Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Lampedusa – Grave ed imminente rischio di estese violazioni dei diritti fondamentali dei migranti e rifugiati

Un appello alle istituzioni da parte di numerose associazioni

Amnesty International Italia, Arci, Asgi, Casa dei diritti sociali-Focusa, Centro Astalli, Cir, Comunità di S.Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Medici Senza Frontiere, Movimento migranti e rifugiati di Caserta, Save The Children, Senzaconfine

Le associazioni ed enti di tutela firmatari esprimono la propria vivissima preoccupazione in merito ad alcune scelte del Governo italiano relative alla complessiva gestione degli arrivi di cittadini stranieri a Lampedusa.

Contrariamente a quanto è avvenuto dal febbraio 2006, risulta infatti che il Ministro dell’Interno abbia sospeso ogni trasferimento dei cittadini stranieri dal Centro di primo soccorso e accoglienza (CSPA) di Lampedusa verso altre strutture situate nel territorio nazionale. Lo stesso Ministro dell’Interno ha altresì disposto, con proprio decreto del 14 gennaio 2008, di procedere con immediatezza, in via d’emergenza, al trasferimento della Commissione territoriale per il riconoscimento del diritto d’asilo di Trapani (competente territorialmente) sull’isola, in modo che tutte le domande di asilo presentate a Lampedusa siano esaminate con sollecitudine dalla stessa Commissione di Trapani, mantenendo nel frattempo i richiedenti nel centro di prima accoglienza e soccorso.

In sostanza, buona parte dei cittadini stranieri giunti a Lampedusa da fine dicembre sono al momento trattenuti presso il CSPA (il 21 gennaio 2009 risultavano essere oltre 1800), ubicato presso una struttura attiva dal 1 agosto 2007 con 381 posti disponibili, estensibili, all’occorrenza, a 804.
Si evidenziano le problematiche di seguito indicate.

1. Condizioni allarmanti
Come si è detto, la situazione attuale vede la presenza di oltre 1800 persone in un centro la cui massima capienza è di 804 posti. E’ lampante come questo comporti problemi seri di sovraffollamento, condizioni igienico-sanitarie preoccupanti e un’allarmante promiscuità tra uomini, donne e bambini.

2. La natura giuridica del centro di Lampedusa ed il rischio di detenzioni arbitrarie
La scelta di bloccare ogni trasferimento e di concentrare tutti i migranti presso il CSPA di Lampedusa opera una completa inversione rispetto al funzionamento e alla natura stessa del CSPA, che sarebbe invece quella di attuare un servizio di prima accoglienza e soccorso delle persone salvate in mare, con successivo quasi immediato trasferimento presso altri centri di accoglienza situati in diverse località italiane. La ratio di tale ragionevole scelta attuata negli ultimi anni sino a questo repentino cambiamento di prassi, deriva sia da esigenze logistiche e sanitarie (evitare improprie situazioni di concentrazione di persone nei ristretti spazi a disposizione sull’isola), sia dall’esigenza di procedere alla definizione della posizione giuridica degli stranieri e all’assunzione dei relativi provvedimenti presso altre strutture, la cui natura giuridica e le cui funzioni siano chiaramente definite dalle norme vigenti.

E’ noto, infatti, come la normativa vigente che disciplina gli interventi di soccorso, assistenza e prima accoglienza degli stranieri appaia carente e lacunosa e si presti a interpretazioni difformi e applicazioni discrezionali. In particolare, non risultano definiti i diritti dello straniero destinatario delle misure di assistenza nei cosiddetti centri di prima accoglienza, tuttora disciplinati esclusivamente dalla L.563/95 (detta Legge Puglia). Numerosi rapporti hanno evidenziato come sovente gli stranieri vengano di fatto trattenuti presso gli attuali centri di prima accoglienza per periodi di tempo considerevolmente lunghi, variabili da alcuni giorni fino a settimane o mesi, senza che la normativa definisca con chiarezza e tassatività i diritti degli stranieri presenti e senza che tale situazione di effettiva limitazione della libertà personale sia sottoposta ad alcun controllo giurisdizionale. Va sottolineato che tale situazione, non conforme alla legislazione italiana in materia di provvedimenti limitativi della libertà e che potrebbe altresì configurarsi come una violazione dell’art. 5 comma 1 della Convenzione Europea dei diritti Umani (CEDU), è stata recentemente oggetto delle vive preoccupazioni espresse dal Gruppo sulla detenzione arbitraria istituito in seno allo UN Human Rights Council che ha altresì ricordato l’inadempienza del Governo italiani nel porre rimedio a una situazione da tempo evidenziata(1).

L’utilizzo del CSPA di Lampedusa come struttura avente unicamente funzioni di primo soccorso e transito non ha fornito una risposta adeguata alle carenze legislative sopra evidenziate. Tuttavia, nella prospettiva sopra descritta, va sottolineato che la destinazione di questo centro, dal 2006 in poi, a luogo essenzialmente di soccorso è apparsa come un segnale della consapevolezza delle autorità italiane rispetto alla necessità di garantire il rispetto dei principi fondamentali dei cittadini stranieri, ubicando altrove nel territorio nazionale l’espletamento delle diverse procedure amministrative. Operare, ora, la scelta opposta, ovvero rendere il centro di Lampedusa un luogo di trattenimento, suscita gravissima preoccupazione sotto il profilo delle possibili violazioni delle norme di diritto interno ed internazionale sulla legittimità e non arbitrarietà della detenzione.

E’ necessario perciò chiedersi a quale titolo, i migranti giunti a Lampedusa, possano permanere nel centro, esaurite le mere necessità di primo soccorso e di organizzazione dei trasferimenti. E’ inoltre essenziale chiarire quali siano le procedure attuate e la loro conseguente legittimità, in ordine all’eventuale assunzione ed esecuzione di provvedimenti di espulsione o respingimento.

Si evidenzia infine che la normativa vigente in materia di esecuzione dei provvedimenti di espulsione e di respingimento disciplina l’utilizzo di apposite strutture presso le quali lo straniero possa essere trattenuto, tipizzando le ipotesi tassative nelle quali il trattenimento può avere luogo(2) e prevedendo altresì una convalida della misura da parte dell’autorità giudiziaria. Appare evidente come le sopraindicate procedure non possano essere in alcun modo attuate presso un centro di primo soccorso ed accoglienza come è quello di Lampedusa.

3. L’effettività dell’accesso alla giurisdizione
Un’attenzione particolare va posta all’ipotesi dell’applicazione del cosiddetto “respingimento differito”, previsto dall’art. 10 terzo comma del D.Lgs 286/98. Esso, al pari del provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera, costituisce un provvedimento limitativo della libertà personale, che ricade nell’area di applicazione dell’art. 13 della Costituzione, e che come tale non può sottrarsi al controllo dell’autorità giudiziaria(3). Si osserva al riguardo che la riserva di giurisdizione prevista dall’art. 13 della Costituzione non prevede eccezioni di sorta e pertanto si deve ritenere applicabile anche nelle cosiddette situazioni di emergenza.

Si deve inoltre rilevare come la possibilità di un ricorso giurisdizionale contro il respingimento “differito” disposto dal Questore sia ipotesi alquanto teorica e sostanzialmente priva di effettività. Il provvedimento formale emesso dal Questore va impugnato davanti al Tribunale Amministrativo Regionale (nel caso specifico di Lampedusa, a Palermo); questo risulta ancora più difficile, se non del tutto impossibile, quando le misure di allontanamento forzato sono disposte da autorità amministrative in luoghi, come appunto Lampedusa, ben lontani dalle sedi presso le quali si potrebbero impugnare i provvedimenti di allontanamento forzato (basti pensare alla difficoltà di sottoscrivere una procura per l’avvocato di fiducia ed all’assenza di difensori di ufficio, oltre che alla mancanza di una sede giudiziaria distaccata competente operante sull’isola).

Le persone entrate o soggiornanti irregolarmente – tra queste anche i migranti giunti irregolarmente a Lampedusa, quale che sia la loro età – a partire dal momento del loro ingresso in Italia, devono avere possibilità adeguate di presentare un ricorso davanti ad un’autorità giudiziaria avverso il provvedimento di rimpatrio. Si rammenta quanto disposto dall’art. 6 della CEDU e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che garantiscono il diritto ad un rimedio efficace e ad un giusto processo, oltre naturalmente al principio del controllo giudiziario sulla detenzione, intesa come qualsiasi limitazione della libertà personale, in conformità dell’art. 5 della CEDU.
Diversi fattori concorrono quindi a delineare una situazione che de facto si potrebbe determinare a Lampedusa, ovvero quella di una sorta di zona extraterritoriale, dove al fine di contrastare l’immigrazione irregolare sia possibile “sospendere” provvisoriamente l’applicazione delle più importanti garanzie derivanti dal diritto interno ed internazionale. Anche da solo il totale isolamento geografico dell’isola di Lampedusa, la ristrettezza del territorio, l’assenza di sedi giudiziarie competenti rende l’accesso alla giurisdizione da parte dei cittadini stranieri di fatto impossibile anche nell’ipotesi, più favorevole, nella quale sia loro consentita l’uscita dal centro di prima accoglienza.

Va ricordato che la stessa Corte Europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato quei paesi che avevano istituito negli aeroporti delle “zone di transito” specificamente destinate all’allontanamento dei migranti(4). Per la Corte il diritto incontestabile per gli Stati di sorvegliare l’ingresso ed il soggiorno di stranieri nel proprio territorio deve infatti esercitarsi in conformità della Convenzione e dunque senza violare alcuno dei principi affermati nella stessa CEDU.

4. L’incertezza delle procedure di identificazione
L’assunzione, nel centro di Lampedusa, di provvedimenti di respingimento ed espulsione da eseguirsi con immediatezza pone rilevanti interrogativi anche sulle procedure di identificazione dei migranti e sulla certezza delle attribuzioni delle rispettive identità e nazionalità(5). Si ritiene infatti che le autorità italiane dovrebbero fornire maggiori indicazioni su quali siano le procedure già adottate o che si intendono adottare a Lampedusa per l’identificazione certa dei migranti, spesso realizzata nell’arco di poche ore, considerata la generale assenza, tra i migranti, di documenti identificativi.

5. La condizione dei minori stranieri non accompagnati
In più occasioni il Governo italiano ha positivamente fornito rassicurazioni sull’intenzione di rispettare scrupolosamente il divieto di espulsione dei minori stranieri non accompagnati sancito dall’art. 19 comma 2 del D.Lgs 286/98, nonché di attuare le necessarie procedure finalizzate all’accertamento dell’età attraverso esami diagnostici non invasivi. In presenza di minori non accompagnati si dovrebbe provvedere ad un loro immediato trasferimento da Lampedusa verso apposite strutture di accoglienza (comunità/centri SPRAR per minori), non solo in Sicilia ma sull’intero territorio nazionale. La permanenza nel CSPA dovrebbe essere limitata al tempo strettamente necessario per il trasferimento presso tali strutture.

Considerato che il numero degli stranieri che giungono a Lampedusa che si dichiarano minori è molto elevato e che, dall’altro, la fascia di età più frequente dei minori che arrivano è quella compresa tra i 15 e i 18 anni, l’affidabilità delle prove diagnostiche che vengono disposte assume una valenza di particolare importanza. Nonostante l’arrivo dei minori nell’isola di Lampedusa avvenga da anni, da sempre risulta effettuato il solo esame radiologico del polso presso il locale poliambulatorio sanitario ed il referto non riporta nessuna indicazione sull’esistenza di un range di errore. L’inerzia con la quale tale procedura prosegua da molto tempo6 sorprende vivamente poiché, come è noto, in base alla letteratura scientifica internazionale, l’accertamento dell’età attraverso l’esame radiologico del polso presenta un range sensibile, che andrebbe indicato. E’ pertanto necessario che il margine di errore venga sempre indicato nel certificato medico; la minore età deve essere sempre presunta qualora, anche dopo la perizia di accertamento, permangano dubbi circa l’età del minore (ogni volta che il suddetto range di valori comprenda un’età inferiore ai diciotto anni). Si richiama quanto disposto dall’art. 19 del D.lgs 25/08 che stabilisce delle garanzie in ordine alla condizione dei minori stranieri non accompagnati che presentino domande di asilo. Al secondo comma lo stesso articolo dispone che «se gli accertamenti non consentono l’esatta determinazione dell’età si applicano le disposizioni del presente articolo», ovvero il soggetto va considerato minore. Tale fondamentale principio, anche se previsto nella normativa relativa alle procedure in materia di domande di asilo non può non risultare applicabile alla più generale situazione nella quale si debba accertare l’età di un minore straniero non accompagnato, come indicato anche dalla circolare del Ministero dell’Interno, Prot. 17272/7 del 9 luglio 2007 in merito all’identificazione dei migranti minorenni non accompagnati(7). Per le ragioni sopra indicate a Lampedusa le citate norme vengono totalmente eluse ed assai concreto è il rischio che un imprecisato numero di minori venga trattato quale maggiorenne anche in relazione alle misure di allontanamento, ossia espulso senza alcuna garanzia.

I (presunti) minori che, dopo il solo esame radiologico, sono stati ritenuti di maggiore età, vengono immediatamente inviati in un centro di identificazione ed espulsione (in genere il CIE di Caltanissetta) al fine di procedere all’espulsione o ancora direttamente rimpatriati verso il paese di origine o provenienza. Si ignora se nel dare attuazione alle procedure di identificazione attuate nei loro confronti vi sia, ove possibile, il coinvolgimento delle Autorità Consolari e con quale tempistica questo avvenga. Si ignora inoltre quali effettive possibilità di ricorso siano state riconosciute ai presunti minori dichiarati maggiorenni in seguito all’esame radiologico avverso tali provvedimenti.

6. Il divieto di espulsioni collettive
Si ritiene che, in ragione delle gravi problematiche sopra evidenziate sussista a Lampedusa, al momento, un serio rischio di adozione da parte delle Autorità di misure di rimpatrio collettivo. L’art. 4 del Protocollo Addizionale n. 4 alla Convenzione Europea dei diritti umani vieta le espulsioni collettive di stranieri, che, in base alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani, si verificano tutte le volte in cui non viene presa in considerazione la situazione individuale della persona sottoposta alla misura di allontanamento forzato, a maggior ragione in tutti i casi nei quali non si provveda ad una identificazione certa.

Lo stesso art. 19 della Carta Europea dei diritti umani vieta espressamente le espulsioni collettive e una giurisprudenza costante della Corte Europea dei diritti umani si esprime nel medesimo senso. Dunque, non solo occorre che l’espulsione sia convalidata dall’autorità giudiziaria sulla base di elementi prettamente individuali, ma si tiene in considerazione anche il contesto in cui tale espulsione viene attuata.Il divieto di espulsione collettiva di cui all`art. 4 del IV protocollo addizionale alla CEDU comprende “ quelle espulsioni adottate nei riguardi di un gruppo di stranieri senza che per ciascuno di essi venga svolto esame ragionevole ed obiettivo delle ragioni e delle difese di ciascuno innanzi all`Autorità competente”.

La Corte ha inoltre considerato come espulsioni collettive una serie di provvedimenti individuali contro persone della stessa nazionalità che si trovavano nella stessa situazione di soggiorno irregolare(8).

Si rammenta che nel 2005 una Risoluzione del Parlamento Europeo ha condannato le espulsioni collettive da Lampedusa verso la Libia. Nel 2004 e nel 2005, l’Italia altresì non ha mai risposto alla richiesta della Corte Europea dei diritti umani, che voleva acquisire copia dei provvedimenti di allontanamento forzato da Lampedusa succedutisi a partire dall’ottobre del 2004.

7. La tutela del diritto d’asilobr>
Ad una prima lettura la scelta di operare, in via transitoria, un trasferimento di operatività a Lampedusa della Commissione territoriale per il riconoscimento del diritto d’asilo di Trapani potrebbe apparire non dissimile da analoghi trasferimenti operativi delle commissioni territoriali, avvenuti anche recentemente. Tuttavia tale scelta appare di diversa natura e gravità, in considerazione del contesto complessivo nel quale si va ad attuare.

La situazione attuale infatti desta vivissima preoccupazione sia in relazione alle misure di accoglienza che rispetto alla tutela giurisdizionale avverso le decisioni negative assunte dalla Commissione territoriale di Trapani.

In primo luogo va richiamata la dovuta attenzione al fatto che il trattenimento dei richiedenti asilo nel centro di primo soccorso ed accoglienza di Lampedusa successivamente alla formalizzazione della domanda di asilo e nelle more dell’esame amministrativo della stessa, si pone in evidente contrasto con la normativa vigente in materia di accoglienza dei richiedenti asilo, disciplinata dal D.Lgs 140/05 e dal recente D.Lgs 25/08. L’accoglienza dei richiedenti asilo, oltre alle ipotesi di invio presso la rete del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, di cui all’art. 1 sexies dell’art. 1 della L.39/90 come modificato dalla L. 189/02, può avvenire, nelle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 20 comma 2 lettere a, b e c del D.Lgs 25/08, solamente presso i CARA (centri di accoglienza per richiedenti asilo), ovvero, nelle ipotesi disciplinate dall’art. 21 del citato D.Lgs 25/08 nei CIE (centri di identificazione ed espulsione). Non risulta pertanto possibile utilizzare il CSPA di Lampedusa quale centro di accoglienza per richiedenti asilo poiché esso non presenta i requisiti previsti dalla legge e non risulta fornita alcuna garanzia sul fatto che vengano assicurati, ai richiedenti asilo, anche in via emergenziale e temporanea, l’erogazione dei necessari servizi di supporto, consulenza ed orientamento, con particolare attenzione alle situazioni maggiormente vulnerabili.

Va, inoltre, richiamata l’attenzione sulle circostanze soggettive delle persone che, appena arrivate dopo un viaggio spesso molto traumatico, vengono da subito sottoposte ad una procedura il cui esito può determinare il loro futuro e la loro sicurezza personale; e questo accade nello stesso ambiente fisico nel quale hanno avuto il primo soccorso. Chi arriva in questa situazione non può peraltro beneficiare di alcun servizio di assistenza anche psicologica in relazione ai traum subiti. Questo colpisce in particolare le persone più vulnerabili. L’insieme di queste circostante produce inoltre uno stress che non permette all’interessato di affrontare un colloquio con la commissione in modo sereno..

In relazione, invece, alla tutela giurisdizionale va prioritariamente ricordato che l’art. 39 della Direttiva 2005/85/CE prevede al comma 1 che “Il richiedente asilo ha diritto ad un mezzo di impugnazione efficace dinnanzi ad un giudice..” mentre l’art. 13 della CEDU sancisce che “ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’autorità nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”. Nel caso del diritto d’asilo, la nozione di effettività comporta un divieto di esporre il richiedente al rischio della lamentata persecuzione o al rischio di subire un danno grave fino a quando non è stata assunta dall’autorità giudiziaria una decisione nel merito(9).

La normativa italiana vigente prevede (D.Lgs 25/08, art. 35) che entro 15 giorni (o, in altri casi, entro 30 giorni) dalla notifica del provvedimento con il quale la Commissione territoriale rigetta l’istanza di asilo, l’interessato, a pena di decadenza dall’azione, debba presentare ricorso presso il Tribunale ordinario in composizione monocratica del capoluogo di distretto di corte d’appello in cui ha sede la commissione territoriale. Nel caso di esame delle domanda compiuta direttamente a Lampedusa permane la competenza del Tribunale di Palermo, dal momento che la Commissione territoriale di Trapani si trova ad operare a Lampedusa solo in via provvisoria.

A questo proposito, appare molto grave l’impedimento de facto nell’accesso alla giurisdizione per il ricorso contro il diniego dello status di rifugiato o della protezione umanitaria. Rispetto a quanto disposto dall’art. 32 comma 4 del D.Lgs 25/08, che consente un libero accesso alla giurisdizione, appare inverosimile ipotizzare che decine o centinaia di richiedenti asilo, totalmente privi di mezzi, ma liberi di circolare per l’isola di Lampedusa, possano, nel brevissimo lasso di tempo a loro disposizione, materialmente adire alla giurisdizione contattando legali disponibili, privatamente o per il tramite di enti di tutela, a tutelare le singole posizioni individuali e depositare in tempo utile i ricorsi presso il Tribunale di Palermo, città situata a diverse centinaia di kilometri di distanza, raggiungibile solo dopo un lungo viaggio in nave ed un successivo viaggio via terra. Questa situazione di fatto si pone in chiaro contrasto con le norme citate sul diritto a un rimedio giudiziario effettivo.

8. Conclusioni
In ragione della grave situazione che si sta determinando nell’isola di Lampedusa e dei seri e concreti rischi di estese violazioni dei diritti fondamentali dei migranti ed in particolare dei richiedenti asilo, dei minori e delle persone maggiormente vulnerabili, le sottoscritte associazioni chiedono al Ministero dell’Interno e alle altre istituzioni competenti di fare quanto in proprio potere per:

– sospendere le decisioni assunte, ripristinando la situazione che prevede l’utilizzo della struttura di Lampedusa con funzioni di centro di prima accoglienza e soccorso, e provvedendo al rapido trasferimento degli stranieri che giungono a Lampedusa presso altri centri, nel territorio nazionale, al fine dell’esame delle posizioni giuridiche individuali;
– evitare di sottoporre migranti e richiedenti asilo a ogni trattamento che potrebbe configurarsi come detenzione arbitraria;
– garantire l’accesso a un rimedio giudiziario effettivo ai migranti colpiti da respingimento o espulsione;
– garantire l’assistenza legale ai richiedenti asilo per la presentazione della domanda e durante la procedura di asilo;
– garantire l’accesso a un rimedio giudiziario effettivo ai richiedenti che ricevono un diniego della propria domanda di protezione internazionale;
– evitare ogni procedura di identificazione che, per sommarietà o rapidità, potrebbe condurre a espulsioni collettive o comunque illegittime;
– evitare l’espulsione di individui identificati come maggiorenni in virtù di metodi medico-legali che non danno risultati certi, tra cui la radiografia del polso; rinviare la determinazione dell’età a un momento successivo e affidarla a esami diagnostici differenziati; garantire che i minori non accompagnati non siano trattenuti a Lampedusa oltre il tempo strettamente necessario al loro trasferimento e che questo venga effettuato esclusivamente verso apposite strutture di accoglienza (comunità/centri SPRAR per minori) presenti sull’intero territorio nazionale;
– garantire l’identificazione certa del migrante (anche mediante la collaborazione delle Autorità Consolari, ove possibile) prima di procedere al respingimento;
– consentire l’accesso al centro alle organizzazioni che ne facciano richiesta, al fine di assicurare un monitoraggio della società civile sulla situazione.

Note:
(1) – The UN experts, however, highlighted “significant human rights concerns with regard to the centres in which migrants and asylum seekers are kept”, in particular with regard to the legal basis for the detention of those deprived of their freedom. The Working Group noted that in 2006 the Ministry of Interior had established a commission to study the matter, commonly referred to as the “De Mistura Commission” after the UN official appointed to head it. Its findings and recommendations remain to a large extent to be implemented.

(2) – Quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perché occorre procedere al soccorso dello straniero, accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea e assistenza più vicino (CPTA, ridenominati CIE a seguito delle modifiche introdotte con la L. n. 186/2008, conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 2 ottobre 2008, n. 151) tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri per la solidarietà sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (D.Lgs 286/98, art. 14 comma 1)

(3) – Vedasi Corte Costituzionale – sentenza n.222 del 2004

(4) – A tal proposito è interessante richiamare la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel caso Amur/Francia del 1996

(5) – Vedasi ad esempio l’operazione di identificazione e rimpatrio avvenuta tra il 30 ed il 31 dicembre 2008 di 35 presunti cittadini egiziani

(6) – Anche su tale tema specifiche raccomandazioni, anche riferite al caso di Lampedusa, furono oggetto della relazione della cosiddetta Commissione De Mistura.

(7) – “La minore età deve essere presunta qualora la perizia di accertamento indichi un margine di errore. Si soggiunge, infine, che fintantoché non siano disponibili i risultati degli accertamenti in argomento, all’immigrato dovranno essere
comunque applicate le disposizioni relative alla protezione dei minori”

(8) – Vedasi ad esempio il caso Conka/Belgio con una sentenza emessa il 5 maggio 2002. La Corte si è espressa su questa materia con grande nettezza: “The Court reiterates its case-law whereby collective expulsion, within the meaning of Article 4 of Protocol No. 4, is to be understood as any measure compelling aliens, as a group, to leave a country, except where such a measure is taken on the basis of a reasonable and objective examination of the particular case of each individual alien of the group. That does not mean, however, that where the latter condition is satisfied the background to the execution of the expulsion orders plays no further role in determining whether there has been compliance with Article 4 of Protocol No. 4″. …. ” in those circumstances and in view of the large number of persons of the same origin who suffered the same fate as the applicants, the Court considers that the procedure followed does not enable it to eliminate all doubt that the expulsion might have been collective”.

(9) – La giurisprudenza della Corte Europea sui diritti dell’Uomo di Strasburgo relativamente all’applicazione dell’art. 3 appare da tempo chiaramente orientata a ritenere che la nozione di effettività prevista dall’art. 13 debba trovare piena applicazione laddove, nel procedimento, sia ravvisabile la possibile violazione dell’art. 3 della Convenzione stessa, ovvero il ricorrente sia sottoposto al serio rischio di subire, in caso di rientro nel suo Paese, la tortura o un trattamento disumano e degradante. Tra i precedenti giurisprudenziali della Corte in questa materia, ha assunto particolare importanza, per la chiarezza con la quale la Corte si è espressa “l’ affaire Gebremedhin [Gaberamadhien] c. France (Requête no 25389/05).

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