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Lampedusa – Tornano in libertà i detenuti del Cie. E c’è chi lascia l’Italia

di Gabriele Del Grande

Tornano in libertà i 700 emigrati tunisini e marocchini detenuti da fine dicembre nel Centro di identificazione e espulsione di Lampedusa. Il decreto 11/2009 che ne aveva autorizzato il trattenimento oltre i 60 giorni previsti per legge (fino a un massimo di sei mesi) scade infatti il 26 aprile e la legge di conversione approvata dal Parlamento ha bocciato la norma che prolungava i termini di detenzione. I trasferimenti sono iniziati già da mercoledì 22 aprile con 121 persone portate in aereo a Roma e a Crotone e da lì rilasciati con un foglio di via. Il 23 aprile altre 140 persone sono partite da Lampedusa dirette ai centri di Gorizia, Milano e Trapani. E il 24 sono partiti ulteriori voli.

Quanto accaduto mostra l’inutilità del prolungamento della detenzione nei Cie. Quattro mesi di detenzione non sono stati sufficienti per identificare e rimpatriare queste persone. Mentre soltanto nella settimana passata sono stati rimpatriati 157 cittadini egiziani, nigeriani e algerini recentemente sbarcati a Lampedusa. Evidentemente il problema è la mancata collaborazione dei Paesi di origine e non la durata del trattenimento. Intanto però quanto è costato alle casse dello Stato il trattenimento di 700 cittadini stranieri per quattro mesi nel Cie di Lampedusa? E quanto è costato in termini di danni morali a ognuno dei detenuti, costretti a vivere in condizioni indegne, e alcuni addirittura pestati dalla polizia la giornata dell’incendio, il 18 febbraio? E quanto costerà adesso all’Italia – in termini di mancate entrate tributarie – il lavoro nero cui saranno obbligati parte dei migranti rimessi in libertà? O meglio, rimessi in clandestinità… Ad ogni modo molti a quest’ora avranno già lasciato l’Italia.

Bruxelles, Parigi, Madrid. Davvero Lampedusa è diventata la porta d’Europa. E l’Italia il corridoio d’ingresso dell’area di Shengen. Non tutte le persone detenute nel Centro di identificazione e espulsione di Lampedusa erano dirette nel nostro paese. B. è uno di loro. Tunisino, classe 1985, in Francia ha la moglie e una bambina di un anno e quattro mesi. Viveva in Francia dal 2003, era arrivato con un visto turistico. Nonostante siano regolarmente sposati, nel 2007 è stato espulso. La traversata del Canale di Sicilia era l’unico modo – per quanto rischioso – per ricongiungersi con la moglie, fra l’altro figlia di un italiano, tanto per rinfrescarci la memoria sulla nostra storia di emigranti. Il suo non è un caso isolato. A. in Francia c’è nato. E in Francia ha ancora i due genitori e i due fratelli maggiori. Era tornato in Tunisia nel 1991, il padre non voleva che crescesse nelle banlieu parigine, esposto ai pericoli della droga e della criminalità. Prima di imbarcarsi aveva provato con una pre-iscrizione a un corso universitario, attraverso il Centro culturale di Tunisi. Ma la risposta tardava ad arrivare. E allora ha preso la via del mare. Anche C., marocchino, 23 anni, è partito per proseguire i suoi studi. Vuole laurearsi in Fisica. La sua meta è la Spagna. I suoi due zii vivono là e sono disposti a aiutarlo per inserirsi. Ma da quattro mesi è bloccato sull’isola. Sul suo stesso barcone viaggiava anche D., del Marocco, 29 anni. Per lui l’Europa ha il volto del Belgio. Con il francese sarà più facile inserirsi. La prima scelta era la Francia, perché metà della sua famiglia vive tra Parigi e Marsiglia, ma lo spaventa il giro di vite sull’immigrazione voluto dal presidente Sarkozy.