Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da il Manifesto del 28 novembre 2003

La questura sbaglia carta di soggiorno? Paga la vittima

Cognome: Sukhdev. Nome: Senza nome. Seguono i normali dati di un permesso di soggiorno, rilasciato dalla questura di Pordenone a un migrante. Il cui cognome in realtà è Singh, mentre il nome ce l’ha eccome, ed è Sukhdev, quello riportato erroneamente al posto del cognome.
Non è l’unico piccolo scandalo che si può pescare nella massa di delicate operazioni legate al rilascio dei permessi; quei documenti, cioè, indicati all’opinione pubblica come necessari per garantire la sicurezza dei cittadini e che rappresentano – per i migranti – il discrimine tra essere «clandestino» o regolare.
Eppure, come si vede, non si può proprio dire che questi permessi di soggiorno siano compilati con la necessaria attenzione. Su un altro permesso di soggiorno, rilasciato dalla questura di Brescia, leggiamo il seguente «luogo di nascita»: Gajji Wadala. Un posto che non esiste, e che probabilmente si deve alla cattiva trascrizione del nome di una città indiana, Gazi Godana.
Tanti e tali errori sono stati denunciati dall’Associazione Duumchatu, che sta protestando perché quando gli immigrati segnalano gli errori in questura, non vengono trattati come parte lesa ma come responsabili del problema: per ottenere la correzione devono produrre una montagna di documenti per ottenere i quali, oltretutto, bisogna sborsare cifre non irrisorie.
E di errori di questo tipo non sono colpevoli solo le questure: Bhuyan Siraj nato il 2/04/71 a Dhaka, in Bangladesh, frequenta l’università, ma nel certificato universitario che ha portato dal suo paese, il cognome è scritto con una «i» in più: Bhuiyan. Questo può accadere, quando – anche in Bangladesh – si trascrive la lingua bangla in caratteri latini.
Il ministero dell’istruzione italiano, però, vuole che l’ambasciata rilasci una dichiarazione in cui si dice che il Bhuyan del passaporto e il Bhuiyan del certificato universitario sono la stessa persona. Altri soldi, altre file per mettere in ordine i documenti. E in alcuni casi, oltre alla dichiarazione dell’ambasciata si chiede l’intervento di un tribunale, con nuove spese. L’identità, oggi, ha un caro prezzo.