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Le accese giornate di Catania a causa di Frontex, migranti, guerre, dispersi/e

Di Anna Di Salvo (La Città Felice) e Alfonso Di Stefano (Rete Antirazzista Catanese)

Nei giorni 16 e 17 di questo infuocato aprile 2016, Catania è stata teatro di avvenimenti dal forte significato politico grazie alla mobilitazione euromediterranea indetta dalla Rete antirazzista catanese, La Città Felice, Catania bene comune, COBAS, Comitato NoMuos/NoSigonella e altre realtà cittadine che per l’occasione hanno voluto sottolineare la sgradita presenza della sede Frontex a Catania, insieme alle “Carovane Migranti” e alle “Madres del Movimiento Mesoamericano” che cercano i loro figli e figlie, scomparsi/e a causa delle migrazioni dall’Africa e dai Paesi d’Oriente verso l’Occidente, così come lungo i confini che dividono i paesi dell’America latina da quelli dell’America del capitalismo e delle banche.
La mobilitazione ha preso avvio con una serie di workshop riguardanti il tema dell’accoglienza ai e alle migranti, la ricerca delle e degli scomparsi, le molteplici violenze che le donne migranti subiscono a causa delle forme muscolari adottate dalla militarizzazione che a macchia d’olio si sta espandendo nel Mediterraneo e in altri paesi, della questione curda e del ruolo assunto dalla Turchia negli sviluppi bellici e dopo lo scellerato patto stretto con l’Europa per respingere i/le migranti, nonché per approfondire cos’è in verità Frontex e della ricaduta del suo senso mortifero nella vita di Catania e della piazza Federico di Svevia e dintorni in cui si trova, che si sono tenuti il giorno 16 mattina alla Palestra Lupo e alla Casa di quartiere di S. Berillo.
In questi spazi di libertà che donne e uomini, giovani e meno giovani, frequentiamo e adottiamo per indire incontri ed eventi politici, si sono raccolte le molte realtà che avevano aderito alla mobilitazione generale: Borderline Sicilia, Forum antirazzista di Palermo, Arci Sicilia, La Ragna-Tela, Federazione Anarchica Siciliana, LILA Catania, Casablanca-Le Siciliane, Collettivo politico Experia, Azione Civile, Progetto Melting Pot Europa, I Siciliani giovani, Centro GAPA, Circolo Olga Benario, Associazione Penelope, Coordinamento dei comitati NoMuos, Rete Welcome to Europe, Democrazia e Lavoro Ct e molti altri e altre, donne, uomini e bambini, che hanno voluto essere presenti per partecipare all’animata manifestazione cittadina del 16 pomeriggio che si è snodata lungo le strade del centro storico cittadino, dopo che centinaia di fiori dai fragili steli erano stati lanciati nel mare che lambisce la banchina del molo n. 8, luogo di approdo delle navi militari che portano a Catania i e le migranti che sopravvivono alle traversate del canale di Sicilia, portando spesso purtroppo anche il triste carico dei morti.

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Prima che il corteo prendesse avvio dal Porto di Catania, anticipato e scortato dalla vistosa presenza di mezzi e uomini militari in rigoroso assetto anti sommossa, le “Madres del Movimiento Mesoamericano”, Ana Enamorado, Guadalupe Gonzalez, lo studente messicano Omar Garcia, sopravvissuto alla strage di Ayotzinapa, Koucela Zerguine avvocato algerino e Imed Soltani genitore tunisino (portavoce dei parenti dei desaparecidos del Mediterraneo) hanno preso la parola, trasmettendo il calore della loro passione e il senso della responsabilità assunto nel tempo e che frequentazioni e relazioni politiche, alimentano sempre più in loro. Vivaci gli slogan e vitali le musiche lungo lo scorrere del corteo, risuonate nelle strade principali di Catania, amplificate dai megafoni e dai microfoni delle “Carovane Migranti”, così come i momenti di tensione intercorsi nella conclusione tra la testa del corteo e le forze dell’ordine per via delle zone interdette alla manifestazione, si sono intrecciati con momenti di alta commozione quando questa è stata applaudita da gruppi di migranti africani che al momento vivono a Catania. Giunto a piazza Federico di Svevia il corteo è stato accolto da due installazioni artistiche realizzate dalla Città Felice, dal Comitato Abitanti di piazza Federico di Svevia e dalle donne e uomini della rete La Ragna-Tela delle quali la prima, dal titolo “Catania non è frontiera”, consisteva in una rete metallica molto alta e lunga alla quale erano appesi oggetti che richiamavano il calvario dei migranti sui barconi, poesie in arabo e fogli del Corano, indumenti e scarpe malandate, giochi di bimbi e barchette di carta mentre la seconda installazione, che è stata composta sulla strada, aveva la forma di un grande simbolo della pace, realizzato con una miriade di lumini rossi accesi in memoria dei e delle migranti inghiottiti/e dal mare e in onore delle “madres” di tutte le figlie e i figli scomparsi nel canale di Sicilia o lungo gli odiosi confini, muri, barriere e frontiere di stati e nazioni che uomini privi del senso di civiltà, bellezza e libertà che deve esserci tra i popoli, hanno tracciato per separare le genti, per impedire accessi, scambi, spostamenti a uomini e donne in fuga da guerre e fame, dividere gli abitanti del globo e imporre la legge del “contra” all’umanità tutta!..

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Sono state chiare a quelli/e che hanno partecipato alla manifestazione, le parole dalla forte eco simbolica, riferite all’inquietante presenza della sede Frontex nell’ex convento Santa Chiara a Catania, contenute nell’appello che ha indetto la mobilitazione della due giorni e che verranno scandite a ritmo costante d’ora in poi nella nostra città in forma di assemblee cittadine, class- action, mostre, convegni, proiezioni, per continuare a mobilitare la popolazione e spiegare ai cittadini e alle cittadine cos’è davvero Frontex e quale ruolo svolgerà a Catania visto anche che l’Amministrazione pubblica comunale mistifica il suo vero compito descrivendola come un’agenzia addetta all’accoglienza e all’aiuto dei migranti.
La verità è che Frontex è la sede della “Polizia di frontiera europea” che svolge il compito di respingere i e le migranti dopo che sono stati separati e classificati come migranti economici o richiedenti asilo politico. L’apertura di una sede dell’Agenzia Frontex a Catania rappresenta un insulto e una vergogna per la popolazione siciliana (ma soprattutto si vergognino quella parte d’Europa e il Ministero della difesa italiano che l’hanno voluta e l’Amministrazione comunale di Catania che l’ha ospitata). Catania è una città aperta all’accoglienza, senza pregiudizi razziali, da sempre ponte tra i popoli. Frontex e Triton possono essere invece considerate vere e proprie azioni di guerra rivolte ai migranti che consideriamo inaccettabili. L’utilizzo di uno spazio pubblico di grande affezione collettiva come il Monastero Santa Chiara, trasformato all’improvviso in un avamposto militare a tutti gli effetti, non può che suscitare dissenso nei e nelle abitanti di Catania. Impietosa destinazione d’uso di un edificio simbolico di grande pregio artistico, che in un passato non troppo lontano ha scandito le fasi più importanti della vita di ciascuno/a, con il suo salone, nel quale avveniva la celebrazione dei matrimoni civili e con le stanze dell’anagrafe adibite all’espletamento dei certificati attestanti le nascite, i cambi di residenza, gli stati di famiglia, le morti.

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Al termine della manifestazione del 16 pomeriggio, i e le manifestanti si sono riunite/i nella sede dell’associazione GAPA per riassumere e scambiare i contenuti e le proposte emerse durante i workshop, nonché apportare nuovi elementi, narrazioni ed elaborazioni in aggiunta ai temi discussi, quali ad esempio: esperienze e possibilità di lavoro e di una nuova economia solidale, così da riuscire ad esperire, per favorire una vita vivibile e garanzie sindacali a quei/quelle migranti che desiderassero continuare a permanere nei nostri luoghi, forme di agricoltura e coltivazione sostenibile di terreni, che prevedono in prima istanza l’eliminazione dello sfruttamento (anche sessuale ai danni di molte braccianti straniere) e la piaga del caporalato. Altri momenti delicati e di alta intensità politica, durante i quali l’assemblea si è fatta molto attenta, sono stati quelli in cui è stata letta la lettera di Ozlem, una donna del Kurdistan presidente dell’UIKI e la presentazione delle campagne di Rete Kurdistan; inoltre sono state narrate le esperienze di volontari che hanno trascorso giorni di dolore, umanità e commozione, a Idomeni, piccolo villaggio al confine tra la Grecia e la Macedonia, cercando di portare aiuto ai profughi siriani e di altre nazionalità vicine, ammassati da mesi lungo quella frontiera, nella speranza di poter varcare le barriere di quel filo spinato che di recente è stato sostituito da candelotti lacrimogeni e da proiettili di gomma sparati anche addosso ai bambini.

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La mattina del 17, molti dei/delle partecipanti alla due giorni ed alle “Carovane Migranti”, davanti si sono recati davanti ai cancelli del CARA di Mineo, il famigerato Villaggio degli Aranci, coinvolto nello scandalo di “Mafia capitale” e dove sono trattenuti per mesi se non per interi anni in pessime condizioni, i e le migranti in attesa dei permessi per poter proseguire i loro spostamenti e in attesa di conoscere dalla commissione che li esaminerà quale sarà la loro sorte e il loro futuro. Si è svolto un incontro interetnico molto partecipato, carico di solidarietà e d’energia con giovani uomini per lo più provenienti da Paesi dell’Africa subsahariana. Lì sono stati distribuiti vocabolari, mappe e volantini bilingue informativi e suggerimenti ai migranti per cercare di sveltire e agevolare il corso di quegli eventi che altrimenti li costringeranno a rimanere a lungo in Sicilia o altrove. Anche in questa occasione le “Madres del Movimiento Mesoamericano” alla ricerca di figlie/i desaparesidos, hanno donato a piene mani lo splendore della loro inesauribile umanità, abbracciando i giovani uomini migranti uno ad uno, trasmettendo loro fiducia e calore. Purtroppo buona parte dei media locali e nazionali hanno ignorato la nostra iniziativa, ma di fronte al CARA siamo stati intervistati da una TV ucraina.
L’ultimo momento corale che ha visto tutte e tutti riuniti la sera del 17 alla Palestra Lupo, è stato anch’esso all’insegna dell’emozione e dello sdegno perché si è sottolineato che il giorno seguente, il 18 aprile, sarebbe stato ricordato il primo anniversario della più grande sciagura di migranti in mare, dinanzi alle coste libiche, nella quale perdettero la vita oltre 800 tra uomini, donne e bambini. Viene data poi notizia dell’inizio delle operazioni di recupero di quei corpi e di quel relitto da parte delle autorità preposte, tra cui lo Stato italiano, ed emergono a questo proposito ulteriori analisi e considerazioni politiche tra cui il fatto che sempre più i familiari ed i parenti delle vittime si mostrano presenti, mostrano i loro volti e rappresentano la voce più autorevole per decidere le modalità da adottare nelle fasi delle ricerche, delle individuazioni e dei riconoscimenti, voce portatrice di precise istanze alle quali è doveroso dare ascolto e, per quanto possibile, giustizia.
La presenza di due giovani, uno ivoriano e uno mailiano, ambedue superstiti del naufragio del 18 aprile 2015 e la narrazione della tragedia fatta da uno di loro, ha creato un’atmosfera densa di commozione mista a rabbia e smarrimento, desiderio d’esserci e di mettersi in gioco ancor più di prima, tanto forte che per molte/i, non sarà facile lasciar decantare o sminuire nella propria interiorità, nelle relazioni interpersonali e nella collettività, l’impegno politico assunto con se stesso/a, con le donne e gli uomini delle realtà politiche presenti in quel preciso momento e con “loro”… le sorelle e i fratelli migranti di tutte le terre!
Quelli/e che non ci sono più, quelle/i che sono arrivati sino a noi e quelli/e che stanno arrivando.

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