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La vergogna di Boreano tra finta legalità e lotte dal basso

Un report il giorno dopo lo sgombero del ghetto in Basilicata

Da più parti lo chiamano lo sgombero della legalità e a promuovere l’intervento, con una certa solerzia, è stato l’intero Partito democratico lucano; capofila il sindaco di Venosa (Potenza), quota Pd, Tommaso Gammone, che già ci aveva provato il 22 giugno con un’ordinanza di sgombero poi non attuata.
Alla fine le camionette e le ruspe di sono presentate davanti al ghetto di Boreano all’alba di giovedì 28 luglio. La ruspa, simbolo salviniano per eccellenza, per radere al suolo le baracche e spazzare via la vergogna abitativa di una jungle a cielo aperto, la polizia in rappresentanza dell’ordine e della legalità (sic!) di uno Stato connivente con le logiche di un caporalato diventato negli anni la vera piaga del Sud Italia! 1

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Lo sgombero di Boreano arriva qualche mese dopo quello di Rignano, Foggia; “finti sgomberi” li chiamano da queste parti. Dopo l’intervento infatti i braccianti ripopolano velocemente il ghetto ricostruendo, nel giro di qualche giorno, baracche e rete sociale di sopravvivenza. Chi ha ordinato lo sgombero lo sa bene, i braccianti che ripopoleranno Boreano sono fondamentali per la raccolta dei pomodori dell’alta Lucania, sarebbe impensabile dare in mano la raccolta ad altri. La paga è talmente bassa, 30/40 euro al giorno in nero, e il lavoro così sfiancante che solo chi si trova in condizioni drammatiche può accettare simile sfruttamento. I braccianti africani sono oggi l’ultimo anello di una catena che vede il generale arricchimento della Grande Distribuzione Organizzata (su tutti la decantata Coop) e il progressivo impoverimento degli agricoltori e dei lavoratori del settore. L’agricoltura italiana serve a fare business, in un mercato sempre più competitivo e globalizzato, sulla pelle dei braccianti, schiavi moderni del sistema. A nulla valgono i proclami e gli accordi del ministro Martina che sembra essere piuttosto il trat d’union con i grandi produttori e le ricche catene di distribuzione. Pensare di fermare il caporalato attraverso qualche leggina approvata dal Parlamento è come sostenere la guerra agli scafisti del ministro Alfano. La filiera agricola si potrebbe “ripulire” iniziando ad inserire il costo del prodotto alla fonte (in pratica il guadagno del coltivatore) così da non pagare le arance 4 euro al chilo con un introito per l’agricoltore di 10 centesimi; ma il ministro dell’Agricoltura sa benissimo che questo andrebbe a ledere gli interessi della Grande Distribuzione, interessi forti e ben protetti.

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E allora sgomberiamo i ghetti, ridiamo, per qualche giorno, una patina di legalità al degrado, ripuliamo la coscienza per un po’ sapendo che “gli africani” sono fondamentali per mandare avanti l’intera filiera ma che possono essere usati come capro espiatorio politico-elettorale. Titoloni che parlano di “bonifica e messa in sicurezza dell’area di Boreano”, di “coraggioso intervento del sindaco di Venosa” e di “annosa questione finalmente risolta”. Non una parola sulle drammatiche condizioni in cui vivevano, e vivono, centinaia di migranti sfruttati e controllati dalla criminalità, invisibili che a Boreano hanno trovato voce attraverso Francesco Castelgrande, delegato USB, che, il giorno dello sgombero, unico italiano presente in difesa dei lavoratori, ha subito intimidazioni e provocazioni dalle forze dell’ordine ma che, coraggiosamente, ha resistito fino a sera.
Lo sgombero del ghetto lucano ha messo per strada centinaia di braccianti senza peraltro risolvere la questione abitativa e del trasporto nei campi (alimentando così il sistema del caporalato). Un po’ come mettere la polvere sotto il tappeto!
Stanchi e troppe volte usati, i braccianti, però non si arrendono e hanno in cantiere una manifestazione proprio sotto i palazzi della Regione Basilicata sorda, almeno finora, alle richieste di diritti e dignità sollevate dai braccianti.

  1. Si veda ad esempio il rapporto 2016 di #Filiera Sporca – La raccolta dei rifugiati. Trasparenza di filiera e responsabilità sociale delle aziende

Matteo De Checchi

Insegnante, attivo nella città di Bolzano con Bozen solidale e lo Spazio Autogestito 77. Autore di reportage sui ghetti del sud Italia.
Membro della redazione di Melting Pot Europa.