Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

La pendenza del processo penale non è ostativa al rilascio del permesso di soggiorno previsto dall’art. 31, comma 3 D.Lgs. 286/98

Corte di appello di Bari - sezione minorile, ordinanza n. 1235 del 22 dicembre 2016

Pubblichiamo una decisione di accoglimento della Corte d’Appello di Bari, sezione minorenni. Il primo giudice ha rigettato la domanda di permesso di soggiorno prevista dall’art. 31, comma 3 D.Lgs. 286/98: “Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge.”

I motivi del ricorso erano:

– Violazione e falsa applicazione dell’art. 27, comma 2 della Costituzione;
– Violazione del principio “presunzione di non colpevolezza”;
– Violazione dell’art. 6 comma 2 della Convenzione dei diritti dell’uomo;
– Vizio di motivazione ed erronea valutazione dei fatti e delle circostanze

Il Tribunale per i minorenni quale giudice di prime cure aveva frainteso il procedimento penale pendente a carico del ricorrente con il procedimento concluso con una sentenza di condanna che allo stato non esiste.

Si deduceva che:

– attualmente il procedimento penale è sospeso perché tutti i soggetti coinvolti nella rissa sono stati ammessi al beneficio della messa alla prova che produce la sospensione del procedimento e l’imputato viene affidato all’ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) per lo svolgimento di un programma di trattamento che preveda come attività obbligatorie: l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione gratuita in favore della collettività; l’attuazione di condotte riparative, volte ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato; il risarcimento del danno cagionato e, ove possibile, l’attività di mediazione con la vittima del reato. Il programma può prevedere l’osservanza di una serie di obblighi relativi alla dimora, alla libertà di movimento e al divieto di frequentare determinati locali, oltre a quelli essenziali al reinserimento dell’imputato e relativi ai rapporti con l’ufficio di esecuzione penale esterna e con eventuali strutture sanitarie specialistiche.

– che a questo nuovo istituto possono accedere solo gli imputati per i reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del c.p.p. e privi di precedenti penali.

– che il ricorrente aveva beneficiato della sospensione del procedimento penale poiché ammesso alla prova con provvedimento del Tribunale competente

– inoltre, secondo il nostro ordinamento, vige nei confronti dell’imputato la presunzione di non colpevolezza, principio secondo cui un “imputato è innocente fino a prova contraria”. In particolare, l’art. 27, comma 2, della Costituzione afferma che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

Secondo la Corte costituzionale (sent. n. 124/1972) questa disposizione va interpretata nel senso che l’imputato non deve essere considerato né innocente, né colpevole, ma soltanto “imputato”.

Tale regola è meglio precisata nell’art. 6, comma 2, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in base alla quale “ogni persona accusata di un reato è presunta innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata”.

Pertanto, va da se che l’affermazione “precedenti penali” non corrisponde al vero e di conseguenza la decisione assunta a carico del ricorrente sulla ritenuta loro sussistenza è illegittima perché viola l’art. 27, comma 2 Cost e l’art. 6, comma 2 CEDU.

– Scarica il decreto
Corte di appello di Bari – sezione minorile, ordinanza del 1235 del 22 dicembre 2016