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da Il Manifesto di giovedì 14 aprile

La sanatoria a metà di Rodriguez Zapatero

di Stefano Liberti

“Vivo in Spagna da un anno da clandestina; lavoro stabilmente come badante. E ora, che il governo ha deciso di regolarizzarci, non posso farlo”. L’equadoregna Analisa Martinez (il nome è di fantasia) ha l’aria scoraggiata: fuggita da uno stato in crisi, oggi non può accedere alla sanatoria decisa dal governo socialista di José Luis Rodriguez Zapatero.
Le manca il cosiddetto certificado de empadronamiento, una sorta di registrazione al municipio di appartenenza che dimostra la sua presenza nel paese prima dell’8 agosto 2004. Come lei, sono centinaia di migliaia gli immigrati in posizione irregolare che rischiano di rimanere esclusi dal provvedimento a causa di quella che le associazioni definiscono un’eccessiva severità.
“La sanatoria di Zapatero è più rigida di quelle avviate dal precedente governo di destra. Per evitare di attirarsi critiche, il Psoe (il partito socialista, ndr) ha deciso di legare il permesso al contratto di lavoro e, cosa ancor più grave, all’empadronamiento”, denuncia la colombiana Yolanda Villavicencio, presidentessa dell’Ong Aesco, che cura gli interessi degli immigrati latino-americani in Spagna.
“L’empadronamiento è una vera barriera: molti non si sono mai registrati per timore di rappresaglie o per ignoranza”. I numeri parlano chiaro: degli 800mila immigrati irregolari stimati dal governo all’inizio del processo, solo poco più di 300mila hanno presentato per ora – passati due dei tre mesi prescritti per avviare la pratica – richiesta di regolarizzazione. Così, da una parte l’opposizione sbraita; dall’altra gli immigrati domandano al governo maggiore flessibilità e hanno cominciato le prime manifestazioni: cortei a Madrid, encierros (occupazione di chiese) e scioperi della fame a Barcellona.
L’esecutivo, stretto tra due fuochi, ha infine deciso in corso d’opera di metterci una pezza: a quanto annunciato lunedì dal ministro del lavoro Jesús Caldera, verranno ammessi altri documenti per dimostrare la presenza in Spagna prima dell’agosto 2004. Ma intanto il tempo passa e il 7 maggio scadono i termini per la regolarizzazione.

La gestione dell’immigrazione in Spagna è del tutto simile a quella italiana: poche possibilità per entrare legalmente, grande diffusione del lavoro nero e una lunga serie di sanatorie – dal 1985 ce ne sono state cinque – per arginare il problema. Per quanto riguarda i numeri, le comunità più presenti sono gli equadoregni, i marocchini, i colombiani, i peruviani, i cinesi e i romeni. Se si sommano i presunti 800mila irregolari di cui parlava il governo alle presenze registrate, ci sono nel paese circa 2,6 milioni di immigrati, pari al 6,2 % della popolazione.
Una cifra che diventa consistente e che non può quindi non agitare lo scontro politico. È per questo che il governo socialista ha attivato un procedimento piuttosto timido, che già a livello semantico si vuole distinguere da quelli del passato: non si parla di sanatoria né di regolarizzazione, ma di normalizzazione. “Gli analoghi procedimenti lanciati negli anni scorsi non richiedevano alcun requisito; quella del Psoe ha introdotto l’obbligo del contratto di lavoro, l’empadronamiento e il certificato penale”, spiega accigliato Mustapha El M’Rabet, presidente dell’Associazione lavoratori e immigranti marocchini in Spagna (Atime).
Il regolarizzando deve infatti dimostrare di non avere precedenti penali nel suo paese, di essere arrivato in Spagna prima dell’agosto scorso e di avere un contratto di lavoro per almeno sei mesi. “Un eccesso di severità che ha prodotto effetti collaterali scandalosi: tanto per dirne una, sono nate vere e proprie imprese fantasma che, in cambio di denaro, producono contratti fasulli per accedere alla normalización”, denuncia El M’Rabet. Che aggiunge: “Il governo spagnolo e l’Unione europea devono uscire da una gestione emergenziale dell’immigrazione e cercare di fare qualcosa per colmare l’immenso divario che esiste tra le due sponde del Mediterraneo”.

Al di là dei benefici che ne trarranno coloro che riusciranno a ottenere la regolarizzazione, molti analisti concordano: la sanatoria è un rimedio insufficiente, che non va alle radici della questione migratoria. “Il differenziale del reddito medio tra Spagna e Marocco è di circa tredici a uno; il doppio di quello esistente tra Stati uniti e Messico”, dice Ivan Martín, professore di economia all’Università Carlos III di Madrid. “In questo contesto, l’immigrazione è una semplice reazione alla realtà. I giovani – che costituiscono il 70% della popolazione dei paesi del Maghreb – non vedono prospettive e partono, a dispetto di tutti i rischi di un ingresso clandestino”, conclude Martín.
Ma in molti emigrano anche perché sanno che nel mercato occupazionale spagnolo – in cui il sommerso occupa una parte preponderante – riusciranno in qualche modo a inserirsi. Nei campi dell’Andalusia, ma anche nelle micro-imprese del settore edile, dei traslochi e dell’assistenza domestica, tutto si fa al nero. Molte società, gestite anche da immigrati, non resisterebbero se fossero costrette a pagare le tasse. “Riceviamo molte telefonate di piccoli imprenditori latino-americani che vorrebbero regolarizzare i loro dipendenti, ma non possono perché fallirebbero”, continua Villavicencio.
Tra l’empadronamiento, il contratto di lavoro e l’estrema segmentazione del mercato occupazione spagnolo, sembra che la normalización di Zapatero avrà risultati più modesti di quelli annunciati e che molti rimarranno esclusi. In attesa, tra qualche anno, di una nuova sanatoria.