizzarsi in comitati spontanei – e dall’altra quella nascosta – popolata di personaggi che vivono di espedienti, lottano per la sopravvivenza, il più delle volte in condizioni di marginalità e povertà estreme: “la città legittima pronuncia parole di paura o sospetto verso quella illegittima, ma ricorre a quest’ultima per un gran numero di servizi e di prestazioni: dal lavoro domestico a quello in nero nei cantieri, dalla domanda dei vari tipi di prostituzione a quella di stupefacenti, gioco d’azzardo o credito illegale”. (Alessandro De Giorgi, Il Manifesto, 21 settembre 2003)

Nel capitolo “Servi e padroni” trova spazio una ricerca su diverse forme di schiavitù del lavoro migrante, dove l’assoggettamento “non è necessariamente l’effetto della malvagità dei singoli, bensì il risultato finale di una condizione di esclusione a cui concorrono parimenti interesse economici, definizioni giuridiche e pratiche istituzionali” (p. 175)

Domanda: Nella realtà che avete fotografato la produzione della devianza entra in rapporto con la migrazione. Come si sviluppa la relazione tra irregolarità, migrazione e illegalità?

Risposta: Io sono convinto – e nel libro tendo a dimostrarlo – che la situzione dello straniero non è altro che una avanguardia estrema di una condizione che può estendersi in ampia quota anche alla popolazione locale. Esiste senz’altro una divisione su quella che chiamiamo “linea del colore”, ma sappiamo che questa non è definita in termini biologici. Non ci troviamo in un mondo che separa le persone in chiave biologica, ma in un mondo in cui chi è bianco oggi può diventare nero domani.
Il rapporto tra irregolarità e clandestinità o tra migrante e condizione complessiva di irregolarità mi sembra in qualche modo scontato. Ciò che mi sembra emergere è che per parlare delle condizioni dell’illegalità non dobbiamo partire dalle pratiche illegali, ma dalla condizione lavorativa. Dobbiamo dunque considerare la giornata lavorativa come è realmente: estremamente complessa ed articolata, e dove quindi le opportunità di reddito sono legali, semi-legali e illegali. Esistono quote di popolazione, in prevalenza straniere, che attraversano questa linea non rigida. Non esiste nessuna barriera rigida tra lavoro e irregolarità. La ricerca empirica dimostra esattamente il contrario. Inoltre non si può assolutamente parlare di professionalizzazione o specializzazione dell’attività illegale.

D: Quali differenze si riscontrano tra lo sfruttamento della forza lavoro migrante dell’epoca moderna e lo stesso fenomeno nelle migrazioni del 900, a prima vista contigue come caratteristiche?

R: Dal punto di vista delle ricadute sulle singole esistenze le differenze sono pressochè inesistenti, la diferenza sostanziale riguarda invece due aspetti.
Innanzitutto la condizione dei migranti nel 900 o nel secondo dopoguerra era indirizzata al lavoro operaio di fabbrica, ciò comportava l’inserimento in un mondo che ha visto fasi storiche di rivolte e insurrezioni, l’autunno caldo degli anni 60 nasce sostanzialmente sulla figura dell’operaio di linea immigrato.

D: Qual è il ruolo dell’attuale legge sull’immigrazione nello scenario che avete descritto?

R: La legge Bossi-Fini centra perfettamente la condizione del migrante nell’epoca dell’economia globallizata: o il migrante è incatenato al lavoro e dunque produce plusvalore oppure non è. In termini marxiani potremmo dire che il migrante si colloca come puro capitale variabile, nel momento in cui cessa di essere tale diventa espellibile.
Infatti, se guardiamo la realtà, l’immigrato è “protetto” da un posto di lavoro dove protrae la sua giornata lavorativa in maniera indeterminata. Lavorare 13-14 ore nello stesso posto vuole anche dire sottrarsi alla caccia, poiché il controllo contro la clandestinità avviene sulla strada e non nei luoghi di lavoro. Paradossalmente col potrarsi della giornata di lavoro si ha una estensione della sicurezza contro il rischio dell’espulsione. Questo aspetto non è senz’altro scritto nella legge, ma di fatto questi sono i meccanismi che la nuova legge favorisce.