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La giornata delle deportazioni

Resoconto della Rete Antirazzista Siciliana

Siamo in cinque della rete antirazzista siciliana
insieme a Lillo Miccichè, deputato regionale dei
Verdi.
Arriviamo alle nove del mattino a Lampedusa. Il
panorama è surreale: l’isola è militarizzata.
Ovunque jeep militari, polizia, carabinieri. Andiamo
all’aeroporto che è adiacente al Centro di detenzione
per migranti, ma prima passiamo da un bar, dove la
gente parla ancora del concerto di Claudio Baglioni,
come se nulla fosse.
Dalle vetrate dell’aeroporto si vede un pezzo del
cortile del campo dove sono trattenuti i migranti.
Il sole è a picco, fa un caldo estivo. Li vediamo lì
fuori nel cortile (probabilmente perché i capannoni
del campo straripano), ammassati sotto l’unico filo
d’ombra disponibile, attaccati ai muri.
Ci guardiamo intorno e non c’è nessuno, la RAI è
ripartita con la stessa nave con cui noi siamo
arrivati, e di parlamentari, ovviamente, neanche a
parlarne.
Alle 12 e 20 atterra un cargo militare, solo il primo
dei quattro arrivati nell’arco della giornata.
Alessandra e Ilaria, due di noi, riescono a
raggiungere una terrazza da cui si può vedere tutto il
cortile del campo.

Ci sono tre gruppi di uomini, per ognuno circa 50 persone. Quelli del gruppo più vicino al cancello vengono fatti mettere in fila contro il muro. Probabilmente stanno iniziando ad ammanettarli.
Lillo Miccichè aveva chiesto di entrare al campo già
ieri e questa mattina. Gli hanno accordato il permesso
solo per oggi pomeriggio alle 5. Facile capire perché.
Infatti iniziano ad arrivare anche gli altri aerei:
tutti C130 dell’aeronautica militare. Alle 12:45
iniziano gli imbarchi.
Dal centro si viene caricati direttamente sull’aereo,
c’è una distanza di soli 40 metri. Ma il trasporto
degli uomini dal cancello del campo all’aereo ha tutte
le modalità di una deportazione. In fila per due
scortati da uomini in borghese con guanti e
mascherine, da donne sorridenti vestite di azzuro
(operatrici della Misericordia?), carabinieri e
soldati in tuta mimetica, in fila per due.

I polsi legati da corde di plastica, trascinati quasi di corsa a gruppi di venti. Noi siamo cinque. Solo cinque.
Dove sono i parlamentari? Dove sono coloro i quali avrebbero il dovere di opporsi a tutto questo?
Lillo Miccichè inizia a urlare. Grida che questo è un
crimine, che si stanno violando tutte le leggi
nazionali ed internazionali, cerca di forzare il
cordone dei carabinieri per arrivare sulla pista.
Ovviamente viene spintonato e buttato a terra. Urliamo
anche noi: vergogna! C’è il nostro striscione: No ai
lager, No alle deportazioni
.
Ilaria parla arabo, e scrive su un cartello Hurria, libertà in arabo.
I carabinieri le intimano di metterlo via. Non si può
comunicare con i deportati, e, addirittura, scomodano
l’interprete arabo della misericordia per accertarsi
che sul cartello non ci siano scritti messaggi
sovversivi o insulti. Le nostre voci sono coperte dal
rombo dei motori degli aerei, i deportati non possono
sentirci anche se ci vedono attraverso i vetri.
Niente. Non possiamo fare niente. Ne hanno portati via
circa 400, più o meno 100 per aereo. Nessuno dice per
dove. Alle 15 sono tutti partiti.

Il centro ora è quasi tornato alla normalità: “solo” 200 “ospiti”.
Andiamo via anche noi, cerchiamo di riprendere fiato,
di trovare un modo per sopportare ciò che abbiamo
visto. Dobbiamo attendere le 17, quando finalmente
Miccichè potrà accedere al centro.
A un bar incontriamo due poliziotti che si fermano a
parlare con noi. Ci dicono testualmente che ne hanno
“stivati” da 65 a 70 per cargo, ma soprattutto ci
dicono che sono stanchi. Sono stremati perché nel
pomeriggio di ieri uno degli “ospiti” del centro ha
tentato di impiccarsi e loro hanno persino dovuto
salvargli la vita. Non capiscono il perché di questo
gesto, loro li trattano così bene… gli danno persino
l’acqua e le sigarette.
Quando chiediamo loro perché li ammanettano per fare
40 metri, ci rispondono che basta guardarli in faccia
questi clandestini per capire che sono pericolosi e
non hanno rispetto di niente…
Quante cose le nostre forze dell’ordine capiscono dai
visi di questi migranti: da dove vengono, se sono o
meno dei rifugiati, se sono buoni o se sono
delinquenti, se sono palestinesi, iracheni o libici.
Caspita che bravi… tutto dai tratti somatici.
In base a questo, solo in base a questo sono avvenute
le deportazioni di questi giorni, nell’indifferenza di
un paese intero, nella contentezza degli abitanti di
quest’isola in cui persino i bambini ci dicono che i
clandestini devono annegare nelle fogne.