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Lavoro e integrazione dei migranti. Profili normativi e condivisione dell’esperienza al CIAC

Tesi in Diritto Pubblico e tutela dei diritti fondamentali di Irene Aletti

Photo credit: Ciac Onlus

Alma Master Studiorum
Università di Bologna
Sede di Ravenna
Scuola di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Cooperazione internazionale, tutela dei diritti umani
e dei beni etno-culturali

Tesi in Diritto Pubblico e tutela dei diritti fondamentali

Lavoro e integrazione dei migranti. Profili normativi e condivisione dell’esperienza al CIAC

Introduzione

Il diritto al lavoro è uno dei principi fondamentali tutelati e garantiti della nostra Costituzione; il principio lavorista viene enunciato nel primo articolo della Costituzione, in cui il lavoro viene posto a fondamento della Repubblica (l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro).

Il lavoro, sia come iniziativa economica privata che come lavoro subordinato, è un’attività umana che contribuisce positivamente alla realizzazione di interessi generali e mediante il quale il lavoratore concorre al progresso materiale e spirituale della società; l’adempimento del dovere al lavoro esprime la partecipazione e il ruolo del singolo all’interno della società.

Oltre che un dovere di solidarietà, il lavoro è anche un diritto che spetta non solo al cittadino italiano ma in senso più ampio agli individui in quanto tali, proprio in virtù del suo importante ruolo. Il lavoro offre la possibilità di realizzare la propria personalità e di dare compimento al proprio progetto di vita, indipendentemente dalla situazione di partenza, e permette di sostenersi dal punto di vista economico; questo aspetto è particolarmente importante per chi è straniero e arriva in Italia senza alcun tipo di appoggio o di sostentamento.

A partire dagli anni ’70 una parte sempre più consistente della forza lavoro è composta proprio da lavoratori non cittadini di origine straniera; il migrante economico si sposta dal suo Paese d’origine per motivazioni economiche, ovvero compie questa scelta perché è in cerca di migliori prospettive economiche mediante un’occupazione.

Per godere dei diritti connessi allo status di lavoratore però è necessaria la residenza legale sul territorio; nel tempo sono state diverse le leggi rivolte a regolamentare la presenza degli stranieri lavoratori sul territorio. L’ingresso e la permanenza sul territorio nazionale dello straniero per soggiorni duraturi è considerata legittima solo se avviene in relazione allo svolgimento di un’attività lavorativa lecita e regolare: il rilascio del permesso di soggiorno è strettamente vincolato all’esistenza di un contratto di lavoro.

Tuttavia, l’ingresso ed il soggiorno per motivi lavorativi da parte di cittadini di Paesi terzi risultano particolarmente complessi, con il risultato che spesso le norme vengono eluse e si può riscontrare un’elevata presenza di lavoratori irregolari, che si trovano a lavorare in situazioni di precarietà e mancanza di tutele; per far fronte a queste circostanze e porvi rime-dio vengono periodicamente introdotte le sanatorie, ovvero discipline transitorie di regolarizzazione in grado di dare regolarità ai lavoratori stranieri.

Un altro strumento a cui si fa riferimento come forma di regolamento del flusso di immigrazione e dell’accesso al lavoro degli stranieri sono i “decreti flussi”, che servono a programmare annualmente la quota massima di lavoratori extracomunitari ammissibili sul territorio nazionale.

Questo approccio alla migrazione è significativa della volontà di controllare il flusso di migrazione in entrata per poterla gestire e calibrare in base alle esigenze economiche interne.

Vi è tuttavia una categoria di migranti che non rientra nella categoria di migrante economico: si tratta del migrante forzato, ovvero dello straniero a cui è riconosciuto uno status di protezione internazionale e che fugge dal Paese d’origine a causa di persecuzioni o discriminazioni, trovando rifugio in uno Stato terzo in cui può godere dei diritti negati in patria. Il diritto d’asilo consiste nella protezione accordata da uno Stato a individui che intendono sottrarsi nello Stato di origine a persecuzioni fondate: secondo la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato, ha diritto a ricevere protezione internazionale chi teme di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, e poiché teme per la propria incolumità non può fare ritorno nel proprio Paese d’origine.

La permanenza sul territorio nazionale è tutt’altro che priva di problematiche ma il lavoro può essere un valido mezzo che fornisce la possibilità di integrarsi all’interno di un contesto sociale e anche di avere stabilità economica, evitando così forme di disagio sociale.

Diverse sono le tipologie di status di protezione che possono essere riconosciute; per tutte queste, e anche per chi sta ancora aspettando una risposta da parte dell’autorità competente (richiedente asilo) è riconosciuto il diritto al lavoro, inteso come la possibilità di svolgere un’occupazione e di essere quindi assunti per svolgere un’attività lavorativa a livello subordinato. I requisiti del rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari sono correlati alle necessità documentate che ne hanno consentito il rilascio, e sono sconnesse dall’eventualità di avere o meno un lavoro.

La motivazione che spinge alla partenza non è quella di cercare un’occupazione – non solo almeno -, e per questo la ricerca di lavoro è successiva e non immediata. Il lavoro per il rifugiato inizialmente non è la priorità, ma diventa necessario in seguito, in virtù del suo ruolo di accompagnamento verso l’autonomia: al lavoro si attribuisce una valenza sociale particolarmente importante, è uno strumento attivo di partecipazione alla vita pubblica, di integrazione, nonché un mezzo per guadagnare autonomia socioeconomica e che consente di creare una progettualità per il futuro.

Proprio per questo il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 all’articolo 6 riconosce il diritto al lavoro, specificando che è il diritto di ogni individuo di ottenere la possibilità di guadagnarsi la vita con un lavoro liberamente scelto od accettato; anche la Convenzione di Ginevra agli articoli 17 e 18 garantisce il diritto al lavoro dipendente e autonomo ai rifugiati.

La direttiva 2004/83/CE del Consiglio ha lo scopo di favorire l’ingresso nel mondo del lavoro autorizzando i beneficiari dello status ad esercitare un’attività dipendente o autonoma, mentre si esortano gli stati membri ad offrire opportunità di formazione professionale e tirocini; anche la Direttiva 2013/33/UE afferma che gli Stati membri devono garantire l’accesso dei richiedenti al mercato del lavoro.

Tutti gli stati membri hanno recepito queste direttive, con diversità nelle modalità di attuazione e nelle tempistiche; in Italia il processo di integrazione sociale si effettua all’interno degli S.P.R.A.R, un modello di accoglienza integrata diffuso su tutto il territorio nazionale che affida a comunità, consorzi e autorità locali progetti volti all’integrazione sociale e occupazionale; le misure sono implementate seguendo un approccio integrato e personalizzato, basato sulle caratteristiche e sul background di ciascuna persona, cercando privilegiare l’approccio qualitativo e biografico e, per quanto possibile, tenendo in considerazione le aspettative dell’utente.

I richiedenti asilo e migranti forzati hanno anche diritto ad accedere alla formazione professionale e ai servizi di orientamento che forniscono conoscenze e abilità spendibili nel mondo del lavoro. Altrettanto importante è la formazione linguistica, utile nel mondo del lavoro ma che più in generale fornisce strumenti di base per orientarsi nella società di accoglienza. Oltre alla non conoscenza della lingua del paese ospitante vi sono numerosi altri ostacoli burocratici, attese, l’elaborazione dei traumi fisici/psicologici subiti, la mancanza o perdita di documentazione che provi le qualifiche, oltre che a discriminazioni e atteggiamento di non accoglienza.

Ho scelto di trattare l’argomento dell’inserimento lavorativo e del ruolo che ha nel processo di integrazione in particolare per i rifugiati come approfondimento dopo aver svolto il tirocinio curricolare presso il Ciac di Parma; si tratta di una Onlus che si occupa dell’accoglienza e dell’inserimento in società dei rifugiati, seguendo il loro percorso in vari aspetti: legale, sanitario, abitativo e infine lavorativo.

I corsi di orientamento al lavoro cercano di coniugare la formazione linguistica con quella professionale, in modo da cercare di mettere il soggetto nelle condizioni di avere accesso a maggiori opportunità formative. I moduli di insegnamento sono flessibili e offrono competenze generiche riguardanti aspetti come norme di comportamento, regole per la sicurezza, informazioni riguardo i diritti e i doveri del lavoratore; inoltre i corsi vogliono coniugare la formazione linguistica applicandola alla formazione professionale in uno specifico settore lavorativo; si cerca di tenere in considerazione conoscenze, capacità ed esperienze passate, interessi professionali e aspirazioni future.

Lo scopo dei corsi di orientamento al lavoro è quello di preparare i rifugiati o richiedenti asilo al mondo del lavoro, aiutandoli nella preparazione del curriculum, spiegando loro come sostenere al meglio un colloquio e quali sono i loro diritti e doveri sul posto di lavoro. Un aspetto su cui si insiste molto è la necessità di saper parlare bene l’italiano, perché è di fondamentale importanza nel mondo del lavoro come nella vita in generale che intendono condurre in Italia.

Per affrontare questo argomento, nel primo capitolo affronto il tema del diritto al lavoro nella Costituzione italiana, del modo in cui è considerato e viene tutelato. Nel secondo capitolo invece ripercorro il percorso della legislazione italiana in materia di immigrazione e lavoro, dalla prima legge del 1986 fino alla più recente “Bossi-Fini”, cercando di mettere in evidenza il forte legame tra il cittadino extracomunitario e la necessità di avere un contratto di lavoro ai fini di avere un permesso di soggiorno regolare; questa realtà è messa in paragone con l’esperienza del migrante forzato, la cui presenza è sul territorio è legittimata dallo status che gli viene riconosciuto e non dall’esistenza di un contratto di lavoro.

Nel terzo capitolo indico l’importanza del processo di integrazione, quel processo di costruzione e sviluppo di una progettualità di lungo periodo, che non si fermi all’assistenza ma miri all’inserimento consapevole nel tessuto della società ricevente. Per arrivare a questo sono diverse i fattori che aiutano e favoriscono il processo, tra cui l’accesso al mondo del lavoro: quest’ultimo è un mezzo essenziale per promuovere e incentivare il processo di integrazione e costruire una nuova vita per il migrante forzato.

Nell’ultimo capitolo, infine, racconto la mia esperienza personale presso il CIAC di Parma e illustro le attività svolte e le riflessioni fatte durante il periodo di tirocinio, che mi hanno condotto a voler approfondire la tematica in questa tesi.