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La vera emergenza alle frontiere dei porti italiani

Respingimenti di donne e minori verso la Grecia, paese sempre più insicuro

In un modo o nell’altro le frontiere portuali italiane continuano a fare notizia. Quel che accade davvero all’interno del loro spazio chiuso, però, non è mai del tutto dato sapere. È certo che sono diventate un nuovo punto di arrivo per i profughi provenienti soprattutto da est: curdi iracheni e iraniani, afghani. Ma a volte anche persone che arrivano dai paesi più difficili dell’Africa: somali, sudanesi.

Il nodo della questione, come ormai è stato detto più volte, è che tutti questi migranti si imbarcano dalla Grecia e raggiungono l’Italia nascosti dentro le navi o a volte come passeggeri con documenti obbligatoriamente falsi. Del resto, chi fugge ha sempre poco tempo per raccogliere delle prove che confermino la propria identità o la propria storia spesso segnata da violenze e abusi.

Arrivano dalla Grecia, appunto. Paese europeo, paese che fa parte dell’area Schengen e paese firmatario della Convenzione di Dublino.
Paese, tuttavia, nei confronti del quale l’Acnur ha esternato preoccupazione rispetto al trattamento dei migranti e soprattutto dei richiedenti asilo.
Paese verso il quale la Norvegia ha deciso di sospendere i respingimenti degli aspiranti rifugiati (vedi documento allegato).
Paese dal quale chi vuole chiedere asilo è costretto a venire via, dato che il tasso di riconoscimento dello status di rifugiato è pari allo zero, ma paese verso il quale l’Italia continua a rimandare indietro le persone che arrivano sulle navi a causa di un accordo tra la Repubblica ellenica e quella italiana, stilato nel 1990, che prevede la riammissione degli stranieri in posizione irregolare (vedi documento allegato).

La conseguenza è che spesso i migranti vengono rimandati indietro senza che neppure vengano fatti scendere dalle navi, se non per prendere le impronte digitali.
Non viene il più delle volte accertata la loro condizione personale, e, come è successo al porto di Ancona, può accadere che una donna irachena sola con due bambini venga respinta due volte in pochi giorni, costretta a reiterare un viaggio rischioso senza che nessuno si fermi ad ascoltare le motivazioni di tanta ostinazione.

In storie come questa, le persone incontrano solamente la polizia di frontiera che in base al sopraccitato accordo, senza che neppure avvenga la valutazione dell’Unità Dublino, richiudono il portellone delle navi respingendo la gente in un paese che non rispetterà i diritti fondamentali internazionalmente riconosciuti.

Nel frattempo, da Venezia viene lanciato l’allarme: si paragona la frontiera del porto a quella di Lampedusa, paragone ad effetto che di reale ha soprattutto la nuova composizione dei migranti che raggiungono questi luoghi d’Italia via mare: quasi tutti, lo abbiamo detto, sono donne uomini e bambini in cerca di una protezione internazionale di cui avrebbero legittimamente diritto.
E’ stato il presidente dell’autorità portuale di Venezia, Paolo Costa, a scrivere al commissario europeo per la giustizia, libertà e sicurezza Jacques Barrot e al Ministro dell’Interno Maroni “per risolvere il problema dell’immigrazione clandestina”. Costa ha ricordato i morti della scorsa estate e ha sottolineato come il numero dei ‘clandestini’ intercettati al porto stia crescendo esponenzialmente: 850 da gennaio ad oggi.
Questo però, occorre sottolinearlo, è solo il numero delle persone fermate dalla polizia, non di quelle fatte entrare in Italia e magari entrate in procedura per la richiesta di asilo. Lo stesso Costa ha sottolineato che molti sono minori soprattutto afghani e che è necessario distinguere, tra i migranti, i richiedenti asilo e le persone vulnerabili.

Il rischio, però, è che come sempre l’urlare all’emergenza, al di là delle intenzioni di chi lo fa, porti allarmismi infondati e legittimi pratiche sbrigative da parte della polizia di frontiera invece che spingere a implementare la tutela dei diritti dei migranti.
La vera emergenza sono le guerre e i problemi dai quali le persone scelgono di allontanarsi, sono i viaggi durante i quali molti perdono la vita, sono i centri di detenzione in Grecia all’interno dei quali i diritti umani non vengono rispettati ed è impossibile ottenere asilo politico. La vera emergenza sono i respingimenti effettuati dalla polizia italiana anche nei confronti di minori e soggetti particolarmente vulnerabili.

Esiste un problema serio alle frontiere portuali italiane che si affacciano verso la Grecia, un problema di civiltà: tutelare i diritti delle persone al di là degli accordi bilaterali, delle convenzioni internazionali e degli allarmismi troppo spesso interpretati in chiave egoistica da chi si sente preso d’assalto da poche centinaia di persone in cerca di tutela.

Alessandra Sciurba

Vedi anche:
Pratiche di riammissione e respingimenti arbitrari da Ancona verso la Grecia