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La morte di una bimba e di sua madre nel naufragio dei molti

Helena Maleno, Desalambre (El Pais) - 12 aprile 2017

Photo credit: Pedro Mata (Fotomovimiento) - Manifestazione a Ceuta, 4 febbraio 2017

Helena Maleno – Tangeri, 12/04/2017

Ieri c’è stato un naufragio nelle acque spagnole. Uno dei tanti.

In questo ha perso la vita una bimba che viaggiava con sua madre.

La piccola aveva la stessa età di mia figlia.

Un’onda improvvisa ha ribaltato l’imbarcazione mentre si stava avvicinando all’Isola di Alborán, trascinandola a fondo.

I militari spagnoli hanno recuperato trenta persone, e i sopravvissuti hanno riferito della scomparsa di un uomo tra le acque del mare. Hanno recuperato anche il corpo di questa bambina, assieme a quello di una donna poi morta a bordo dell’elicottero che la trasportava a terra.

Dai primi riscontri è emerso che le due erano madre e figlia. Inizialmente i militari hanno pensato si trattasse di un bambino, non hanno notato sulla sua salma i primi segnali della pubertà, di quella fase di passaggio che il suo corpo stava vivendo prima che le frontiere le strappassero la vita.

Ho passato tutta la notte senza prender sonno, delineando nella mia mente gli ultimi minuti di vita delle due. Ho immaginato come la madre abbia provato a salvare la vita alla sua bambina, come lo avrei fatto io con la mia. Ho immaginato gli ultimi sguardi tra loro due, sapendosi già alla fine del proprio cammino.

Ho pensato a tante mie amiche, che come me hanno figlie di quell’età, e il cuore ha iniziato a battermi sempre più forte.

Dopo ho iniziato a pensare ai sopravvissuti, tra loro due adolescenti che da soli hanno lasciato i propri Paesi d’origine.

Le ore che avrebbero passato sull’isola con accanto il cadavere della bambina, poi le ore sulla nave di Salvamento Maritimo, fino ad arrivare ad Almería. I pianti e il dolore.

Poi l’arrivo dei sopravvissuti sulla terraferma e l’assistenza delle squadre di soccorso umanitario, prima della loro consegna alla polizia per il trasferimento nelle celle del commissariato.

Come avranno dormito stanotte le vittime della tragedia?

Questi pensieri non possono non generare in me rabbia e vergogna.

Dai racconti dei sopravvissuti di altre tragedie ho imparato che è impossibile dimenticare, che resta un marchio orribile nell’anima, che il dolore si accresce con la reclusione nei commissariati e nei centri di detenzione e con l’assenza di un supporto psico-sociale specializzato che aiuti ad affrontare il trauma.

Potremmo mai accettare che i sopravvissuti di un incidente aereo siano costretti a dormire in una cella? Lo accettiamo quindi perché si tratta di neri? Perché sono poveri? Perché?

Perché in un Paese democratico una legge (la Ley de Extranjería) è al di sopra dei diritti fondamentali che riguardano l’essere umano?

Penso a come ieri notte la polizia osservava queste persone, a come avrà dormito il Subdelegado del governo, a come la cittadinanza non abbia avuto alcuna reazione.

Forse tra cinquanta o cento anni la storia vedrà finalmente queste azioni, che fanno ormai parte della quotidianità della nostra frontiera, come crimini di lesa umanità.