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da Il Manifesto del 17 dicembre 2006

La silenziosa strage del Mare nostrum

E' una strage senza musei né targhe commemorative, non ha souvenir né campagne ministeriali.

Bassa contabilità, due cifre a confronto.
Tra il 13 agosto 1961 e il 9 novembre 1989 il Muro di Berlino è costato la vita a 230 persone.
Tra il 1988 e il 2006, 5742 persone sono morte nel tentativo di scavalcare il muro che separa l’Europa dalla parte povera del mondo.
Il primo muro ha la emme maiuscola, il secondo minuscola.
Nel dettaglio. Il nuovo trend è la morte per disidratazione nel deserto del Sahara: 133 i decessi finora accertati. Colpisce anche una nuova forma di selezione: 77 le persone saltate sulle mine al confine tra Turchia e Grecia. Fanno ancora notizia le persone nascoste nei Tir e morte per soffocamento: 213. Da segnalare come appendice per genere le 19 persone morte schiacciate dai treni lungo il tunnel della Manica. Ma nel tentativo di passare dalla parte povera del mondo all’Europa, la principale causa di morte resta ancora l’annegamento: 3342 i casi accertati nel Mediterraneo, 2080 negli ultimi quattro anni. Un cadavere su 3 giace ancora in fondo al mare, per un totale di 1117 cadaveri (dati Fortress Europe).

E’ una strage senza musei né targhe commemorative, non ha souvenir né campagne ministeriali, non ha prodotto simposi, non si studia a scuola, non ha un Leonardo Di Caprio. E’ una strage discreta, quasi silenziosa nella sua imperturbabile continuità. Come un’onda, ci culla.
Con il passare degli anni – e ne sono trascorsi dieci da quando il naufragio della notte di natale, dicembre ’96, lasciò in fondo al mare 283 giovani corpi di indiani, pachistani e cingalesi – ha acquistato la forma neutra della naturalità. Incidenti d’auto, di treni o d’aerei, il prezzo da pagare alla moderna mobilità. (Certo che il problema sarebbe risolto se i 5742 avessero potuto pagare un regolare e infinitamente meno caro biglietto aereo per scavalcare il muro, se avessero potuto prendere un traghetto di linea, o salire su un treno accomodandosi in cuccetta, ma nell’epoca del low cost il tema non è affatto all’ordine del giorno e il caso in questione non è affidato ai ministri dei trasporti ma a quelli degli interni e della difesa).
Il naufragio della notte di natale è il Titanic di questi strambi viaggiatori. «Il più grande naufragio nella storia del Mediterraneo in tempo di pace» disse in un’intervista a il manifesto il comandante delle Capitanerie di porto a pochi giorni dalla tragedia. Disse proprio così, «in tempo di pace», e forse pensava non solo alle statistiche. Voleva dire che quei numeri – 283 morti annegati – erano numeri da guerra.
Il comandante sapeva per certo di non essere in guerra e non credeva che una tragedia di queste proporzioni fosse potuta davvero accadere. E come lui tutti i media (ad eccezione di questo giornale tutti gli altri, negli stessi giorni, erano impegnati a raccontare con dovizia di particolari il naufragio di due velisti italiani in Australia). E come tutti i media non ci credevano i rappresentanti dell’allora governo di centro sinistra (molti nuovamente al governo oggi: Romano Prodi, Livia Turco…).

Tutti in cattiva fede? Non ci sono prove per poterlo affermare con assoluta certezza ma è possibile. Del resto neppure loro ne avevano, di prove: non gli parvero sufficienti le testimonianze raccolte da il manifesto tra i sopravvissuti, tra i parenti delle vittime, tra gli stessi organizzatori del viaggio. Di quei 283 corpi neppure uno era venuto a galla e ciò fu sufficiente per archiviare una vicenda che avrebbe potuto disturbare il naturale evolversi delle cose: dibattiti in parlamento, titoli dei giornali, convegni sulla multiculturalità. (Poi, come racconterà a Repubblica cinque anni più tardi un marinaio di Portopalo, si venne a sapere che i cadaveri tornavano eccome a galla, impigliati come pesci nelle reti, per poi essere subito rigettati in mare: eccolo svelato il mistero della nave fantasma).
Oggi quei 283 cadaveri, ciò che ne resta, sono ancora lì, in fondo al mare, tra Malta e la Sicilia. Tutto sommato in discreta compagnia.