Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da L'Arena di Verona del giugno 2006

La «ribellione» degli immigrati

Affollata assemblea in sala Lucchi dei Lavoratori invisibili del mondo promossa dal Coordinamento migranti di Verona

di Enrico Santi

Verona – «Siamo noi immigrati i nuovi schiavi, ma a differenza del passato non vengono più dall’Europa e dall’America a prenderci sulle coste dell’Africa, siamo noi a dover pagare il viaggio per poi essere sfruttati da chi si arricchisce sulla nostra pelle».
Da Verona parte la lotta del movimento continentale dei «lavoratori invisibili del mondo». In circa mezzo migliaio, ieri, fra immigrati, lavoratori precari e militanti di sindacati di base, centri sociali, associazioni antirazziste, movimenti antagonisti, hanno partecipato, in sala Lucchi, all’assemblea promossa dal Coordinamento migranti di Verona.
E dalla variopinta riunione di ieri si è alzata forte la richiesta di «sanatoria generalizzata» per tutti gli irregolari, di abolizione del sistema di ingresso tramite le quote, di amnistia per i reati legati alla vendita di merce contraffatta e di diritto al voto alle elezioni amministrative.

«Paghiamo le tasse e contribuiamo allo sviluppo economico e sociale della città, ma per i nostri politici se non voti non sei nessuno», esclama fra gli applausi Moustapha Wagne, originario del Senegal, segretario generale del Coordinamento migranti veronese, che aggiunge: «Il giorno in cui potremo votare saremo noi la vera alternativa politica».
Dal palco della sala Lucchi, molti degli intervenuti esprimono contrarietà all’istituzione delle consulte comunali degli immigrati di cui si sta discutendo anche a Verona. «Non ci interessano», taglia corto Wagne, «perché sono solo un modo per tenerci buoni senza darci forme reali di partecipazione». Ibrahim, nordafricano, anche lui aderente al Coordinamento, rincara la dose: «Oggi il Comune di Verona è retto dal centrosinistra ma rispetto a prima nei nostri confronti non è cambiato nulla. Sulle nostre richieste gli amministratori chiudono gli occhi, ma nelle consulte non ci entreremo: con il mio lavoro contribuisco ogni mese per il Comune e anch’io ho diritto di decidere come gestire quei contributi, attraverso il mio voto».
Diritto al voto, quindi. Ma, sottolinea uno degli intervenuti, proveniente dal Senegal, esso «non basta per chi vive una situazione di esclusione sociale». «Milioni di italiani», esclama, «hanno diritto al voto, ma sono ugualmente sfruttati e prima o poi anche in Italia esploderà la rabbia come è successo in Francia e negli Stati Uniti».
Nel corso della giornata di ieri non sono mancati gli attacchi al nuovo governo. «Siamo tornati», urla al microfono uno dei partecipanti, «al punto in cui eravamo partiti: nel 1998 l’attuale presidente della Repubblica Napolitano insieme a Livia Turco fece la legge che istituì quella cosa vergognosa che sono i Cpt, centri di permanenza temporanea».
Ma, gli replica un altro, «dopo la lotta contro il primo governo Prodi abbiamo avuto Berlusconi e la legge Bossi-Fini sull’immigrazione». Jacques, del Coordinamento immigrati di San Bonifacio, denuncia il comportamento dell’amministrazione comunale del suo paese che agli stranieri che vogliono la residenza chiede di esibire, oltre al permesso di soggiorno, anche la denuncia dei redditi.
«Soltanto a New York», ribatte, «vivono otto milioni di persone di origine italiana, così come lo sono il 50 per cento degli argentini, in Africa nascono come i funghi… col nostro lavoro abbiamo portato questa nazione fra le prime otto più ricche del mondo, quindi l’Italia dev’essere l’ultima a frapporci ostacoli». Per un altro delegato, anche lui proveniente dall’Africa, però, «bisogna essere consapevoli che il popolo italiano non è ancora maturo per la multiculturalità e la lotta più grande è di tipo culturale».
Infine, interviene Katia, immigrata dall’America Latina: «Per poter lavorare ho dovuto cambiare nome in Sara, che è mia sorella, munita di permesso di soggiorno. Ma a questo mondo tutti hanno il diritto di vivere».