Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 3 luglio 2004

«La peggiore crisi umanitaria del mondo» di Emanuele Piano

NDJAMENA (Ciad)
Diecimila persone potrebbero morire a luglio nei campi profughi di sudanesi nell’est del Ciad, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. La stagione delle piogge appena cominciata porterà, nel sovraffollamento dei siti di raccolta dei rifugiati predisposti dall’Onu, epidemie di colera, malaria e dissenteria. L’assenza di latrine o di impianti per la purificazione delle acque, la mancanza di presidi medici attrezzati così come la malnutrizione, che in alcuni casi raggiunge punte del 27% tra i bambini tra 0 e 5 anni e che aumenterà quando le strade che portano i rifornimenti alimentari verso i campi saranno inondate dalle piogge e diventeranno impraticabili, completeranno l’opera cominciata in Darfur, nell’ovest del Ciad, dai bombardamenti dell’esercito sudanese e dai raid contro i villaggi delle milizie filo-governative dei Janjaweed oltre un anno fa e già costata la vita, secondo alcune stime, a 50 mila persone. Organizzazioni per i diritti umani come Amnesty international e Human rights watch non esitano a descrivere la crisi del Darfur come un genocidio o una pulizia etnica sistematica ai danni delle popolazioni nere scacciate dai propri villaggi in fiamme. Uccisioni a sangue freddo, stupri e razzie di bestiame sono pratica corrente. Il coordinatore delle emergenze dell’Onu, Jan Egeland, ha descritto la crisi in atto in Sudan come «il peggiore disastro umanitario del mondo» il cui aggravarsi è coadiuvato dalla mancanza di strade ed infrastrutture in Ciad che rendono la logistica dell’assistenza «un incubo».

Il monito dell’Oms arriva al termine di una settimana di mobilitazione della comunità internazionale per mettere fine alla crisi in Darfur che dal febbraio del 2003, quando due gruppi ribelli sudanesi hanno preso le armi contro il governo di Khartoum per rivendicare maggiori risorse per lo sviluppo delle proprie aree marginalizzate, ha portato oltre 200.000 rifugiati, per lo più donne e bambini, a cercare riparo nel confinante Ciad. Tra uno e due milioni di persone sono invece sfollate all’interno del Sudan con pochi aiuti umanitari, il cui arrivo è ostacolato da Khartoum, e senza alcuna protezione governativa. Il segretario generale delle Nazioni unite, Kofi Annan, si è recato ieri nei campi profughi in Ciad, dove ha lamentato l’insufficienza degli sforzi internazionali, ed è andato a Khartoum per parlare con le autorità sudanesi, così come ha fatto il segretario di stato Usa, Colin Powell. Quarantotto studenti dal Darfur sono stati arrestati e caricati dalla polizia sudanese giovedì scorso mentre tentavano di consegnare un messaggio ad Annan.

Powell ha minacciato chiedere al Consiglio di sicurezza di occuparsi della questione – leggi sanzioni, ma non peacekeepers – se il governo del presidente Omar al Bashir non disarmerà i Janjaweed, coloro che cavalcano i cammelli con un fucili in arabo, nella loro opera di barbarie e di razzia ai danni delle gente del Darfur «entro giorni o settimane». Le altre clausole imposte da Washington, che vuole chiudere nelle prossime settimane senza ombre e con il suggello di Bush la pace nell’altra ventennale guerra civile nel sud Sudan, sono un accesso illimitato agli aiuti umanitari all’interno del Darfur e la riapertura dei negoziati con i ribelli (attualmente vige tra le parti un cessate il fuoco che scadrà il prossimo 10 luglio ndr).

Intanto dal terreno giungono notizie di nuovi scontri. Tre villaggi nel Darfur meridionale controllati dai ribelli sono stati attaccati dagli elicotteri governativi. Per questo motivo – e per il rifiuto della mediazione, considerata troppo filo-sudanese, del Ciad – i ribelli hanno deciso di non partecipare ai nuovi colloqui il cui inizio era previsto ieri.