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L'ingresso di lavoratori altamente specializzati è già previsto ma poco utilizzato

La proposta di Direttiva Europea per istituire l’European Blu Card

a cura dell' Avv. Marco Paggi

E’ del 29 ottobre 2007 la notizia dell’approvazione da parte della Commissione Europea di una proposta di Direttiva per istituire l’ European Blu Card.

Si tratterebbe di un super permesso di soggiorno per stranieri laureati o specializzati con qualche anno di esperienza che potrebbero essere assunti da imprese europee entro quote appositamente fissate, paese per paese, con stipendi pari al triplo del minimo imposto per legge.
Questi lavoratori dovrebbero giungere attraverso corsie preferenziali, senza la burocrazia che oggi rallenta gli altri ingressi per lavoro, potranno farsi raggiungere dalle famiglie e dopo due anni avranno la possibilità di spostarsi liberamente nell’Unione Europea alla ricerca di altri impieghi.

La proposta dovrà passare dal Consiglio al Parlamento Europeo per essere approvata, in seguito, andrà recepita dai vari stati membri nei termini di dilazione che normalmente vengono stabiliti dalle direttive.

La notizia sembra incoraggiante e sembra che l’UE abbia trovato una modalità per governare i flussi migratori, in particolare, per distinguere i flussi migratori dei poveri da quelli delle persone di serie A, intellettualmente dotate, che fornirebbero una maggior ricchezza agli Stati ospiti.
In questa forma sembra la notizia di una buona speculazione nell’interesse delle nostre economie proposta dalla Commissione Europea che, peraltro, fa anche pensare che l’Europa si stia muovendo nel senso di governare in maniera efficiente ed efficace e soprattutto rassicurante le migrazioni.
I fenomeni migratori sono fatti però di una moltitudine di individui di diverse estrazioni culturali, sociali e economiche. Individui che come tali pretendono con ragione di poter decidere della propria sorte, del proprio interesse e del proprio futuro, senza inserirsi in sistemi di pianificazione di tipo sovietico. Agli individui, di essere una quota oppure no, importa poco, interessa pensare ai propri bisogni e sapere dove dirigersi per soddisfarli al meglio.
Questa pretesa di pianificazione dei fenomeni migratori, che ha sempre rappresentato un bel sogno per i politici, dal punto di vista pratico non ha trovato finora alcuna possibilità di dimostrazione.

In Francia in questo periodo, anche dal punto di vista dell’immigrazione, a livello nazionale, è tornato in auge il discorso sull’immigrazione scelta, selezionata, come a dire “non facciamo entrare tutti i pezzenti che da tanti anni ci affliggono ma facciamo entrare solo quelli che fanno comodo e produrranno ricchezza e non daranno fastidio perché sono persone intelligenti che si sapranno adattare benissimo”. Questo è un pò il messaggio subliminale che dietro questi slogan si cerca di divulgare e che cela una volontà di rassicurare facendo credere che si stiano difendendo le comunità.
Si può anche pensare che dietro questi slogan si nasconda la mancanza di volontà di affrontare il fenomeno migratorio per quello che è nella realtà, per com’è e come è composto, come una forma di pressione all’ingresso dell’Unione Europea non determinata necessariamente da una domanda del nostro mercato del lavoro perfettamente coincidente con le propensioni e le dotazioni dei candidati all’emigrazione, bensì, al limite, come un incontro tra domanda ed offerta che sconta anche una certa caoticità
Il discorso sull’immigrazione scelta si propone come novità utile ad affrontare il problema della gestione dei flussi migratori, ma non costituisce affatto cosa nuova, ed è stato ciclicamente proposto nel corso degli anni, in occasione di tutti i fenomeni migratori, compresi quelli che nel passato hanno interessato i migranti italiani.

La normativa italiana prevede già dal 1998 la migrazione scelta, disponendo, all’art. 27 del T.U. sull’immigrazione, di autorizzare l’ingresso di lavoratori altamente specializzati al di fuori delle cosiddette quote.
Prima ancora del 1998, con la normativa delle legge 943 del 1986, vi era la possibilità di ingresso senza particolari limiti o quote relative a numeri chiusi, in forza della particolare specializzazione dei candidati all’ingresso dall’estero e all’assunzione, a fronte della indisponibilità di corrispondente manodopera a livello locale.

Se si esamina bene la situazione emerge come sia sempre esistito questo strumento che consente l’ingresso all’immigrazione selezionata per i lavoratori altamente specializzati, e di conseguenza, emerge come questo non abbia prodotto affatto un ingresso massiccio o apprezzabile dal punto di vista numerico e dal punto di vista della gamma di professionalità interessate.
I dati a questo proposito sono evidenti.
I lavoratori altamente specializzati entrati in Italia in tutti questi anni sono pochissimi. Sono stati molti i lavoratori formalmente distaccati da imprese aventi sede all’estero in contratto di appalto presso imprese italiane che, per l’esecuzione di questi lavori, avrebbero distaccato lavoratori molto spesso utilizzati come manodopera propria dai committenti.
Si tratta spesso di forme di intermediazione di manodopera, o di somministrazione abusiva mascherata, con palese riduzione dei costi di lavoro e soprattutto dei contributi e delle ritenute fiscali.
Per quanto riguarda la vera e propria immigrazione professionale o di lavoratori altamente specializzati, il numero di lavoratori giunti in Italia con questa procedura, che pure è di per sé snella, non soggiace ad un numero chiuso e la presentazione delle domande è relativamente veloce.
A fronte di queste facilitazioni, perché sono poche le persone entrate in questo modo?
Perché non è questo che realmente interessa al nostro mercato del lavoro, voglioso di comprare a poco prezzo i lavoratori altamente specializzati.
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Per converso invece, dal punto di vista burocratico, secondo la prassi che è stata finora adottata in Italia, in base alle norme che ho citato, si lascia intendere che, il lavoro altamente specializzato, in quanto tale, debba essere anche altamente retribuito.
Quindi, il primo filtro per autorizzare o meno questi ingressi consiste, non solo nella identificazione del livello di inquadramento professionale del lavoratore (dirigente, tecnico specializzato), ma anche nel livello retributivo che deve essere, appunto, corrispondente alla presunta alta professionalità.
La realtà è però un’altra perché, non solo privati e imprenditori, ma spesso anche l’Università, sotto forma di borse di studio o di assegni di tirocinio, hanno voluto far entrare effettivamente dei cervelli qualificati e di valore, ma per pagarli pochi soldi.
Il meccanismo si inceppa, dimostra tutta la sua debolezza nel momento in cui emerge la verità: i cervelli fanno comodo, ma sono arrivati, non con procedura di ingresso di lavoratori altamente specializzati, ma molto più spesso, sono stati regolarizzati con le sanatorie, spesso sono stati autorizzati all’ingresso come colf o badanti per essere poi inserite all’Università con qualche borsa di studio come lavoratori effettivamente altamente specializzati ma poco retribuiti.