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tratto dal sito www.governareper.it

La partecipazione politica degli stranieri. Riflessioni tra Italia ed Europa

di Simona Ardovino

La partecipazione politica degli stranieri è un aspetto centrale delle politiche di inclusione e va acquisendo un peso sempre maggiore nel dibattito giuridico-politico sull’immigrazione, non solo italiano ma anche europeo. In Italia, in particolare, la questione del diritto di voto a livello locale degli stranieri si lega a due aspetti: da un lato l’importanza crescente delle politiche di integrazione nella gestione di flussi migratorisempre più strutturati e consistenti, e dall’altro il ruolo sempre più rilevante delle amministrazioni locali nel farsi carico dell’erogazione di servizi sociali fondamentali, in particolare a seguito della recente riforma del Titolo V della Costituzione ad opera della Legge costituzionale 3/2001. Proprio riguardo a questo secondo aspetto, infatti, occorre chiarire fin da subito che in Italia, come del resto quasi ovunque in Europa, il dibattito sulla partecipazione politica degli stranieri resta per ora confinato esclusivamente al livello locale oltre che, naturalmente, a coloro che risiedono regolarmente sul territorio nazionale da un certo periodo di tempo.

Volendo prendere le mosse proprio dal quadro europeo, la situazione appare piuttosto diversificata. La Convenzione di Strasburgo sulla Partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, promossa dal Consiglio d’Europa ed entrata in vigore nel 1997, mira a garantire a tutti gli stranieri, residenti sul territorio per un periodo continuato di massimo cinque anni, il diritto di voto attivo e passivo a livello locale. In totale, però, solo 7 paesi hanno aderito alla Convenzione, che resta di fatto uno strumento ancora piuttosto debole e dallo scarso effetto trainante.
Vedi Tabella 1

A livello comunitario, poi, non esistono specifici dispositivi normativi sull’estensione del suffragio ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea. Le norme sulla cittadinanza europea, che prevedono che i cittadini residenti in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza possano esercitarvi il diritto di voto per le elezioni locali ed europee (art.19 Tce e art. 39 e 40 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea), si riferiscono infatti, com’è naturale, esclusivamente ai cittadini europei. A testimonianza della crescente attenzione delle istituzioni comunitarie verso lo status dei cittadini non comunitari, tuttavia, si riscontra una nutrita serie di atti che, seppur non giuridicamente vincolanti, hanno una rilevanza non trascurabile. Tra questi, oltre a diversi pareri del Comitato Economico e Sociale, spiccano risoluzioni del Parlamento Europeo e comunicazioni della Commissione, tutti favorevoli ad un’estensione del suffragio agli stranieri lungo-residenti di Paesi Terzi. La Commissione affronta la questione dei diritti politici degli immigrati a livello locale anche nella Prima Relazione annuale su migrazione e integrazione del luglio 2004, ribadendone la priorità nel percorso di inclusione dello straniero. In particolare, nella Relazione si sottolineano i progressi compiuti a tal proposito da alcuni stati membri, quali Belgio e Lussemburgo, che hanno recentemente adottato una nuova legislazione. Priorità tuttavia non ribadita, occorre ricordarlo, tra le misure in favore dell’integrazione elencate dal Programma dell’Aja 2005-2010 in materia di immigrazione, approvato dal Consiglio europeo dello scorso novembre 2004. Neanche il Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa infine, opera dei cambiamenti a tal riguardo. L’art. III.267 infatti, pur prevedendo generiche misure tese a incentivare l’integrazione degli immigrati regolarmente soggiornanti sul territorio europeo, esclude «qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli stati membri» (art. III.267, par. 4).
All’interno di un contesto comunitario globalmente debole, in cui la materia della partecipazione politica, e più in generale delle politiche di integrazione degli immigrati stranieri, permane di dominio essenzialmente nazionale, i paesi europei hanno disciplinato o stanno disciplinando l’accesso al diritto di voto per proprio conto. Su 28 stati, considerando i 25 membri dell’Unione Europea più Norvegia, Islanda e Svizzera, salta subito agli occhi come ben 19 paesi prevedano forme di partecipazione degli stranieri alla vita politica a livello locale.

Naturalmente, si tratta di un dato alquanto grezzo, che non dà conto delle diversità evidenti che sussistono tra le legislazioni dei diversi paesi. Tra queste, per citarne solo alcune, il numero di anni di residenza necessari per l’esercizio del suffragio, la definizione del livello cui poter esercitare i propri diritti elettorali, differenziazioni tra diritto di voto attivo e passivo e differenziazioni in ordine alla nazionalità degli immigrati compresi nella legislazione di volta in volta in vigore ecc. Le tabelle 2 e 3 offrono un quadro generale e semplificato dell’accesso ai diritti elettorali per gli Stranieri non comunitari in Europea. Per favorire una lettura chiara e immediata, normalmente non vengono presi in considerazione alcuni dati pur rilevanti, tra i quali in primis le differenze tra diritto di voto attivo e diritto di voto passivo. Inoltre, il livello viene semplificato in categorie quali «Comunale, Provinciale, Regionale» che non sempre rispecchiano esattamente l’ordinamento costituzionale dello Stato relativo.
Vedi Tabella 2

Vedi Tabella 3
L’Italia, a sua volta, presenta a tal riguardo una situazione piuttosto complessa. Innanzitutto il nostro paese ha ratificato la Convenzione di Strasburgo ma con riserva, escludendo l’applicazione dell’intera Parte C, che è quella più innovativa poiché prevede proprio il conferimento agli stranieri dei diritti elettorali a livello locale.

A livello nazionale, già con la formulazione delle legge Turco-Napolitano del 1998 e con l’inserimento dell’art. 38, poi stralciato dal testo finale, si è avviato ad un processo di riflessione politico-costituzionale che dura ancora oggi e di cui sono frutto ben 8 progetti di legge costituzionale, appartenenti a diversi schieramenti politici, attualmente depositati in Parlamento.

Allo stato attuale, non esiste dunque in Italia una legge dello Stato che disciplini l’estensione del suffragio ai cittadini stranieri residenti sul territorio nazionale al di fuori, ovviamente, dell’ipotesi di naturalizzazione. Nella situazione così creatasi e anche in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, sono proliferate le esperienze locali. La prassi è tuttora molto variegata e dagli incerti contorni giuridici.

Di fatto, sono venute a realizzarsi delle discrepanze evidenti e alla fuga in avanti di alcuni comuni fa da contrappunto l’immobilismo di altri. Già solo per quanto concerne le elezioni circoscrizionali il dibattito è intenso e controverso. All’iniziativa adottata da alcuni comuni ha fatto seguito, nel gennaio 2004, una circolare del Ministero dell’Interno che ribadiva l’impossibilità di estendere il suffragio ai cittadini stranieri da parte dei comuni, subito seguita, però, da un parere del Consiglio di Stato di segno opposto (parere n. 8007, luglio 2004). Ad oggi gli stranieri, secondo requisiti diversi da comune a comune, hanno diritto di voto attivo e passivo per i Consigli circoscrizionali (o municipi) in varie città italiane, tra cui ad esempio Venezia, Ancona, Genova e Firenze.

Per quanto riguarda l’elezione dei Consigli comunali la situazione è ancor più difficoltosa. Senza voler entrare, in questa sede, nell’ambito di complesse valutazioni giuridiche circa la possibilità, per i comuni, di regolare autonomamente l’estensione del suffragio agli stranieri (alla luce non solo degli art. 114 e 117, comma 2, lettere a), p) della Costituzione, ma anche di altre disposizioni, quali ad esempio l’art. 9 T.U. in materia di immigrazione) interessa però rilevare come di fatto alcuni di essi, nell’incertezza politico-giuridica, si muovano molto rapidamente verso percorsi autonomi. Tra questi, ad esempio, Genova e Venezia hanno già modificato in tal senso i propri Statuti comunali.

Una vitalità, quella degli enti locali, testimoniata anche dall’adozione da parte di più di 80 città italiane della Carta europea dei diritti dell’Uomo nelle città, approvata a Saint-Denis nel 2000, adottata da più di 150 città di tutta Europa e frutto di una logica che coniuga i diritti di cittadinanza al concetto di residenza, anziché di appartenenza nazionale. La Carta menziona esplicitamente, tra l’altro, l’estensione dei diritti elettorali a tutti i cittadini maggiorenni residenti da due anni nella città (art. 8, comma 2).
Vedi Tabella 4

Occorre infine considerare come la questione del diritto di voto per gli stranieri si leghi, in particolare in Italia ove manca un’apposita disciplina giuridica, alla riforma della cittadinanza. Indirettamente, infatti, la riduzione dei tempi necessari per ottenere la cittadinanza favorisce l’accesso al voto (non più solo locale, in questo caso) da parte degli stranieri, ma apre un’altra serie di problemi, specialmente nel caso in cui legislazioni nazionali non prevedano la doppia cittadinanza e il cittadino straniero si veda dunque costretto ad operare una scelta, non sempre scontata.

Come già sottolineato da autorevoli studiosi, la semplificazione dell’accesso alla cittadinanza, pur desiderabile nel caso di una legislazione particolarmente restrittiva come quella italiana, non può costituire un’alternativa all’estensione del suffragio. Al contrario, si tratta di due opzioni complementari, che non si escludono l’un l’altra.
La questione merita nel suo complesso una riflessione approfondita. Certamente l’esercizio dei diritti elettorali, se declinato in ambito europeo o invece in ambito locale, ha una ratio diversa e diverse implicazioni. In entrambi i casi, comunque, il dibattito sulle dinamiche che possono portare ad un’integrazione degli immigrati nelle società di residenza, e in particolare sull’aspetto più specifico della partecipazione politica, testimonia l’esigenza diffusa di garantire l’inclusione ampia di tutti coloro che vivono sul territorio. In tal senso, la cittadinanza europea, seppure all’interno di un contesto preciso quale quello del processo di integrazione comunitaria, sembra accentuare la tendenza a ricostruire una nozione diversa dei diritti di cittadinanza, e dunque dei diritti elettorali, vincolandoli non più al legame di appartenenza nazionale ma piuttosto all’effettiva partecipazione alla vita della comunità, espressa dal concetto di residenza.

L’Italia non può permettersi di restare indietro, sottovalutando la questione dell’integrazione degli stranieri nella comunità nazionale anche attraverso la loro partecipazione politica. Finora si sono utilizzati strumenti di consultazione più o meno efficaci. Le consulte, i consigli territoriali, i consiglieri aggiunti, recentemente eletti in diverse province e comuni italiani, testimoniano l’attenzione diffusa di realizzare veri percorsi di inclusione per gli stranieri, che mostrano la loro utilità soprattutto a livello locale. Tuttavia questo tipo di meccanismi, dal ruolo esclusivamente consultivo e molto diversi per composizione e funzionamento, non possono rappresentare la sola risposta ad una problematica complessa, che richiede misure globali e di lungo periodo.

La rappresentanza politica è certamente un aspetto delicato delle politiche di immigrazione, intimamente connesso alle prerogative della sovranità statale, ma eluderlo non sembra una soluzione auspicabile, né tanto meno ancora a lungo praticabile.