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La “giungla” dei rifugiati nascosti tra i monti della Macedonia

Joan Mas Autonell, Desalambre (El Pais) - 13 aprile 2017

Photo credit: Joan Mas Autonell (campo di Tabanovce al confine tra Macedonia e Serbia)

Lojane (Macedonia), 13/04/2017

Non molto distante dal villaggio macedone di Lojane, dopo aver percorso un sentiero ripido e stretto tra alberi, pietre e un torrente, c’è un edificio abbandonato che conserva appena le sue quattro pareti di mattoni grigi e un tetto. Sul posto ci sono segni di vita umana: i muri della struttura sono pieni di scritte in arabo e, nel centro, c’è un solco annerito dalla cenere con resti di legno carbonizzato. È la traccia dei rifugiati che passano da qui per continuare il proprio cammino verso il Nord Europa, che va facendosi sempre più difficile.

Come dicono gli abitanti del posto, la gente che dorme quasi all’aperto tra le montagne di Lojane vive nella “Giungla”. “Durante l’inverno, nell’edificio si è arrivati a contare un centinaio di rifugiati che accendevano fuochi e dormivano assieme per ripararsi dal freddo”, spiegano i volontari di Legis, un’organizzazione umanitaria con sede a Skopje che lavora sul campo svolgendo attività di supporto ai rifugiati. “Sicuramente più tardi qualcuno tornerà qui per passare la notte”, segnalano gli attivisti locali.

La rotta dei Balcani è ufficialmente chiusa, ma il flusso continua a percorrerla in clandestinità. Dall’approvazione dell’accordo UE-Turchia nel marzo 2016, la Repubblica di Macedonia si è trasformata in un vero e proprio corridoio per il transito irregolare dei rifugiati che non sono riusciti a giungere a destinazione prima. Secondo i dati delle organizzazioni umanitarie presenti in loco, ogni mese almeno 1.000 persone attraversano in clandestinità il Paese nella rotta verso il Nord Europa.

Per loro, la Macedonia è solo un ostacolo da superare. Durante gli ultimi anni, i monti che la collegano alla Serbia e al Kosovo si sono trasformati nei luoghi più utilizzati dai migranti che cercano di attraversare il Paese in maniera irregolare.

Secondo le stime di organizzazioni come Legis, attualmente circa 700 persone si nascondono tra le foreste di Lojane in attesa di passare la frontiera attraverso i monti. “Per dormire hanno appena quel tetto, e trovano riparo in posti dalle condizioni miserevoli”, commentano due giovani volontari che distribuiscono ai rifugiati cibo, vestiti e beni di prima necessità.

Crocevia tra trafficanti e migranti

Lojane è un piccolo villaggio, incastonato in una vallata che funge da punto di incontro tra i rifugiati e le reti di traffico di persone che li conducono in Serbia attraverso sentieri sperduti tra i monti.

Cala il buio e in lontananza si sente il canto che accompagna la preghiera dalla Moschea della cittadina. La maggior parte degli abitanti del nord della Macedonia fanno parte della minoranza albanese del Paese, di religione musulmana.

All’imbrunire, molti rifugiati scendono nel villaggio per approvvigionarsi di cibo, cercando di non attirare troppo l’attenzione. Alla stessa ora, i trafficanti di esseri umani si aggirano per le strade del posto alla ricerca di nuovi clienti.

Per attraversare la frontiera la rete di trafficanti chiede circa mille euro a persona. Yashar non si fida di loro. Proveniente dall’Iran, dorme nella “Giungla” nell’attesa che arrivi il momento giusto per passare in Serbia assieme a due compagni che ha conosciuto lungo il cammino. È già riuscito ad arrivare a Belgrado, dove è rimasto quasi un mese, ma la polizia lo ha arrestato e respinto in Macedonia.

I due compagni di Yashar sono originari dell’Afghanistan. Non sono legati da vincoli familiari, ma il solo fatto di proseguire assieme li aiuta ad affrontare meglio le difficoltà del viaggio. Ali Reza ha 17 anni e ha lasciato il suo paese natale senza l’aiuto di nessun adulto, ha dovuto crescere a tappe forzate nel corso del suo viaggio. Dopo aver attraversato vari paesi, il giovane afghano nei prossimi giorni cercherà di superare l’ennesima frontiera.

A Lojane, l’organizzazione umanitaria Legis ha un piccolo ufficio nel quale fornisce giacche e scarponi da montagna ai tre rifugiati. Dopo aver mangiato una zuppa calda, i giovani fanno ritorno sui monti, con la speranza di proseguire nel proprio cammino. A qualunque costo.

Nella “Giungla” i rifugiati trovano riparo negli anfratti più inospitali. In assenza di un altro luogo in cui poter restare, Salma dorme con i suoi genitori e il suo bambino in una miniera abbandonata. Pochi giorni fa questa donna, proveniente dall’Afghanistan, ha cercato di passare la frontiera assieme alla sua famiglia, ma i corpi di sicurezza serbi li hanno respinti in Macedonia appena dopo l’ingresso nel Paese.

Salma fa scorta di saponette e prodotti per l’igiene personale nell’ufficio di Lojane. “La polizia ha aggredito mio padre e ha lasciato esanime mia madre, che essendo diabetica è svenuta per un calo di zuccheri”, spiega Salma. La donna, che ha con sé il suo piccolo, spiega che si è vista costretta a far ritorno alla miniera, un posto davvero insalubre. Lì suo figlio, a causa delle precarie condizioni igieniche, ha contratto una grave infezione all’orecchio.

Nel corso del 2016 i corpi di sicurezza macedoni hanno portato a termine più di 35.000 respingimenti verso il territorio greco. “Con le espulsioni dei rifugiati, i Paesi dei Balcani giocano a ping-pong”, denuncia Driton Mialigi, membro di Legis. “La gente mette in pericolo la propria vita per attraversare il Paese senza esser vista, non ha alcun tipo di sicurezza. Lungo la rotta può accadere di tutto”.