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da Il manifesto del 14 luglio 2008

Lampedusa, l’ incognita blu

L'isola avamposto dell'Europa nel Mediterraneo, meta fin dai tempi antichi di pirati e commercianti, continua ad attirare turisti e africani in fuga da guerra e fame

di Giuliana Sgrena

O’scià, respiro. Ma è anche un saluto, un augurio. È la parola magica di Lampedusa. Di cui si comprende la magia e l’umanità davanti alla «Porta di Lampedusa – Porta d’Europa», un monumento alla memoria dei migranti deceduti in mare durante l’avventurosa traversata. L’opera di Mimmo Paladino, inaugurata il 28 giugno scorso, è una grande arcata alta quasi cinque metri e larga tre, installata nella punta più meridionale dell’isola che è anche il punto più a sud dell’Europa che si inabissa nel Mediterraneo.
Attraverso la porta si vede il blu, in questo caso intenso e profondo del mare, che ben simboleggia tutte le incognite, i pericoli, le insidie che devono affrontare i migranti in cerca di un futuro migliore. E che non sempre riescono a superare. E anche quando riescono ad arrivare sani e salvi non è detto che avranno un futuro su questa costa del Mediterraneo. A ricordarglielo con un gesto provocatorio, razzista e di pessimo gusto è stata proprio la vicesindaco di Lampedusa (nonostante il comune abbia sponsorizzato l’opera di Paladino), la senatrice leghista Angela Maraventano che ha depositato accanto alla porta dell’artista campano una finestra in alluminio per ostentare l’atteggiamento del suo partito e del governo: chi entrerà dalla porta uscirà dalla finestra. Ora il telaio di alluminio è abbandonato all’entrata di un fortino che doveva proteggere la costa nelle guerre passate e sul quale sventola la bandiera italiana e quella europea. Un gesto quello della senatrice che dimostra che c’è ancora chi coltiva l’odio e lo scontro nei confronti dei popoli che vivono sull’altra sponda del Mediterraneo, alimentato anche dallo sciopero della fame contro il leader libico Gheddafi di Angela Maraventano, durato ben sei ore, fino alla rassicurante telefonata di Maroni, che non le hanno fatto perdere nemmeno un pasto!
Tombe senza nome
Eppure la «porta d’Europa» è diventata meta di pellegrinaggio o almeno un bella cornice per una foto ricordo di Lampedusa. Quando si legge la targa che ricorda i migranti deceduti e dispersi in mare è come se improvvisamente la costa dell’Africa del nord così vicina (113 chilometri) e alla quale la stessa Lampedusa appartiene geologicamente, si allontanasse improvvisamente. Sulla porta, realizzata in ceramica refrattaria, gli oggetti della quotidianità: scarpe, cocci di piatti, mani, cappelli, tegole, su cui si può cuocere il pesce e filo spinato. Infine numeri.
Quanti sono i corpi inghiottiti da questo mare? Non si saprà mai. Molti di quei corpi senza nome sono finiti in fondo al mare altri sono stati sepolti nel cimitero locale. Le loro tombe si distinguono in un camposanto fatto di tombe molto particolari, costruite tutte in verticale, e ben curate. I cadaveri dei migranti sono stati invece accumulati in fosse comuni e sopra la terra coperta di erbacce sono state piantate delle croci di legno, non importa se il loro dio è diverso dal nostro e non usano le croci. Un dio ce l’avranno pure! Ma non un nome, infatti sopra le croci ci sono solo dei numeri. E di vittime senza nome ce ne saranno altre, al cimitero di Lampedusa ci sono già altre tombe numerate pronte per essere usate in futuro.
Purtroppo è una facile previsione: non tutti ce la faranno tra quelli che ogni notte prendono il largo dalla Libia sfidando la traversata su carrette del mare. E che siano carrette non c’è dubbio. Un paio sono ancora attraccate al porto piene di salvagente accanto alle vedette della finanza e della guardia costiera, alcune sono accatastate al cimitero delle barche insieme a quelle dismesse dai lampedusani, altre infine sono abbandonate in uno spiazzo vicino al porto dove fanno da cornice a un nuovo luna park con giostre e auto-scontro per bambini.
In fondo queste barche che arrivano ogni notte stracolme di uomini, donne e bambini che non hanno più nulla da perdere fanno parte della realtà di Lampedusa. Gli abitanti lo sanno anche se i turisti non li vedono, non li possono vedere. Generalmente i profughi vengono avvistati in mare, poi recuperati e portati a riva, quasi sempre di notte, e poi immediatamente trasferiti al Centro di soccorso e prima accoglienza (di cui parleremo nella prossima puntata) altrettanto invisibile ai più.
L’«altro» invisibile
Mentre le barche sbarcano sulla riva africani in cerca di futuro, decine di aerei sbarcano centinaia di turisti che vengono dal nord a godersi lo splendido mare di Lampedusa. Il mare è lo stesso, forse più africano che europeo, ma non ha lo stesso significato. Vite che si sfiorano ma non si incontrano, forse non si incontreranno mai. Si vive una realtà artificiale. Dove l’unico incontro con l'”altro” avviene sulle spiagge con i venditori ambulanti ormai riconosciuti come lavoratori stagionali, che passano qui il periodo di affluenza turistica e poi ritornano dalla famiglia in Pakistan o nel Maghreb per svernare. Anche nella centralissima via Roma cominciano a essere evidenti le presenze di negozi gestiti dai migranti. Ma questo non sembra turbare minimamente i lampedusani, gente molto accogliente, curiosa, come spesso succede agli abitanti delle isole, tanto più se piccole. Forse anche per questo i lampedusani non sono affatto ostili ai migranti: «la nostra isola al centro del Mediterraneo è sempre stata meta di pirati, avventurieri e commercianti fin dal tempo dei fenici», sostiene Nicola, uno scultore artigianale di tartarughe su pietra calcarea. Ogni mattina va a cercare qualche sasso nell’ex forte trasformato in ovile da un suo amico pastore, uno dei tre che ancora sopravvivono nell’isola e che si incontrano spesso con il loro gregge alla ricerca di pascolo. Nicola sa tutto dell’isola ed è anche, a modo suo, informato sugli eventi del mondo pur vivendo in una tenda piantata su un territorio demaniale che lui ha trasformato in una specie di piantagione. Una occupazione di spazio pubblico che gli ha anche procurato una causa penale vinta grazie ad un amico avvocato che ha dimostrato che il terreno era abbandonato. Ricorda della sua sorpresa quando per la prima volta arrivato in tribunale era stato chiamato «signore». Per ora la sua situazione sembra sanata anche se lui ha mantenuto una forte ostilità nei confronti degli ambientalisti che probabilmente avevano denunciato l’abuso. Comunque non ha perso la sua affabilità e disponibilità nei confronti dei migranti. Lui stesso si considera un po’ migrante: passa i mesi turistici a Lampedusa a scolpire tartarughe che vende a 10 euro e poi va a Malta, dove trascorre anche mesi, e infine si trasferisce sul continente dove è ospite di vari amici del nord Italia conosciuti durante l’estate. Sono molti i lampedusani a usare l’inverno per conoscere il mondo.
Questa apertura rende i lampedusani sensibili alla sorte dei migranti. Si preoccupano della fine che faranno quando lasceranno il centro di accoglienza di Lampedusa: «bisognerebbe dare loro una possibilità di lavoro», sostiene Tonino. Del resto per i lampedusani il Centro di accoglienza è anche una opportunità di lavoro. Una cosa è certa Lampedusa non è un’isola al collasso come scrivono spesso i giornali nazionali.
L’isola, trent’anni fa
E’ quasi inevitabile fare conoscenze a Lampedusa. Adesso come trent’anni fa, quando ero venuta per la prima volta e sull’isola vi erano solo poche case e un unico albero. Adesso il villaggio si è moltiplicato, il porto si è raddoppiato e riempito di pescherecci e barche da diporto, l’acqua che arriva con navi cisterne è sempre disponibile. Allora, mi ricordo, ci lavavamo con un secchio d’acqua a testa preso dall’unico bidone disponibile. Sono cresciuti anche alberi e fiori e nel cuore dell’isola, nella piccola valle che porta verso il centro di accoglienza per i migranti, vi è anche l’unica zona coltivata: ortaggi e viti. Ma vi sono anche fiori e molte palme purtroppo minacciate da un insetto venuto dall’Asia, il punteruolo rosso che non si riesce a debellare. Molte palme sono già trasformate in grossi tronchi malati e fasciati. Allora, trent’anni fa, non c’erano migranti che attraversavano il Mediterraneo, erano i tempi dei «boat people» che fuggivano dal Vietnam comunista e avevano ben altra considerazione a livello internazionale e altra accoglienza dal mondo occidentale. Come se i somali che fuggono oggi alla guerra e al degrado di un paese, cui ha contribuito anche una missione militare guidata dagli Usa, con la partecipazione italiana, che avrebbe dovuto restituire la speranza! (Restore hope), non avessero lo stesso diritto di trovare un lavoro, una casa, una opportunità di vita. E gli afghani, gli iracheni e i palestinesi? Ma i tempi sono cambiati, il comunismo non c’è più tranne a Cuba e quindi gli unici profughi ben accolti sono i cubani.
L’isola è irriconoscibile rispetto ad allora anche se non è venuto meno il fascino di questa terra desertica in pieno Mediterraneo, meta anche delle tartarughe che vengono a deporre le loro uova sulla spiaggia dell’isola dei Conigli, una splendida riserva naturale gestita dal 1996 dalla Lega ambiente. Gli ambientalisti ogni anno da giugno ad agosto fanno i turni di notte in attesa delle tartarughe per mettere al riparo i loro nidi. Ma quest’anno, almeno finora, non si sono viste tartarughe femmine che invece hanno deposto le loro uova sulla spiaggetta vulcanica di Linosa. “Purtroppo non arrivano tutti gli anni, anche se le tartarughe depongono le uova sempre nello stesso posto”, spiega Giusi Nicolini, responsabile della Lega ambiente che da anni si batte con decisione e coraggio per il rispetto dell’ambiente di Lampedusa. Un paesaggio così affascinante scatena gli appetiti degli speculatori che ne vorrebbero fare una meta di club vacanze. Finora molte speculazioni sono state impedite: la spiaggia più bella, quella dell’isola dei Conigli, è frequentabile dai turisti che possono disporre di una zona limitata per ombrelloni (il sole infuoca la finissima sabbia bianca) ma devono scendere rigorosamente a piedi. E soprattutto la baia non può essere invasa dai numerosi natanti che non risparmiano atre calette.
Ma anche all’isola dei Conigli non mancano le eccezioni: una splendida villa nascosta tra la macchia mediterranea, il cui giardino scende quasi a lambire la spiaggia. Era stata costruita da Domenico Modugno quando il piano regolatore permetteva di ricostruire al posto di vecchi ruderi demoliti. Effettivamente sul posto esisteva un vecchio forte ma nessuno ha controllato che la villa edificata mantenesse le dimensioni del rudere demolito e dopo la costruzione, in mancanza di piante catastali o fotografie, la villa è difficilmente contestabile. Anche se la vita non è facile per gli ospiti dello splendido rifugio visto che tutte i rifornimenti devono essere trasportati a spalla. Forse per questo è stata messa in vendita dal nuovo proprietario che l’aveva acquistata dagli eredi di Modugno. Il famoso cantante aveva voluto tornare proprio qui per morire nella sua casa davanti al mare, il 6 agosto del 1994. L’eredità canora è stata invece raccolta da Claudio Baglioni che nell’isola, dove possiede una villa blindata a cala Creta, organizza ogni anno a settembre un festival che fa affluire molti cantanti e personaggi famosi per attirare l’attenzione sul problema dei migranti. Il tutto nel nome di O’scià.
(1 – continua)