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La situazione di particolare vulnerabilità soggettiva giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria

Tribunale di Bari, decreto dell'11 marzo 2019

Una decisione del Tribunale di Bari, sezione immigrazione, che concede il permesso per motivi umanitari.

Il caso è il seguente:

In data 9.05.2017 il ricorrente giungeva a Palermo transitando prima dal Niger e poi dalla Libia e di seguito trasferitosi nella città di Bari con accoglienza in Gioia del Colle presso il locale Cas.

In data 19.10.2017, formalizzava l’istanza di protezione internazionale.

In data 23.11.2017 veniva esaminato dalla Commissione Territoriale di Bari, la quale all’esito dell’istruttoria, in pari data decideva di non riconoscere alcuna forma di protezione.

Le motivazioni che sono alla base della domanda di protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria, presentata dal ricorrente, ben esplicitate nel verbale di dichiarazioni possono essere sinteticamente descritte come segue:

Nel villaggio di Uguahara vivevano pacificamente con i proventi della terra, sino a quando il 25 aprile 2016 avveniva un scontro con i pastori Fulani, i quali armati e spalleggiati da numerosi altri membri della loro etnia, massacravano la gente del villaggio, tra cui la madre e la sorella. Egli riusciva a mettersi in salvo scappando dal villaggio e recandosi verso nord sino alla città di Kano.

Di qui alla volta di Agadez in Niger e, successivamente, sino in Libia per poi raggiungere l’Italia.

Nel racconto il ricorrente spiega nei dettagli sia il rapporto con lo zio ed i parenti, lo scontro avuto con i pastori Fulani e la morte della sorella e della madre.

Il ricorrente racconta inoltre che la sua etnia gli Igbo, è costantemente minacciata in tutta la Nigeria, infatti i gruppi etnici nigeriani sono circa 250 ed il gruppo dominante del nord è quello degli Hausa-Fulani, maggiormente di religione islamica, mentre a sud la popolazione è predominata dagli Yoruba, inoltre, che gli Hausa odiano gli Igbo per via del Biafra, pertanto teme per la sua vita.

Ancora oggi il ricorrente porta le conseguenze dei cruenti fatti di sangue a cui ha assistito e che hanno lasciato un segno indelebile nella sua mente, come si evince dalla documentazione medica prodotta alla Commissione.

Poichè le dichiarazioni rese, assai circostanziate, inducevano a ritenere che un eventuale rientro del ricorrente nel proprio Paese non sarebbe stato esente da rischi per la propria incolumità, in quanto in Nigeria sussiste comunque il pericolo indiscriminato derivante da conflitti armati si proponeva ricorso perché la pretesa azionata aveva sicuramente rango di diritto soggettivo, sia per la sua intrinseca inerenza ad uno status della persona, rispetto al quale lo stesso legislatore ha previsto la giurisdizione del giudice ordinario, sia per la sua ascrivibilità ai diritti fondamentali della persona di cui all’ art. 2 della Costituzione, sia per la sua riconducibilità all’ art. 10 comma 3 della stessa Costituzione, che è norma primaria diretta ad assicurare tutela – senza la necessaria interposizione di una norma di rango ordinario attuativa del precetto costituzionale allo straniero “al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle liberà democratiche garantite dalla Costituzione italiana“.

Inoltre, con la sentenza 26.06.2012 n. 18549, la Corte di Cassazione, dichiarando esplicitamente di superare l’orientamento espresso con i propri precedenti del 2005 e 2006 e preso atto del contesto normativo costituito dal D.lgs. 19 novembre 2007 n. 251 attuativo del Direttiva 2004/83/Ce e art. 5 del D. Lgs. n. 286/98, ha stabilito che il diritto d’asilo di cui all’art. 10, comma 3 Cost. è oggi interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituti dallo status di rifugiato, della protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario.

Anche la Corte Europea nel interpretare l’art. 4 della Direttiva 2004, ha avuto modo di precisare che spetta allo Stato membro, e per esso alla Commissione che esamina la domanda di protezione, di cooperare con il richiedente tanto nel momento della determinazione degli elementi significativi della domanda di protezione quanto nel determinare e valutare la condizione generale del paese di origine e la specifica situazione di rischio di persecuzione o di pericolo qualificato che il richiedente correrebbe facendovi ritorno.

La Suprema Corte di Cassazione, nel suo più ampio consesso, ravvisa in questa materia un vero e proprio dovere di cooperazione del giudice nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria (cfr. Cass., sez. un., 17 novembre 2008, n. 27310) e ancora più recentemente la giurisprudenza di legittimità ha statuito che il Giudicante non deve limitarsi ad un accertamento prevalentemente fondato sulla credibilità soggettiva del ricorrente ma verificare la situazione del paese ove dovrebbe essere disposto il rientro (così, Cass., ord. N. 17576 del 27 luglio 2010).

Con la decisione in oggetto il G.O. di Bari ha riconosciuto che il ricorrente versa in una situazione di particolare vulnerabilità soggettiva e che l’immediato rientro in patria inciderebbe negativamente sulla sua salute mentale e per tale motivo ha concesso i motivi umanitari.

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Tribunale di Bari, decreto dell’11 marzo 2019