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La realtà sospesa del campo di Vial sull’isola di Chio. Tra procedure accelerate e attese indefinite

di Greta Albertari, consulente legale presso Equal Rights Beyond Borders

Photo credit: Elena Depi De Piccoli

L’isola di Chio è una delle cinque isole greche, insieme a Lesbo, Samo, Lero e Coo, in cui è stato istituito nel 2015 il progetto hotspot della Commissione Europea.

Sull’isola è pertanto presente il campo di Vial, un’ex-compattatore di rifiuti allestito a centro di ricezione, registrazione e accoglienza per i migranti in arrivo dalla Turchia. Intorno al grande edificio in cemento che costituisce il cuore del campo, nonché centro di tutte le sue funzioni amministrative, si estende un’ampia area di prefabbricati con il logo UNHCR nei quali i richiedenti asilo trovano una sistemazione.

Al momento, alla luce dell’incremento degli arrivi dalla Turchia, ai prefabbricati si alternano distese di tende. Non si tratta delle tende fornite da UNHCR, che spesso caratterizzano i campi profughi di tutto il mondo, ma di piccole tende da campeggio, che i nuovi arrivati sono invitati ad acquistare una volta registrati nel campo.

Vial presenta quindi una situazione di sovraffollamento, in cui intere famiglie, anziani, donne incinte e bambini sono costretti a vivere in tenda, senza servizi medici o igienici adeguati e con l’inverno che avanza.

Dati recenti del Governo greco confermano questa situazione preoccupante. Il campo di Vial, con una capienza di 1.014 persone, a fine ottobre ne ospitava 3.829. Nelle ultime settimane, a causa del continuo aumento degli sbarchi e dell’arrivo dell’inverno, anche il numero dei trasferimenti verso la Grecia continentale è aumentato sensibilmente.

Come probabilmente accade sulle altre isole dove sono stati istituiti centri hotspot, la quotidianità e l’economia dell’isola di Chio non sono rimaste indifferenti a questa novità.

Il processo di adattamento alle necessità e alle opportunità scaturite dalla presenza di Vial risulta evidente anche solamente passeggiando per la cittadina di Chio, capoluogo dell’isola, distante circa 20 minuti di macchina dal campo.

Salta all’occhio innanzitutto la presenza pervasiva di taxi: ogni due macchine che si vedono passare in città, la terza è l’inconfondibile macchina bordeaux con il cartello taxi sul tettuccio. Chiacchierando con i tassisti si ottiene una cartina tornasole dei pensieri e sentimenti della popolazione dell’isola. C’è chi ringrazia per le opportunità economiche derivanti dal campo e da tutto l’universo che gli gira intorno, c’è chi si lamenta dell’’invasione’, chi nutre pregiudizi verso determinate nazionalità di richiedenti asilo ma è compassionevole e amichevole verso altre, chi vorrebbe aiutare come può e lascia salire intere famiglie sul proprio taxi concedendogli prezzi ridotti, chi propone visioni generalizzanti della questione migratoria come: “i rifugiati sono come i taxi. I taxi sono tutti rossi, e sono tutti uguali. Ma se un tassista fa qualcosa di male nei confronti di un passeggero, questo andrà a influenzare la percezione generale nei confronti di tutti i tassisti. Lo stesso avviene con i rifugiati”.

Il dato inconfutabile è che, prima dell’apertura di Vial, Chio contava 40 taxi, oggi sono 150 le macchine bordeaux che sfrecciano su e giù tra Vial e il centro città.

Un altro fenomeno interessante è rappresentato dal negozio Vodafone presente nella piazza principale di Chio, la stessa piazza che funge da punto di raccolta dei taxi. L’arrivo giornaliero di decine di persone con la necessità impellente di acquistare una scheda telefonica ha portato il negozio ad ampliarsi posizionando un piccolo banchetto di cartone fuori dall’entrata. Due impiegati sono presenti ininterrottamente, anche fuori dagli orari di apertura del negozio, e gestiscono la fila costante di persone che desiderano comperare una nuova scheda telefonica. Spesso, quando bisogna indicare l’indirizzo dell’ufficio che abbiamo in città ad un nostro assistito che non sappia come arrivarvi, basta menzionare Vodafone come punto di riferimento per risolvere qualsiasi difficoltà di orientamento.

Photo credit: Elena Depi De Piccoli
Photo credit: Elena Depi De Piccoli

Procedure di confine e importanza dell’accesso al supporto legale

È proprio nella città di Chio che opera la maggior parte delle organizzazioni di supporto ai richiedenti asilo, tra cui l’associazione di supporto legale Equal Rights Beyond Borders, presso cui lavoro come consulente legale.

Il lavoro dei consulenti impegnati presso questa organizzazione è quello di seguire i richiedenti durante tutti gli stadi della procedura di richiesta di protezione internazionale, fornendo informazioni e supporto specializzato. Al fine di comprendere al meglio i vari compiti di un consulente legale sull’isola è importante analizzare, passaggio per passaggio, le fasi della procedura di richiesta di asilo applicabile sulle isole greche, la c.d. ‘fast-track border procedure’.

La procedura accelerata che ha luogo nelle isole greche ospitanti gli hotspot è stata fortemente modificata in seguito all’adozione all’EU-Turkey statement del 20 marzo 2016, al quale è succeduta l’adozione della legge greca di asilo (L 4375).

Sulla base di questo ‘trattato’ dall’ambigua valenza giuridica, è stato istituito il sistema per cui tutti i ‘migranti irregolari’ provenienti dalla Turchia e sbarcati in Grecia debbano essere rapidamente deportati in Turchia. L’effetto primario di questo accordo è stato il concretizzarsi della possibilità che i richiedenti asilo appena approdati in territorio europeo vengano rimpatriati in Turchia, qualificando quest’ultimo Stato come ‘paese terzo sicuro‘ o ‘paese di primo asilo‘ ai sensi della normativa europea in materia di procedura d’asilo. Ove la Turchia venga considerata un paese sicuro per un determinato richiedente asilo, la sua domanda di protezione internazionale verrà considerata inammissibile e non analizzata nel merito, ed egli verrà rimandato in Turchia.

Questo accordo costituisce la base concettuale della politica di contenimento dei flussi migratori ai confini dell’Ue, che vede migliaia di persone intrappolate nei campi sovraffollati delle isole Egee in attesa di una decisione circa la loro deportabilità. Durante questa procedura di accertamento dell’ammissibilità della richiesta di protezione internazionale, i richiedenti asilo sono soggetti ad una c.d. ‘restrizione geografica’, in quanto è loro proibito lasciare l’isola in cui si trovano.

Visto il livello di compressione della libertà personale degli individui presenti negli hotspot, l’idea originale era quella di concludere l’intera procedura nell’arco di poche settimane. In realtà i tempi di attesa possono arrivare a superare l’anno; e questo solo per ottenere una prima decisione sull’istanza di protezione internazionale. Migliaia di persone si ritrovano quindi in un’attesa estenuante nelle condizioni disastrose in cui versa il campo.

È importante segnalare che non a tutti i richiedenti asilo giunti sulle isole egee via mare è applicabile la sopracitata ‘fast-track border procedure’. Infatti, sono da questa esonerate le persone considerate vulnerabili in applicazione di precise categorie previste dalla legge greca (ad esempio persone sopravvissute a tortura, sfruttamento o in gravi condizioni di salute, persone sopravvissute a naufragi e genitori soli e con figli a carico).

Alle persone vulnerabili, cui si applica dunque la procedura ordinaria, è permesso lasciare l’isola e spostarsi su tutto il territorio greco. Si assiste pertanto al tentativo di migliaia di persone di ottenere una decisione che stabilisca la loro vulnerabilità. Il processo di identificazione di queste vulnerabilità non è privo di carenze e malfunzionamenti, e spesso l’identificazione tarda ad arrivare, lasciando persone de facto vulnerabili nell’ambito della procedura di confine e all’interno di Vial.

Photo credit: Elena Depi De Piccoli
Photo credit: Elena Depi De Piccoli

Pre-registrazione e registrazione della domanda di asilo ed eventuale applicazione del Regolamento di Dublino

Nelle ore immediatamente successive allo sbarco avviene la ‘pre-registration’ della domanda di asilo, durante la quale la polizia greca, con il supporto di Frontex, procede all’identificazione dei richiedenti – prendendo le loro impronte digitali, chiedendo informazioni anagrafiche (nome, cognome, data di nascita, nomi dei genitori, eventuali componenti del nucleo familiare, paese d’origine) e informazioni sulle modalità di viaggio adottate per arrivare in Grecia. In seguito, avviene la vera e propria ‘registration’ della domanda di asilo da parte delle autorità greche, durante la quale vengono confermate le informazioni fornite durante la ‘pre-registration’ e viene rilasciato il permesso di soggiorno per asilo (khartia nel linguaggio quotidiano dell’isola di Chio).

Esso rappresenterà il documento di riconoscimento dei richiedenti per tutto il periodo di permanenza sull’isola e andrà rinnovato mensilmente. Anche se dovrebbero passare pochi giorni tra il momento della ‘pre-registration’ e quello della ‘registration’, la prassi è quella di un periodo di tempo in costante aumento: da qualche settimana fino a tre mesi. Le implicazioni pratiche di questo ritardo possono essere enormi, ed avere un effetto negativo sulla possibilità dei richiedenti di accedere alle procedure di trasferimento verso un altro Stato Membro dell’Unione previste dal regolamento di Dublino.

Questo perché, dal momento della ‘pre-registration’, i tre mesi previsti dal regolamento di Dublino per l’invio di una richiesta di presa in carico da parte di un altro Stato Membro dell’Unione iniziano a decorrere. In questi tre mesi è di fondamentale importanza che il richiedente venga messo al corrente dei propri diritti derivanti dal regolamento di Dublino nel caso in cui egli abbia un familiare in un altro stato dell’Unione.

Questa procedura rappresenta per molte persone l’unica via d’uscita ufficiale dalle condizioni in cui versa il sistema di accoglienza greco e l’unico modo per essere ricongiunto alla propria famiglia. Malgrado ciò, molto spesso gli altri Stati Membri si dimostrano rigidi nell’accettare queste richieste di presa in carico, rifiutandone percentuali altissime.

Vista la loro importanza, i ‘Dublin cases’ andrebbero prontamente individuati, messi in contatto con consulenti legali ed andrebbe avviata la lunga procedura di ottenimento della documentazione necessaria e di comunicazione tra le parti interessate. Ciò che invece spesso accade è che i richiedenti entrino in contatto con avvocati e organizzazioni di supporto legale solo in seguito alla loro ‘registration’, dunque una volta ottenuta la loro prima khartia. Ma nel caso in cui questa registrazione abbia luogo a distanza di mesi dalla ‘pre-registration’ potrebbe essere troppo tardi per avviare una richiesta di presa in carico verso un altro Stato Membro; e il richiedente potrebbe aver perso l’opportunità – e il diritto – di un ricongiungimento familiare. Fortunatamente, accade di frequente che i diversi attori attivi nelle procedure di ‘pre-registration’ e prima accoglienza individuino i ‘Dublin cases’ e provvedano a riferirli alle organizzazioni di supporto legale, affinché le procedure vengano tempestivamente avviate anche in mancanza della registrazione definitiva della domanda.
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Registrazione della domanda e attesa della data dell’intervista

Al momento della ‘registration’, quando viene rilasciata la prima khartia, il richiedente viene informato della data prevista per la sua intervista di esame della richiesta di protezione internazionale. Questa data può persino essere ad un anno di distanza dal momento della registrazione. Inoltre, accade spesso che l’intervista venga ulteriormente posticipata, e che il richiedente venga informato di ciò solo il venerdì precedente alla data originariamente prevista.

Ogni venerdì infatti, al c.d. info-point – niente più che un piccolo e sovraffollato sportello informativo che separa l’interno di Vial dal suo esterno tramite una grata – vengono affisse delle tabelle con i numeri identificativi delle persone la cui intervista si terrà la settimana successiva.

Pertanto, il venerdì precedente la data presente sulla khartia, le speranze e aspettative dei richiedenti vengono spesso tradite dall’assenza del proprio nome. Da quel giorno in poi il richiedente si ritroverà senza una data specifica per la propria intervista: ogni venerdì dovrà recarsi all’info-point, sgomitare per ottenere una visuale delle tabelle e controllare, numero per numero, se la sua intervista sia stata finalmente confermata: un’attesa cadenzata che può protrarsi per mesi.

Il momento dell’intervista è un passaggio cruciale della procedura di richiesta di protezione internazionale, perché è sulla base di essa che verrà presa la prima decisione riguardante la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per protezione internazionale.

Nelle isole greche, le interviste sono condotte alternativamente da EASO, l’ufficio europeo di sostegno per l’asilo, o GAS, il servizio di asilo greco. EASO conduce le interviste dei richiedenti sottoposti alla sopracitata ‘fast-track border procedure’, soffermandosi non solo sul merito della richiesta ma anche sull’applicazione del concetto di ‘paese terzo sicuro’ o ‘paese di primo asilo’; mentre GAS conduce le interviste di coloro che sono sottoposti alla procedura ordinaria. Le competenze affidate ad EASO nell’ambito di questa procedura rappresentano un unicum straordinario, si distanziano dal mandato originario dell’agenzia e lo ampliano sensibilmente.

Le attività dei consulenti legali variano dall’identificazione di potenziali ‘Dublin cases’, alla rappresentanza legale presso le autorità competenti, alla preparazione dei richiedenti all’intervista. Tale preparazione consiste in un incontro di 2-3 ore durante il quale vengono fornite tutte le informazioni pratiche necessarie ad affrontare al meglio l’intervista, nonché le nozioni tecniche che aiutino a comprenderne la finalità ultima.

Preparando persone di tutte le età, estrazioni sociali, con diversi livelli di educazione e diverse esperienze di vita ci si può rendere rapidamente conto di quanto sia complesso e in un certo senso violento quello che viene loro richiesto. Si acquista consapevolezza di quanti fattori culturali possano influire sulle modalità in cui una storia viene narrata, di quanti e quali dettagli, che potrebbero risultare fondamentali, si tenda ad omettere, di quanto l’ordine cronologico degli eventi preteso dalle autorità sia un concetto astratto e una forma mentis non sempre condivisa e condivisibile, se non dovutamente spiegata.

Al termine dell’intervista, nel caso di un esito negativo della richiesta di protezione internazionale, è possibile presentare appello presso un’autorità giudiziaria. Il termine perentorio di 5 giorni a tal fine previsto può risultare problematico considerando la quasi totale mancanza di informazione e supporto legale garantiti ai richiedenti. Pertanto, un altro ruolo fondamentale ricoperto dai consulenti legali è quello della rappresentanza dei richiedenti asilo durante questa delicata fase della procedura.

Lasciandomi alle spalle gli aspetti tecnici e procedurali, concludo con un pensiero sulla sensazione che pervade il campo e forse l’isola tutta, una sensazione di sospensione e attesa. “Waiting waiting waiting, Vial is all about waiting” ci sentiamo ripetere spesso dai nostri assistiti. Questa esasperante sensazione di attesa non è solamente connessa ai tempi dilatati di una procedura che dovrebbe essere ‘accelerata’, ma è un’attesa che penetra in ogni aspetto della vita del campo.

La prima volta che sono entrata a Vial ho avuto la prepotente impressione di trovarmi in una grande scatola, una scatola a sua volta contenente scatole più piccole. Nella prima scatola migliaia di persone fanno la fila per accedere alle altre scatole, al fine di usufruire di servizi primari. Vi è ad esempio la scatola del bagno chimico, la scatola della distribuzione del cibo, la scatola del rinnovo della khartia e la scatola dell’info-point. Una scatola piena di scatole, questo purtroppo è il confine estremo della nostra Fortezza Europa.

Greta Albertari
consulente legale presso Equal Rights Beyond Borders