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LasciateCIEntrare nei C.P.R. di Bari e Brindisi: online il report delle visite di monitoraggio

Resoconto della visita al C.P.R. di Bari – Palese

Delegazione composta dall’Europarlamentare on. Eleonora Forenza accompagnata da Yasmine Accardo, campagna LasciateCIEntrare.

In data 5 Agosto ci siamo recati, con l’europarlamentare on. Eleonora Forenza nel CPR di Bari Palese. Attualmente è gestito dalla cooperativa “Badia Grande”, che ha acquisito come operatori quelli già precedentemente presenti nel centro, che lavoravano per la cooperativa “Costruiamo Insieme”.

Al momento sono detenute 79 persone in 4 moduli abitativi; in totale i moduli sono 6, ma due risultano inagibili. La capienza totale è di 90 posti. Ogni modulo ha una capienza di 18 posti. Le nazionalità sono diverse tra tunisini, marocchini, nigeriani, albanesi, bosniaci, gambiani, senegalesi, uno srilankese, un etiope e due libici.

Nell’infermeria vi sono due infermieri. Ci viene riferito che un medico è presente ogni giorno, per circa 10 ore. Oggi, domenica 5 agosto, non è presente, vi sono solo due infermieri.

Ci viene permesso di parlare con le persone detenute, senza però poter accedere ai moduli. Parliamo quindi solo attraverso le grate e le caselle di 5 cm per 15 cm sulle porte.

Tra i detenuti presenti ve ne sono due in particolare che non presentano a nostro avviso elementi di “idoneità” per un trattenimento al CPR.

Si tratta di un algerino affetto da diabete insulino-dipendente di tipo 1. Egli infatti richiede, come si evince dalla documentazione in suo possesso (dove viene riportato che deve effettuare), una terapia giornaliera. Questo si trova nel CPR dal 15 luglio e ci fa presente che la prima settimana non ha usufruito del trattamento, poiché il farmaco non era presente nel CPR. Ogni giorno inoltre viene colto da fenomeni di abbassamento di pressione a causa del continuo alterarsi della glicemia, che obbligano gli infermieri a frequenti trattamenti via flebo. Ci fa notare che non riceve alcuna particolare attenzione in merito ad una dieta per la sua patologia e che mangia lo stretto necessario per sopravvivere.

Mentre siamo in visita, siamo testimoni della crisi epilettica di uno dei detenuti, che viene trasportato dai compagni di modulo in infermeria, dove gli viene somministrato farmaco antiepilettico. Il giovane si è morso la lingua e gli esce sangue dalla bocca. Ci viene dichiarato dagli operatori e dai compagni di modulo che tutti i giorni ha una crisi. E’ un giovane tunisino che si trova nel CPR dal 10 giugno c.a. Una volta superata la crisi, riusciamo a parlare con lui e ci sottolinea l’enorme difficoltà che si trova a vivere nel CPR; in particolare lo stesso avrà ulteriore udienza in data 8 agosto 2018: a più riprese ha richiesto cartella clinica, da poter portare con sé in udienza, senza riuscirvi.

Chiediamo di poter visionare ed avere copia delle presenze del centro, con indicazione della provenienza di arresto. Risulta nella maggioranza dei casi l’individuazione in strada; in particolare notiamo sei persone provenienti dalla Nigeria e prelevati in strada a Venezia in data 11/07/2018. I sei cittadini si trovavano in un quartiere della città lagunare, dove sono stati prelevati in seguito ad una retata. Erano tutti all’interno di progetti di accoglienza. In particolare uno di loro al momento della retata si trovava nei termini per l’appello avverso la sentenza di rigetto della domanda di protezione internazionale del Tribunale di Venezia ed è incensurato.

Il secondo quando è stato colpito dal decreto di espulsione, aveva invece appuntamento in questura per reiterare la domanda di protezione internazionale per il 13 settembre. Anche gli altri 4 nigeriani prelevati durante la retata si trovavano ancora nei centri di accoglienza; solo uno di loro è l’unico indagato per spaccio ma non risultano condanne, riferisce inoltre di avere problemi respiratori e dolorabilità al petto, per i quali non si sente sufficientemente assistito.

Tutti i trattenuti con cui parliamo riferiscono di difficoltà di accesso alla procedura di richiesta di protezione internazionale, con tempi anche molto lunghi per accedervi e conseguente difficoltà di colloqui con gli avvocati nominati. Diversi dei trattenuti presenti, benché lì da anche due mesi, non avevano ancora effettuato richiesta di protezione internazionale. Sono inoltre molteplici i ritardi nelle nomine degli avvocati di fiducia.

Alcuni avvocati che abbiamo contattato ci hanno riferito di non ricevere comunicazioni relative alle date di proroga e non sono quindi presenti in udienza, elemento che lede il diritto di difesa dei loro assistiti.

Inoltre, i trattenuti ci riferiscono che dopo aver mangiato vengono assaliti da un senso di ottundimento e spossatezza che non riescono a spiegarsi. Ci chiedono di far verificare che non vi siano sostanze sedative nei cibi. Diversi dei trattenuti incontrati, in ogni modulo, risultano in stato di ottundimento, con occhi lucidi e labbra ingrossate e parlano biascicando e ripetendo a più riprese i racconti.

Incontriamo un giovane gambiano che ha presentato richiesta d’asilo e che ci ha riferito che due settimane prima del nostro ingresso si è presentato nel CPR il console gambiano che ha incontrato anche richiedenti asilo, in palese violazione della tutela di chi chiede protezione internazionale.

Tra i detenuti vi è poi un uomo, arrivato in Italia nel 2015 cui non è stata mai data possibilità di fare richiesta d’asilo, tradotto in carcere subito dopo lo sbarco, riferisce di non aver ben compreso le leggi in Italia, si trova al CPR dal 10/06/2018.

Un tunisino ci presenta un certificato di matrimonio valido alla data 29.06.2018, che non dovrebbe quindi trovarsi nel CPR.

Altri ci riferiscono di convivenza di fatto con cittadine italiane, che stanno provando a far valere con molta difficoltà nel CPR, dato che non riescono ad incontrare l’avvocato nominato.

Un cittadino tunisino si presenta in evidente stato alterato (occhi lucidi, labbra tumefatte, stordimento) ed ha inoltre dolore al braccio sinistro ed al collo. Egli è nel CPR da tre mesi. Ha più volte tentato il suicido tramite impiccagione. Ci riprova mentre siamo lì, dove viene fermato dai compagni di moduli. Il personale reagisce invece con ritardo.

Più volte le persone che incontriamo ci dicono che anche quando hanno malori vengono assistiti con lentezza e bisogna più volte sollecitare intervento.

Durante i colloqui ci viene detto a più riprese che prima delle espulsioni, le persone vengono pestate dalle forze dell’ordine presenti e fortemente sedate; tanto che in un’occasione di rimpatrio, un detenuto è stato fatto scendere perché in stato di semi-incoscienza.

Resoconto della visita al C.P.R. di Brindisi – Restinco

Delegazione composta dall’Europarlamentare on. Eleonora Forenza accompagnata da Yasmine Accardo (Campagna LasciateCIEntrare) e Sami Adoudi (IndieWatch).

Dopo 40 minuti di attesa finalmente riusciamo ad accedere al CPR, dove si trovano detenute 47 persone, per una capienza di 48.

Ci viene mostrata l’infermeria, dove è presente il medico referente che ci mostra i registri delle terapie somministrate, il registro degli stupefacenti (prevalentemente vengono utilizzate benzodiazepine e derivati, due soltanto hanno trattamento con metadone) e quello relativo all’isolamento. In quest’ultimo vengono indicati i giorni di isolamento, con indicazione del codice della persona interessata ed i motivi. Dal registro rileviamo che l’isolamento viene dato solo per motivi di sicurezza. A differenza di quanto riportatoci dai poliziotti presenti, i motivi non sono quindi mai avvenuti per isolamento terapeutico. Negli ultimi due mesi è quasi sempre la stessa persona a trovarsi in isolamento; quasi tutti i giorni. La stessa è stata da poco rimpatriata: corrisponde al numero 667.

Chiediamo se al momento vi siano soggetti vulnerabili o le cui condizioni possano essere considerate incompatibili per il regime di detenzione del centro; ci viene riferito dal medico che non vi sono situazioni simili. Ci spiega che per accedere al CPR viene redatta una certificazione ASL che, tranne pare per un unico caso, non ha mai evidenziato problemi di incompatibilità.

Chiediamo una lista dei presenti e ci viene mostrato un libro con foto e nomi ad uso del centro. Non possiamo ricevere un file, poiché a quest’ora di domenica non vi è accesso all’amministrazione.

Ci chiediamo con quali criteri queste relazioni vengano redatte, trattandosi di elementi fondamentali all’accesso o meno al CPR, e che in questi anni di visita al CPR risultavano sempre positive, benché in non poche occasioni ci siamo trovati di fronte a soggetti vulnerabili. Il sistema continua a mostrare come questa parte della valutazione relativa alla compatibilità sia particolarmente manchevole o del tutto assente; come mostra il prosieguo della visita.

L’infermiere ci dice che in un’unica situazione di vulnerabilità psichiatrica, il trattenuto è stato trasferito al C.A.R.A. Ci sottolinea che frequenti sono gli atti di autolesionismo ed i tentati suicidi, tramite impiccagione.

Chiediamo di poter accedere ai moduli. A questa richiesta veniamo scortate da un cospicuo numero di militari, poliziotti e finanzieri in tenuta antisommossa: parliamo di almeno 7 militari, 4 poliziotti e 4 finanzieri. Il tutto per la “nostra“ sicurezza.

Veniamo quindi fatti accedere e cominciamo a provare a dialogare con i detenuti che siedono in ordine di fronte a noi. Il modulo è chiuso da reti di acciaio da ogni lato. Oltre alla rete le pareti son in plastica, “garantendo” un accumulo di calore impressionante in questi giorni di caldo torrido.

Qui incontriamo la prima persona vulnerabile che dichiara di essere francese. L’uomo mostra segni molto evidenti di psoriasi diffusa in tutto il corpo e vulnerabilità psicologica: ci racconta di essere lì perché vuole salvare la Corsica dalla Francia e restituirla all’Italia. Evita lo sguardo e si isola con frequenza. Parla inglese e francese correntemente ed ha lo sguardo assente. Questa persona per nessun motivo dovrebbe trovarsi in un CPR, ma richiederebbe percorso efficace di riabilitazione psicologica, percorso che non può essere certo all’interno di un centro di detenzione. Il CPR ha uno psicologo che lavora anche nel CARA presente appena all’esterno del CPR. Tutto il personale, anche quello di polizia, si divide tra CPR e CARA. Il CARA ha una presenza di circa 138 persone. Un numero evidentemente eccessivo tra i due centri, perché un unico psicologo possa riuscire a seguire individualmente ogni persona.

Incontriamo poi un giovanissimo tunisino che insieme ad altri tre compagni si trova a Brindisi da 5 mesi. Sono gli ultimi 3 dei tunisini provenienti dall’hotspot di Lampedusa, in seguito all’incendio del 13 marzo, le cui vicende hanno confermato i trattamenti disumani e degradanti come più volte segnalato da Askavusa e Forum di Lampedusa, Indiewatch, Cild ed Asgi nei mesi precedenti 1.

I trasferimenti vennero effettuati in tutta fretta il 10 marzo verso i CPR nella maggior parte dei casi: Torino, Brindisi, Palazzo San Gervasio (Potenza). Dopo un trattenimento illegittimo di oltre 65 giorni nell’hotspot, i tunisini ancora una volta si trovano di fronte ad una gabbia: ennesimo abuso, ennesima violenza ai loro danni. Senz’alcuna istruttoria vengono tutti accusati di incendio doloso, 4 vengono arrestati e portati nel carcere di Agrigento, ma soltanto uno vi resterà perché considerato “colpevole”, gli altri verranno rilasciati. Di quelli portati nei CPR alcuni verranno rilasciati dal CPR di Torino, perché i giudici, vista l’assenza di istruttoria, non convalideranno i trattenimenti. Altri verranno espulsi, altri ancora restano trattenuti nei CPR e vi sono tutt’ora: è quello che succede al CPR di Brindisi e Palazzo San Gervasio.

Mentre i trattenuti di Palazzo e Torino verranno poi tutti rilasciati nel mese di aprile, qui a Brindisi continua lo stato di trattenimento, che appare del tutto illegittimo, non rappresentando i 4 tunisini alcuna divergenza da quanto rilevato per tutti gli altri tunisini del cui gruppo facevano parte.

Mentre stiamo continuando a discorrere con i trattenuti, veniamo invitati a lasciare il modulo: secondo disposizione della Prefettura l’europarlamentare avrebbe dovuto richiedere autorizzazione dalla prefettura, questo è quello che ci comunica il poliziotto che è al telefono con il Prefetto.

Veniamo fatti accomodare fuori, in attesa che arrivi un referente della Prefettura. Tutti i militari riprendono le loro mansioni e dopo circa un’ora, quando arriva la dott. Carmela Scavone della Prefettura, entriamo finalmente senza scorta e possiamo discorrere con maggior libertà con i trattenuti in un clima più sereno.

Troviamo qui un uomo affetto da diabete ed in attesa di intervento di cataratta. Non ha terapia iniettiva ma soltanto orale. Ci racconta la sua storia, come tanti anche lui aveva un contratto di lavoro, un contratto di affitto. E’ stato in carcere e qui gli è scaduto il permesso di soggiorno che non è riuscito a rinnovare ed è stato quindi portato al CPR, dove si trova in grande difficoltà, avendo spesso abbassamenti di pressione e non sentendosi adeguatamente assistito. Ha con sé una dichiarazione di assunzione e spera di poter tornare presto alla sua vita normale.

Incontriamo poi M. che si trova da un mese e 5 giorni a Restinco e sta cercando di far valere la convivenza di fatto con la fidanzata. Diversi sono gli uomini che abbiamo incontrato che avevano una convivenza di fatto con italiane, per la quale andrebbe rispettata la normativa vigente in Italia, nel pieno rispetto, tra l’altro, dell’art. 3 della Costituzione oltre che della legge 76 del 2016 sulle unioni civili e di fatto, che consente il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari ex art. 30, comma 1 lettera b del D.lgs 286 del 1998, e considerando la sentenza del 31.10.2017 n. 5040 (sentenza dirimente Consiglio di Stato), che tiene in conto le unioni stabili ed attestate con adeguata documentazione. Inoltre va tenuta in conto l’ordinanza del 13.04.2018, n. 9178 della Suprema Corte di Cassazione che decide che possono essere dichiarate conviventi di fatto due persone che riescano a dimostrare il loro legame affettivo connotato da duratura e significativa comunanza di vita ed affetti.

Un cittadino nigeriano si trovava precedentemente in un C.A.S. del napoletano, gestito dalla Virtus, che in seguito a diniego del Tribunale, viene chiamato per rinnovo e si ritrova trasferito al CPR di Restinco, prima ancora di poter essere informato sulle ulteriori possibilità di accedere ad esempio ad un appello ulteriore o ad una reiterazione di domanda. Teniamo qui a sottolineare che i CAS gestiti dalla Virtus sono stati oggetto da parte della nostra campagna di attenzioni dovute principalmente a: mancata assistenza sanitaria, mancanza di informativa legale, totale disattenzione alle esigenze degli ospiti, rappresentando centri di accoglienza del tutto al di sotto delle norme previste.

Un cittadino nigeriano ha vissuto la stessa esperienza ed era nello stesso CAS. Specifichiamo a riguardo che si dichiara LGBTI e temiamo che questa sua condizione, se scoperta all’interno del centro di detenzione, possa procurargli notevoli problemi. Abbiamo inviato intanto nota ad UNHCR, perché possa verificare la storia a noi raccontata. Il diniego della commissione e del Tribunale, dovuti alle difficoltà di provare la sua omosessualità, anche per le inadempienze informative da parte del centro, non possono in alcun modo mettere a rischio la vita di una persona che in Nigeria verrebbe fortemente perseguitata.

Un giovanissimo cittadino egiziano giunto in Italia come minore, svolge tutto il percorso indicato e riesce a diplomarsi alla scuola media; ha frequentato un corso di parrucchiere e dovrebbe ricevere il diploma l’anno prossimo. Riesce a d ottenere un contratto di lavoro alla scadenza del permesso di soggiorno e, dopo aver inviato il kit postale, si reca in questura per poter accedere alla regolarizzazione, ma viene condotto al CPR, distruggendo ogni sua azione per vivere una vita tranquilla e faticosamente portata avanti nel processo di mantenimento del suo permesso.

Anche in questo caso la chiamata alla regolarizzazione si è trasformata in un abuso delle forze dell’ordine. Ha un contratto di lavoro, una residenza, una casa e non può tornare in Egitto, che continua a rappresentare paese in cui vengono lesi i basilari diritti della persona, come si evince dagli ultimi rapporti di Amnesty International.

Vogliamo inoltre ricordare come l’avvocato da lui nominato, compare nelle carte come “di fiducia”, ma ci dichiara che si tratta di avvocato d’ufficio.

Infine, chiediamo di incontrare il cittadino siriano al momento presente nel CPR. Giunto in Italia dalla Turchia nel settembre del 2014, viene accusato di “scafismo” e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e condotto in carcere, senza ricevere adeguato accesso alla difesa. Egli ci dichiara essere esperto di nautica, ha guidato l’imbarcazione perché sono stati abbandonati dagli scafisti ed era l’unico in grado di farlo, evitando così morte certa per tutte le persone a bordo. In carcere è rimasto 3 anni e 4 mesi; quando vi esce viene accusato di terrorismo per la presenza di alcune foto “sospette” sul suo cellulare e condotto nel carcere di Rossano Calabro per un anno e 8 mesi, da cui esce con assoluzione. Purtroppo anziché ritornare in libertà viene condotto al CPR di Brindisi dove si trova attualmente. Riteniamo illegittimo questo trattenimento, chiedendo che venga liberato al più presto.

  1. http://www.meltingpot.org/Hotspot-di-Lampedusa-rilevate-violazioni-dei-diritti-umani.html

Campagna LasciateCIEntrare

La campagna LasciateCIEntrare è nata nel 2011 per contrastare una circolare del Ministero dell’Interno che vietava l’accesso agli organi di stampa nei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) e nei C.A.R.A. (Centri di accoglienza per richiedenti asilo): appellandosi al diritto/dovere di esercitare l’art. 21 della Costituzione, ovvero la libertà di stampa, LasciateCIEntrare ha ottenuto l’abrogazione della circolare e oggi si batte contro la detenzione amministrativa dei migranti continua »